Testa da marsón! I pesci d’acqua dolce nella tradizione della Marca trevigiana: la cheppia

La cheppia
La cheppia

È una calda giornata estiva. L’uomo lancia e recupera senza sosta un’esca artificiale che scintilla nelle acque limpide del fiume. L’attacco è improvviso e irruento. La cheppia, nel vano tentativo di riguadagnare la libertà, si esibisce in una serie di salti spettacolari che mettono a dura prova l’abilità e il sangue freddo del pescatore.

La cheppia, alosa o salacca (Alosa fallax) è conosciuta in Veneto come ciépa, cepa, ceppa, laccia o sardòn. Stretta parente dell’agone (Alosa agone) e appartenente alla famiglia dei Clupeidi, è un essere anadromo ovvero un pesce che vive in alto mare e risale i corsi d’acqua solo per riprodursi. Una peculiarità che gli è valso il soprannome di “salmone italiano”.

L’istinto di nuotare controcorrente è talmente forte che, in assenza di sbarramenti, la cheppia potrebbe compiere spostamenti di centinaia di chilometri e raggiungere addirittura i bacini lacustri dell’entroterra.

La sua livrea è azzurro verdastra sul dorso, bianca sul ventre; i fianchi, argentati, sono attraversati da una linea di macchie nere di dimensione decrescente dalla testa verso la coda. L’alimentazione della cheppia è a base di crostacei e piccoli pesci, ma gli adulti che raggiungono le acque dolci osservano un periodo di stretto digiuno. La taglia massima della cheppia supera il mezzo metro per oltre un chilo e mezzo di peso; i suoi principali nemici sono gli uccelli predatori, alcune malattie e la posa di opere che ne impediscono la risalita.

In passato gli attrezzi utilizzati per la cattura delle cheppie erano principalmente reti di varie dimensioni (tramaio e tramezìn) o bilance (balanse o balansoni) calate sul fondo e recuperate ciclicamente con l’ausilio di funi e carrucole. Come altre specie era vittima della cosiddetta pesca selvaggia, fatta con esplosivi o veleni e della quale parleremo in uno dei prossimi articoli.

Dal punto di vista gastronomico è un pesce di modesto interesse per via delle carni scadenti e la grande presenza di spine. Presente nel Trevigiano e segnalata nel Piave, nel Sile e nel Livenza già nell’Ottocento si vendeva a “vilissimo prezzo”. Le ricette erano più o meno le stesse dell’aringa compresa l’essiccazione, la salatura e l’affumicatura.

Cibo davvero umile rientra fra le specie appese alla trave della cucina e sulle quali si strofinavano le fette di polenta per dar loro un po’ di sapore. La saggezza popolare attribuiva tuttavia a questi pesci piuttosto dozzinali un rilevante ruolo salutistico; teorie che trovano conforto nel proverbio “Magna renghe e sardelòni: te conservarè i polmoni”.

Oggi la cheppia ha un valore quasi esclusivamente sportivo per le emozioni che regala opponendosi con fiera resistenza alle insidie del pescatore. E laddove catturata in grandi quantità fa una fine davvero poco nobile, trasformata in anonima farina di pesce.

(Foto: Sapere.it).
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