OPERA NON DISPONIBILE
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Cagnaccio di San Pietro

(Desenzano del Garda 1897 - Venezia 1946)

Fortunata e lo specchio (1925)

Misure: cm 59 x 47,5

Tecnica: olio su tela

Firmato in basso a destra: “Cagnaccio di San Pietro 1925”

Bibliografia: Cagnaccio di San Pietro, catalogo della mostra a cura di E. Castellano (Venezia, Museo Correr, 20 aprile – 30 giugno 1991), Milano, Electa, 1991, illustr. p. 23; Arte moderna in Italia 1915 – 1935, catalogo della mostra a cura di C. L. Ragghianti (Firenze, Palazzo Strozzi, 26 febbraio – 18 maggio 1967), Firenze, Marchi Bertolli Editore, 1967, p. 166, n. 793.

 

I ritratti giocano un ruolo nodale nella produzione di Cagnaccio di San Pietro: lucidi, netti, calligrafici, memorie personali, evocazioni perturbanti, espressioni dell’intensa interpretazione del vero interiore e di quello apparente.  E ancor più del puro ritratto, il tema della figura riflessa nello specchio compare come leit-motiv in uno specifico e brillante nucleo di opere degli anni Venti e Trenta. Fortunata e lo specchio, dipinto del 1925, è il primo di questo particolare filone carissimo all’autore, seguito poi da Allo specchio del 1927: in questa seconda immagine dai colori freddi e accesi, la sontuosa figura femminile compare di spalle nell’atto di mettersi il rossetto, mentre riflessi nello specchio si scorgono il volto e il busto, in parte frammentati e ulteriormente sdoppiati dalla cornice rientrante, a rappresentare i tormenti e le crepe interiori, ancor più accentuate dalla rarefatta resa atmosferica.

Ritratto straniante per lo sguardo perso nei pensieri e particolarmente aderente ai modi della Nuova Oggettività tedesca, si differenzia da Fortunata e lo specchio per diversi dettagli: l’umile ragazza, raffigurata in un semplicissimo vestito nero, con il capo coperto da un fazzoletto dello stesso colore, non è rivolta verso lo specchio, ma gli dà le spalle e fissa con sguardo intenso lo spettatore, mentre appoggia l’avambraccio sullo schienale della sedia di legno. Il distacco tra specchio e figura è rimarcato dal titolo: non Fortunata allo specchio ma Fortunata e lo specchio, dove la congiunzione è volutamente usata per separare e sdoppiare semanticamente i due mondi, quello della realtà e quello della sua riproduzione.

Tra specchio e vero si snodano alcuni binomi esistenziali, immobile – dinamico, superficie – profondità, assoluto – relativo, singolare – universale, tutti analizzati con estrema lucidità, attraverso una finissima stesura pittorica, levigata, nitida, impeccabile, dove ogni oggetto trova perfetta collocazione nel piccolo universo prospettico della tela: un «oggettivismo sincero anche se minuto, analitico […] con una ricerca quasi spietata d’arrivarvi colla più rigorosa definizione d’ogni particolare»[1]. A questa nettezza descrittiva fa da sostrato l’atmosfera sospesa e trepidante tipica del Realismo Magico, di cui Cagnaccio è tra i massimi interpreti. La stessa composizione viene impiegata dal pittore nell’opera La ragazza e lo specchio del 1932, conservata alla Galleria Nazionale di Roma, con cui presenta differenze e affinità: lo specchio leggermente inclinato in avanti permette di riflettere una maggiore proporzione di stanza, aumentando l’illusione spaziale e l’effetto di duplicazione dello scorcio, ma anche permettendo allo spettatore di osservare ciò che altrimenti gli verrebbe celato. Rimane però lo stesso vestito nero, lo stesso sguardo pensieroso e fisso e soprattutto la stessa mano poggiata alla sedia, perfetta e tagliente come quella di un fiammingo. L’austerità dell’ambientazione qui non prevede nessun oggetto, mentre in Fortunata e lo specchio si nota sulla toeletta a sinistra un piccolo vasetto bianco con una delicata rosellina dipinta e a destra una candela spenta, entrambe chiare allusione alla vanitas delle cose terrene, così come lo è lo specchio, massimo simbolo della transitorietà della vita umana, oggetto onnipresente negli studi d’artista dal rinascimento in poi. Di questi moniti sembra essere cosciente Fortunata – ragazza dal nome parlante a cui la sorte è favorevole: volge le spalle allo specchio, sospesa in un’intima e magica realtà senza tempo.

[1] U. Nebbia, La quattordicesima Biennale veneziana I. Pittori italiani, “Emporium”, LIX, 1924, 353, pp. 291-292.

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