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Gli squali del Sudafrica, predatori da proteggere

Sergio Riccardo
Sergio Riccardo 

Gli squali, sin dai tempi più remoti, sono stati etichettati dalla cinematografia, dai libri e dalle testimonianze storiche come dei veri e propri “assassini del mare”. Tuttavia, i racconti del passato non devono scoraggiarci poiché, ogni anno e in media, solo dieci persone perdono la vita a causa degli attacchi di squalo, mentre cento milioni di squali sono vittime delle attività antropiche ormai sempre più invasive legate, essenzialmente, agli sforzi di pesca eccessivi. Proprio per questo motivo, numerose specie di squali, attualmente, sono a rischio di estinzione e la perdita di predatori ubicati all’apice della catena alimentare marina comporterebbe seri danni a tutto l’ecosistema creando, mediante un effetto a catena, l’aumento delle prede degli squali e la diminuzione, di conseguenza, degli organismi inferiori nella rete trofica.

Uno dei luoghi dove la salvaguardia degli squali è all’ordine del giorno è proprio il Sud Africa, uno degli otto hotspots mondiali dove è possibile osservare il grande squalo bianco, ormai vulnerabile alle attività antropiche in tutto il Mondo. Davanti alle coste di Città del Capo (più precisamente a Seal Island nella False Bay), Gansbaai (nella Riserva Naturale di Dyer Island) e Mossel Bay è presente, infatti, una cospicua popolazione di squali bianchi, facilmente osservabili grazie alle attività non invasive ed ecoturistiche di “cage diving”. Le prede preferite di questi animali in fase subadulta e adulta sono proprio le otarie orsine del Capo che, in acqua, vengono spesso colte di sorpresa dagli squali bianchi: questi ultimi, possono compiere salti fuori dall’acqua anche di diversi metri di altezza, agguantando le loro prede alla sprovvista e assicurandosi un lauto pasto. La capacità degli squali bianchi di sorprendere le otarie è legata a diversi fattori, tra cui la colorazione di questi animali, grigio scura sul dorso e bianca sul ventre che li rende criptici con l’ambiente marino esterno: se visti da sopra, gli squali bianchi si mimetizzano con il fondale scuro; se visti da sotto, invece, si mimetizzano con la luce solare che illumina la superficie del mare.

Nonostante lo squalo bianco sia il protagonista dei mari del Sud Africa, ci sono tanti altri predatori che nuotano in queste acque, come il mako dalle pinne corte, la verdesca e lo squalo sette branchie.

Il mako dalle pinne corte, parente stretto del grande squalo bianco, è lo squalo più veloce al mondo e sfrutta la sua accelerazione bruciante per catturare prede scattanti come tonni e pesce azzurro. Analogamente allo squalo bianco, anche il mako è in grado di compiere salti fuori dall’acqua per cacciare, pur preferendo acque più distanti dalla costa. Il mako, come lo squalo bianco, è a rischio di estinzione al livello globale ed è vittima costante della pesca sportiva. La verdesca, similmente al mako, preferisce le acque pelagiche e più fredde al largo delle coste del Sud Africa e si nutre essenzialmente di cefalopodi (calamari, seppie, polpi) e altri pesci. Purtroppo, è lo squalo più pescato e consumato di tutti gli Oceani ed è oggi a rischio critico di estinzione nel Mediterraneo e prossimo alla minaccia al livello globale. La Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha inserito la carne della verdesca tra quelle che bambini e donne incinte dovrebbero evitare di mangiare per i rischi legati alle intossicazioni da mercurio e da altri metalli pesanti. Infine, a dominare le foreste di Kelp in Sud Africa, vi è lo squalo sette branchie o squalo manzo. Il nome comune di questo pesce fa ben intendere che possiede sette paia di fessure branchiali e la sua livrea grigia-marroncina ricoperta di macchie gli consente di confondersi tra le foreste di alghe brune dove si nutre di altri squali, razze, pesci, foche e carogne. Anche lo squalo sette branchie, come lo squalo bianco, è vulnerabile alle attività antropiche al livello globale e merita di essere tutelato.

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