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Vite parallele - Mario Moncada di Monforte

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<strong>Mario</strong> <strong>Moncada</strong> <strong>di</strong> <strong>Monforte</strong><br />

<strong>Vite</strong> <strong>parallele</strong><br />

Giuseppe Mazzini – Osama bin Laden<br />

Quando la storia legittima il terrorismo<br />

ARMANDO<br />

EDITORE


Sommario<br />

Introduzione<br />

Capitolo primo: Due contesti internazionali<br />

1. I contesti internazionali<br />

2. 1814-1815: il Congresso <strong>di</strong> Vienna e le sue conseguenze<br />

3. 1919-1920: la pace <strong>di</strong> Versailles e le sue conseguenze<br />

4. Considerazioni conclusive<br />

Capitolo secondo: Due protagonisti<br />

1. I protagonisti<br />

2. La giovinezza <strong>di</strong> Giuseppe Mazzini<br />

3. La giovinezza <strong>di</strong> Osama bin Laden<br />

4. Le teorie estremistiche del loro tempo: anarchismo, wahhabismo<br />

5. Considerazioni conclusive<br />

Capitolo terzo: Due società segrete (ma non troppo)<br />

1. Giuseppe Mazzini: la Giovine Italia e la Giovine Europa<br />

2. Osama bin Laden: al Qaeda (la Base)<br />

3. Considerazioni conclusive<br />

Capitolo quarto: Considerazioni finali<br />

1. Argomenti controversi<br />

2. Uno sguardo avanti<br />

3. La prospettiva probabile


Introduzione<br />

Il titolo provocatorio <strong>di</strong> questo saggio è suggerito dalla constatazione<br />

della pervicacia con la quale i neoconservatori americani si rifiutano<br />

<strong>di</strong> ammettere il danno arrecato al <strong>di</strong>alogo mon<strong>di</strong>ale con la guerra<br />

all’Iraq ed è sostenuto dalla sorpresa per l’impudenza con la quale<br />

Robert Kagan ritenga <strong>di</strong> poter ancora sostenere “Il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> fare la<br />

guerra” (Mondatori, 2004) per imporre un “or<strong>di</strong>ne mon<strong>di</strong>ale”.<br />

Anche se la titolazione del saggio <strong>di</strong> Kagan è probabilmente un’idea<br />

e<strong>di</strong>toriale, il lavoro <strong>di</strong>mostra come la rozza lettura della storia, che<br />

è prevalente nell’opinione pubblica statunitense, faccia ignorare la<br />

complessa drammaticità della situazione planetaria, piena <strong>di</strong> una violenza<br />

sfuggita ad ogni cre<strong>di</strong>bile controllo. Questa inadeguatezza culturale<br />

consente <strong>di</strong> affrontare i non argomenti <strong>di</strong> Kagan e dei teo-conservatori<br />

ignorandoli. Quando si leggono teorie così irragionevoli, nasce<br />

la domanda se gli autori siano effettivamente rozzi culturalmente o se,<br />

fatto frequente negli Stati Uniti, siano pagati per sostenere tesi utili agli<br />

interessi delle multinazionali.<br />

La “pretesa” europea del rispetto <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne legale internazionale<br />

è, per questi signori, la causa prima della violenza dominante perché<br />

farebbe emergere la non compattezza del fronte occidentale. Ciò continua<br />

ad essere affermato, anche se molti stu<strong>di</strong>osi, fra i quali qualche<br />

raro americano, cercano invece <strong>di</strong> portare continui contributi per chiarire<br />

le ragioni <strong>di</strong> fondo, economiche e politiche, che animano la violenza<br />

che ci aggre<strong>di</strong>sce.<br />

In quest’ampio <strong>di</strong>battito, com’è naturale, il background culturale, la<br />

con<strong>di</strong>zione psico-emotiva e gli interessi socio-politico-economici <strong>di</strong><br />

ognuno, incidono sulle analisi e sulle scelte <strong>di</strong> campo, anche nella più<br />

assoluta buona fede intellettuale.<br />

7


Una conferma <strong>di</strong> questa situazione può avere chi, con esperienza <strong>di</strong><br />

navigazione Internet, voglia curiosare alla voce Osama bin Laden che<br />

è uno degli attori <strong>di</strong> questo confuso ed incerto momento mon<strong>di</strong>ale.<br />

Troverebbe oltre 450.000 siti nei quali, in tutte le lingue, sono espresse<br />

le più varie opinioni, anche colorite o esasperate, a favore o contro<br />

questo protagonista del nostro tempo.<br />

Certo, considerata la violenza delle iniziative che gli sono attribuite,<br />

non possiamo sorprenderci per quest’ampia <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> opinioni.<br />

Ciò che non può essere con<strong>di</strong>visa è la <strong>di</strong>ffusa, decisa faziosità, a favore<br />

o contro, espressa da molti che <strong>di</strong>mostrano con evidenza o <strong>di</strong> non<br />

conoscere la storia dei tempi trascorsi o <strong>di</strong> non tener in alcun conto la<br />

complessità dell’attuale realtà del mondo.<br />

È evidente, infatti, come i giu<strong>di</strong>zi a favore <strong>di</strong> bin Laden siano suggeriti<br />

spesso dall’o<strong>di</strong>o verso la pre-potenza della civiltà occidentale ed<br />

è evidente anche quanto le condanne morali siano ispirate da interessi<br />

in pericolo o dalla paura <strong>di</strong> un’incontrollabile aggressione integralista<br />

da parte <strong>di</strong> un Islam ritenuto sempre e comunque fanatico.<br />

Accade così che la paura per la <strong>di</strong>ffusa violenza e la condanna morale<br />

degli attentati islamici alla sicurezza occidentale vorrebbero che<br />

fosse ignorata ogni analisi storica: si sostiene che si rischia <strong>di</strong> elaborare<br />

un giustificazionismo che non può essere consentito. È possibile; ma<br />

solo se i fatti sono stravolti al fine <strong>di</strong> sostenere i propri convincimenti<br />

pro o contro: tentare <strong>di</strong> capire non vuol <strong>di</strong>re giustificare. Se non cerchiamo<br />

<strong>di</strong> comprendere le ragioni dell’o<strong>di</strong>o verso l’Occidente non possiamo<br />

sperare che nel mondo si avvii un <strong>di</strong>alogo meno violento.<br />

Il problema non è giustificare o condannare i comportamenti e le<br />

iniziative <strong>di</strong> bin Laden e degli islamici: l’obiettivo deve essere rendersi<br />

conto delle ragioni, fondate o meno, per le quali agiscono.<br />

Ciò, comunque, ponendo una premessa decisa che non consente arbitrarie<br />

interpretazioni <strong>di</strong> questo saggio.<br />

È ferma convinzione <strong>di</strong> chi scrive che la violenza sia sempre da<br />

condannare da qualunque parte provenga e in qualsiasi modo sia<br />

espressa. Analizzare la violenza e i mo<strong>di</strong> nei quali è manifestata non<br />

vuol <strong>di</strong>re con<strong>di</strong>viderla o giustificarla: purtroppo la violenza - fisica o<br />

morale, manifesta o ipocritamente coperta - occupa la parte più grande<br />

della storia degli uomini e non può essere ignorata. La condanna<br />

umana della violenza è assoluta e non consente né una scala dei tempi<br />

8


né una scala <strong>di</strong> valori a sostegno o meno. Certamente, però, c’è una posizione<br />

incontestabilmente immorale: è quella <strong>di</strong> chi condanna soltanto<br />

la violenza che colpisce noi occidentali.<br />

Posto questo punto fermo, è necessario che gli avvenimenti siano<br />

osservati nel loro schematico svolgersi e nel quadro della situazione<br />

storica dalla quale sono determinati: il tentativo, quando è fatto in questi<br />

limiti, cerca solo <strong>di</strong> comprendere il perché <strong>di</strong> quanto accade. Gli<br />

eventi hanno una tale <strong>di</strong>mensione, non solo in termini <strong>di</strong> spazio e <strong>di</strong><br />

tempo ma anche <strong>di</strong> conseguenze possibili, da suggerire <strong>di</strong> leggerli dentro<br />

lo spaccato storico più ampio: chi volesse contestarne l’interpretazione,<br />

potrà farlo solo con una cre<strong>di</strong>bile, alternativa analisi storica e<br />

non con emotive accuse morali.<br />

Per queste ragioni, nelle pagine che seguono, le vicende <strong>di</strong> Osama<br />

bin Laden sono riviste nell’ambito della storia dei paesi arabi del secolo<br />

ventesimo confrontata con la storia europea del <strong>di</strong>ciannovesimo<br />

secolo sui cui avvenimenti il giu<strong>di</strong>zio storico o<strong>di</strong>erno, ampiamente accettato,<br />

ha superato le considerazioni morali, positive o negative, del<br />

tempo nel quale quegli eventi si svolsero. In questo parallelo storico,<br />

l’avventura rivoluzionaria <strong>di</strong> Giuseppe Mazzini è assunta come riferimento<br />

per comprendere se sia possibile usare un metro uguale per valutare<br />

le iniziative <strong>di</strong> Osama bin Laden.<br />

Fatto il confronto fra le vite <strong>di</strong> questi due protagonisti e tentando <strong>di</strong><br />

non lasciarsi coinvolgere né dall’o<strong>di</strong>o verso l’Occidente né dalla paura<br />

verso l’Islam, è stato ritenuto utile aggiungere un’analisi interpretativa<br />

<strong>di</strong> alcune parole il cui <strong>di</strong>scutibile significato consente <strong>di</strong> sostenere<br />

un punto <strong>di</strong> vista o un altro dell’attuale realtà planetaria. Dalle definizioni<br />

date si può cogliere il punto <strong>di</strong> vista assunto da queste pagine che<br />

<strong>di</strong>venta il punto <strong>di</strong> partenza per immaginare, con concretezza e con un<br />

<strong>di</strong>stacco senza ipocrisie e senza mistificazioni, quella che è ritenuta essere<br />

una prospettiva probabile del marasma che ci aggre<strong>di</strong>sce.<br />

Per realizzare un lavoro imme<strong>di</strong>atamente leggibile, è stato preferito<br />

un conciso ricordo dei fatti storici e un sintetico recupero dei problemi<br />

economici e demografici del nostro tempo. Specifiche, più dettagliate<br />

analisi sono facilmente accessibili in molte opere <strong>di</strong> storia dei<br />

perio<strong>di</strong> considerati e in molti ben noti saggi. L’obiettivo, ovviamente,<br />

non è quello <strong>di</strong> ripresentarne in sintesi i risaputi argomenti ma <strong>di</strong> recuperare<br />

le plausibili ragioni che supportano la tesi <strong>di</strong> questo lavoro.<br />

9


Capitolo primo<br />

Due contesti internazionali<br />

1. I contesti internazionali<br />

Per comprendere i comportamenti umani, è risaputo quanto sia necessario<br />

guardare alle situazioni nelle quali ognuno è stato costretto o<br />

è costretto ad agire.<br />

Pertanto, nell’o<strong>di</strong>erna <strong>di</strong>fficile situazione planetaria, per tentare <strong>di</strong><br />

renderci conto delle motivazioni che alimentano gli esasperati comportamenti<br />

<strong>di</strong> una parte dei musulmani, non è sufficiente chiamarne in<br />

causa soltanto il rigido fondamentalismo islamico. Cioè, non può essere<br />

accettata la pretesa <strong>di</strong> chi vorrebbe che fosse evitata qualsiasi analisi<br />

storica che farebbe correre il rischio <strong>di</strong> proporre un qualche giustificazionismo.<br />

Poiché gli avvenimenti degli ultimi cinquant’anni hanno mischiato<br />

le carte, un’analisi storica riferita al mondo arabo non può ignorare<br />

i precedenti più lontani. Non può che partire dal fatto che l’attuale con<strong>di</strong>zione<br />

politico-territoriale <strong>di</strong> quest’area del mondo è ancora la pesante<br />

conseguenza delle decisioni che, dopo il crollo dell’impero ottomano,<br />

furono prese dalle potenze vincitrici della prima guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />

Per capire gli attuali comportamenti delle popolazioni arabe, è necessario<br />

rivedere gli effetti degli accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> pace imposti alla Turchia nel<br />

1919-1920 alla fine della guerra.<br />

L’analisi delle conseguenze <strong>di</strong> quegli accor<strong>di</strong>, scontate le ovvie <strong>di</strong>fferenze<br />

<strong>di</strong> cultura e <strong>di</strong> tempo, mostrerà quanta sorprendente analogia ci<br />

sia con gli avvenimenti europei che seguirono il Congresso <strong>di</strong> Vienna<br />

che, nel 1814-15, aveva chiuso l’avventura napoleonica con la Restaurazione<br />

dei governi autoritari d’Europa.<br />

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Pur nella consapevolezza <strong>di</strong> quanto possano essere fuorvianti le letture<br />

storiografiche comparative, in queste pagine saranno analizzate in<br />

successione le situazioni politiche internazionali create dai due trattati<br />

<strong>di</strong> pace, senza la pretesa <strong>di</strong> poter suggerire parametri d’interpretazione<br />

assoluti. Si sa, infatti, quanto incidano sugli eventi della storia le <strong>di</strong>versità<br />

caratteriali dei protagonisti, le <strong>di</strong>fferenze ambientali, le <strong>di</strong>verse<br />

rilevanze degli eventi casuali e dei comportamenti imposti da situazioni<br />

necessitate. Con questa consapevolezza, quin<strong>di</strong>, e con relativa prudenza,<br />

saranno esaminate le conseguenze politico-sociali determinate<br />

nei vari paesi dalle scelte che sancirono la fine <strong>di</strong> quelle gran<strong>di</strong> guerre.<br />

Il risaputo svolgersi degli avvenimenti europei del <strong>di</strong>ciannovesimo<br />

secolo ne autorizza un ricordo a volo d’uccello. Questo ricordo, in ogni<br />

modo, è necessario perché fa rilevare quanto siano simili i meno noti<br />

eventi del mondo arabo nel ventesimo secolo. Consente soprattutto <strong>di</strong><br />

rilevare che i due perio<strong>di</strong> storici sono stati animati dallo stesso spirito<br />

nazionalistico dei popoli.<br />

2. 1814-1815: il Congresso <strong>di</strong> Vienna e le sue conseguenze<br />

Negli anni fra il 1796 e il 1814, le armate napoleoniche avevano attraversato<br />

l’Europa sconvolgendone il tessuto economico e sociale ma<br />

suscitando ovunque attese che guardavano ai principi universali posti<br />

dalla rivoluzione francese.<br />

Dopo la sconfitta <strong>di</strong> Napoleone, il Congresso <strong>di</strong> Vienna ebbe l’obiettivo<br />

<strong>di</strong> rimettere or<strong>di</strong>ne. A Vienna non doveva essere ratificata la<br />

pace perché questa era stata già definita a Parigi il 30 maggio 1814. Il<br />

Congresso fu un’assemblea delle quattro potenze – Austria, Prussia,<br />

Inghilterra e Russia – che, avendo vinto la guerra, volevano dare all’Europa<br />

un assetto politico e sociale che fosse riconosciuto e rispettato<br />

da tutti gli stati e da tutti i popoli. A questo <strong>di</strong>rettorio, successivamente,<br />

fu ammessa anche la Francia.<br />

I problemi da affrontare erano numerosi: i rapporti delle potenze<br />

vincitrici fra <strong>di</strong> loro e con la Francia, la fondatezza o meno del principio<br />

<strong>di</strong> nazionalità <strong>di</strong> fronte al principio <strong>di</strong> legittimità <strong>di</strong>nastica, l’in<strong>di</strong>pendenza<br />

o l’autonomia della Polonia <strong>di</strong> fronte all’espansionismo dello<br />

zar Alessandro, il destino della Sassonia e degli altri principati tede-<br />

12


schi davanti alle pretese della Prussia, l’ipotesi <strong>di</strong> una confederazione<br />

tedesca, il riassetto dell’Italia secondo il principio <strong>di</strong> legittimità o meno,<br />

i rapporti fra la Spagna e la Francia nel quadro del patto della famiglia<br />

Borbone. E, inoltre, la situazione dei piccoli stati europei ricostituiti,<br />

l’ampliamento della Svezia, il controllo del mar Baltico e il<br />

controllo delle vie <strong>di</strong> comunicazione mon<strong>di</strong>ali che l’Inghilterra tendeva<br />

a monopolizzare assumendo il controllo politico dei punti strategici<br />

del globo (Gibilterra, le principali isole del Me<strong>di</strong>terraneo, Capo <strong>di</strong><br />

Buona Speranza, ecc.).<br />

Le gran<strong>di</strong> capacità <strong>di</strong>plomatiche dei protagonisti, ma soprattutto<br />

dell’inglese Castlereagh e del francese Talleyrand, riuscirono a trovare<br />

una risposta ad ogni problema pur tenendo conto dell’orientamento<br />

autoritario del cancelliere austriaco Metternich, fedele al principio <strong>di</strong><br />

legittimità del suo imperatore. È <strong>di</strong>ffusamente accettato fra gli storici<br />

che l’opera del Congresso <strong>di</strong> Vienna fu grande: non solo per l’assetto<br />

territoriale europeo, che <strong>di</strong>ventò impossibile violare per l’autorità delle<br />

potenze firmatarie, ma anche perché furono poste le basi del <strong>di</strong>ritto<br />

pubblico internazionale.<br />

Meno apprezzate furono le scelte politiche e quelle etico-sociali: i<br />

patrioti italiani, tedeschi e polacchi non accettarono che ne fossero<br />

ignorate le attese nazionalistiche; i liberali francesi, austriaci, inglesi e<br />

<strong>di</strong> tutt’Europa non con<strong>di</strong>visero che fossero stati trascurati quegli ideali<br />

che illuminismo e rivoluzione francese avevano affermato come inalienabili<br />

<strong>di</strong>ritti umani.<br />

Il malcontento dei popoli europei non fu tenuto a bada per lungo<br />

tempo: la Restaurazione del 1814 sarà contestata dai moti nazionali e<br />

liberali europei del 1820-1821 e del 1830-1831 e sarà travolta dalle rivoluzioni<br />

del 1848 che, con intensità <strong>di</strong>rompente e simultanea, assumeranno<br />

<strong>di</strong>mensioni internazionali. In questo quadro politico-sociale,<br />

il clima culturale del Romanticismo <strong>di</strong>ffondeva e sosteneva l’idea nazione<br />

che sarà potente stimolo all’unità d’azione dei popoli europei.<br />

* * *<br />

Fra le decisioni prese dalle potenze europee, probabilmente le conseguenze<br />

più drammatiche si ebbero in Polonia dove Russia, Prussia e<br />

Austria fecero <strong>di</strong> tutto per mortificare le attese nazionalistiche per un<br />

13


tempo lunghissimo: dovette trascorrere un secolo, dal Congresso <strong>di</strong><br />

Vienna del 1815 alla pace <strong>di</strong> Versailles del 1919, prima che la nazione<br />

polacca riuscisse a realizzare una Polonia unita.<br />

Cuscinetto fra tre gran<strong>di</strong> paesi, le sorti della Polonia erano state<br />

sempre con<strong>di</strong>zionate dalle pretese <strong>di</strong> quei paesi: fra alterne vicende, le<br />

speranze dei nazionalisti polacchi erano risorte con l’arrivo <strong>di</strong> Napoleone<br />

che aveva ricostituito il ducato <strong>di</strong> Varsavia con una parte delle<br />

province polacche e con una costituzione che <strong>di</strong>chiarava tutti i citta<strong>di</strong>ni<br />

uguali davanti alle leggi.<br />

La <strong>di</strong>fesa eroica dell’esercito polacco, che aveva ricacciato gli austriaci<br />

ed era riuscito ad occupare Cracovia, era stata premiata da Napoleone<br />

che aveva ingran<strong>di</strong>to il ducato. Le speranze, quin<strong>di</strong>, erano cresciute<br />

quando l’imperatore francese nel 1812 aveva deciso <strong>di</strong> attaccare<br />

la Russia che manteneva il dominio su vasti territori polacchi.<br />

La sconfitta <strong>di</strong> Napoleone e il Congresso <strong>di</strong> Vienna decisero le sorti<br />

della Polonia: il paese fu smembrato e <strong>di</strong>viso fra la Russia, la Prussia<br />

e l’Austria, senza alcun rispetto della sua realtà religioso-culturale.<br />

Simbolicamente rimasero autonomi il “Regno <strong>di</strong> Polonia”, comprendente<br />

una parte del vecchio ducato <strong>di</strong> Varsavia, e la Città libera <strong>di</strong> Cracovia.<br />

In effetti, il primo era un protettorato della Russia mentre Cracovia<br />

nel 1848 fu annessa definitivamente ai territori sotto il controllo<br />

dell’Austria. I nazionalisti polacchi non accettarono la situazione e,<br />

pur <strong>di</strong>visi fra loro in liberali e conservatori, mantennero agitato il paese<br />

per quasi un secolo con insurrezioni, guerriglia e le iniziative <strong>di</strong><br />

eserciti molto male equipaggiati. Il non intervento della Francia e dell’Inghilterra,<br />

tanto sperato dai patrioti polacchi, favorì il successo delle<br />

potenze occupanti che soffocarono nel sangue ogni tentativo insurrezionale<br />

(1830, 1845, 1848, 1863, 1870, 1890): i martiri impiccati, fucilati<br />

e imprigionati furono numerosi.<br />

La volontà <strong>di</strong> soffocare le speranze in<strong>di</strong>pentiste polacche spinse le<br />

potenze occupanti (una protestante e un’altra ortodossa) a contrastare<br />

l’azione del clero cattolico e a tentare ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> cancellare la lingua<br />

polacca imponendo nelle scuole il tedesco da una parte e il russo<br />

dall’altra. Le polizie delle potenze occupanti maltrattavano i patrioti<br />

che insorgevano, considerandoli ribelli, ban<strong>di</strong>ti, terroristi: molti scelsero<br />

la via dell’emigrazione e, assieme a quanti erano stati esiliati, si<br />

raccolsero soprattutto in Francia dove continuarono a svolgere un’atti-<br />

14


vità politica <strong>di</strong> propaganda per mantenere viva fra i rifugiati la speranza<br />

<strong>di</strong> una Polonia libera.<br />

Fra mille problemi, fu necessario attendere la pace <strong>di</strong> Versailles: era<br />

il 1919. Un secolo era trascorso fra rivolte, congiure, attentati e repressioni<br />

violente prima che fosse riconosciuto il <strong>di</strong>ritto dei Polacchi <strong>di</strong> veder<br />

rispettata la loro lingua e la loro religione in uno Stato in<strong>di</strong>pendente.<br />

* * *<br />

Relativamente più fortunata fu l’Italia: la presenza <strong>di</strong> uno Stato italiano<br />

– il regno <strong>di</strong> Piemonte - che in qualche modo partecipava al concerto<br />

europeo, anche se in secondo piano, favorì un movimento politico<br />

che, pian piano, raccolse attorno ad esso le speranze degli in<strong>di</strong>pendentisti<br />

e dei liberali italiani. Il processo fu lungo perché la resistenza non solo<br />

dell’Austria ma anche della Francia, che non volevano perdere le loro<br />

aree <strong>di</strong> influenza sui territori italiani, fu tenace e spesso spietata.<br />

L’ultimo colpo <strong>di</strong> coda della feroce volontà austriaca <strong>di</strong> non lasciare<br />

l’Italia si ebbe il 24 ottobre 1917: a Caporetto, l’esercito italiano fu messo<br />

in rotta non dalla crisi morale dei soldati, come fu sostenuto dai <strong>di</strong>sfattisti<br />

del tempo, ma dal bombardamento con gas tossici usato dalle armate<br />

austriache e tedesche. La sorpresa per la nuova arma così mici<strong>di</strong>ale<br />

e i morti a migliaia travolsero la resistenza italiana. Un anno dopo, il<br />

24 ottobre 1918 gli austriaci furono messi in rotta a Vittorio Veneto: l’in<strong>di</strong>pendenza<br />

dell’intera nazione italiana era stata completata.<br />

Non era stato un percorso agevole e il secolo trascorso dal Congresso<br />

<strong>di</strong> Vienna deve essere <strong>di</strong>viso in due tempi: quarant’anni <strong>di</strong> lotta<br />

politico-insurrezionale e sessant’anni <strong>di</strong> guerre militari del piccolo e<br />

improvvisato Stato italiano contro l’ancora solido impero asburgico.<br />

A Vienna, nel 1815, era stato deciso l’ampliamento della presenza<br />

austriaca che, estesa anche alle Venezie, aveva portato alla costituzione<br />

del regno lombardo-veneto mentre il regno <strong>di</strong> Sardegna aveva annesso<br />

la Liguria e Genova. I piccoli ducati centro-settentrionali, nominalmente<br />

in<strong>di</strong>pendenti, andavano sotto l’influenza austriaca mentre lo<br />

Stato pontificio rimaneva sotto un larvato protettorato francese. Il ricostituito<br />

regno <strong>di</strong> Napoli e Sicilia tornava ai Borbone.<br />

Il Risorgimento italiano fu, per i primi quarant’anni, una lotta politica<br />

clandestina contro l’assetto restauratore del Congresso non solo in<br />

15


termini <strong>di</strong>nastici ma soprattutto in termini liberali: l’annullamento e la<br />

revoca nel Lombardo-Veneto del Co<strong>di</strong>ce napoleonico e delle istituzioni<br />

del Regno italico assieme all’arroganza dell’esercito e della burocrazia<br />

asburgica trovarono un catalizzatore del malcontento popolare nella<br />

Carboneria che, con motivazioni <strong>di</strong>verse, operava in tutta l’Italia.<br />

Il programma della Carboneria non era estremistico ma, soprattutto<br />

nelle regioni del centro-nord, assunse uno spiccato carattere patriottico<br />

antiaustriaco alimentando la più esasperata repressione da parte<br />

della polizia austriaca. Con ancora una vaga idea d’unità nazionale, i<br />

moti insurrezionali (1820, 1821, 1830, 1831, 1834-1844, 1848, 1849)<br />

infiammarono tutti gli Stati nella speranza <strong>di</strong> ottenere norme costituzionali<br />

più liberali: la repressione dei “ribelli terroristi” (come sosteneva<br />

la polizia austriaca) fu cruenta e i morti furono migliaia. Molti i<br />

nomi che l’Italia ha venerato come eroi.<br />

Alla fine del 1849, l’Austria era riuscita a soffocare ovunque ogni attesa<br />

sia liberale sia in<strong>di</strong>pendentista ma manteneva il controllo ormai soltanto<br />

con la più violenta repressione armata: massacri, incen<strong>di</strong>, fucilazioni,<br />

crudeltà estreme e arbitri giu<strong>di</strong>ziari. Solo dopo seicento morti, il<br />

generale austriaco Haynau riusciva ad avere ragione dell’indomita resistenza<br />

casa per casa della rivolta bresciana che aveva resistito per <strong>di</strong>eci<br />

giorni (È sorprendente oggi, 11 novembre 2004, apprendere dal Capo <strong>di</strong><br />

Stato maggiore statunitense che a Falluja, in Iraq, la resistenza casa per<br />

casa dei combattenti iracheni è costata, finora, 600 vittime. Il casuale<br />

uguale numero <strong>di</strong> morti <strong>di</strong> Brescia del 1849 fa porre una domanda: perché<br />

i bresciani che, dopo la sconfitta <strong>di</strong> Carlo Alberto, si opposero all’invasore<br />

austriaco sono ricordati come martiri ed eroi e gli iracheni che<br />

si oppongono all’invasore americano sarebbero solo “terroristi”?).<br />

Uguale violenza fu spesa per soffocare le rivolte nel resto d’Italia.<br />

Ma la brutale reazione austriaca aveva i giorni contati: la coincidenza<br />

dell’azione spirituale, cospiratrice e insurrezionale <strong>di</strong> Giuseppe Mazzini<br />

con l’estro militare <strong>di</strong> Giuseppe Garibal<strong>di</strong> e con il genio <strong>di</strong>plomatico<br />

<strong>di</strong> Cavour consentì il raggiungimento dell’unità d’Italia che, dopo<br />

tre guerre d’in<strong>di</strong>pendenza contro l’Austria, fu completata nel 1918.<br />

In pratica, anche per l’Italia fu necessario un secolo per smontare<br />

quanto era stato <strong>di</strong>sposto dal Congresso <strong>di</strong> Vienna.<br />

16<br />

* * *


© ARMANDO EDITORE. La fotocopia non autorizzata è reato.<br />

Il problema dell’unificazione della nazione tedesca era <strong>di</strong>verso perché<br />

a questo processo partecipava una delle potenze militari più aggressive<br />

del tempo: la Prussia. Il Congresso <strong>di</strong> Vienna, per superare la<br />

crescente rivalità fra austriaci e prussiani, aveva confermato la piena<br />

sovranità dei principi tedeschi sui loro stati, aveva ampliato le <strong>di</strong>mensioni<br />

della Baviera, del Wurttemberg e dell’Assia, aveva rafforzato la<br />

presenza inglese nel Hannover e quella danese nel Holstein. Il Deutscher<br />

Bund esprimeva lo spirito <strong>di</strong> una restaurazione che era in conflitto<br />

con le attese del popolo tedesco che pian piano era coinvolto in<br />

quell’atmosfera anche romantica che – attraverso Lessing, Klopstock,<br />

Herder, Goethe, Schiller, Schlegel, Fichte, Hegel, Novalis, Wagner,<br />

ecc. – andava costruendo quel sentimento esaltato per il quale la nazione<br />

tedesca avrebbe creduto <strong>di</strong> avere la missione <strong>di</strong> guidare l’umanità.<br />

Anche se Goethe, nella sua visione universale dei problemi del<br />

mondo, aveva sostenuto che il nazionalismo era un ritorno alla barbarie,<br />

con Hegel si era affermata ed era prevalsa l’idea della funzione storica<br />

dello Stato nazionale. La strada non era agevole perché l’Austria<br />

minava nel Bund <strong>di</strong> Francoforte ogni proposta unificante mentre Federico<br />

Guglielmo lll <strong>di</strong> Prussia, nel suo esasperato legittimismo, rifiutava<br />

qualsiasi iniziativa che fosse contro lo spirito della Santa Alleanza.<br />

In questa situazione, nonostante la progressiva unione doganale (Zollverein),<br />

le <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e nel Bund convincevano sempre più il cancelliere<br />

prussiano Ottone <strong>di</strong> Bismarck che solo la forza delle armi avrebbe consentito<br />

quell’unificazione della Germania che era nelle cose.<br />

Con fulminee vittorie dei suoi eserciti, nel 1864 la Prussia batte la<br />

Danimarca assumendo il controllo dello Schleswig-Holstein, nel 1866<br />

attacca l’Austria e ottiene l’annessione del Hannover, dell’Assia e delle<br />

città <strong>di</strong> Francoforte e Nassau, nel 1870 sconfigge la Francia che cede<br />

l’Alsazia e la Lorena. Le vittorie militari entusiasmano i tedeschi<br />

che, a furor <strong>di</strong> popolo, costringono il Baden, il Wurttemberg e la Baviera<br />

ad entrare nella Confederazione della Germania: il re <strong>di</strong> Prussia<br />

assume il titolo d’imperatore della Germania unificata.<br />

Mentre procedeva l’unificazione tedesca, tenace ed insistente era<br />

stata l’opera dei liberali che ripetutamente avevano posto anche il problema<br />

<strong>di</strong> una costituzione democratica. Federico Guglielmo lll <strong>di</strong> Prussia<br />

non aveva mantenuto l’impegno assunto nel 1815 e, attaccato al<br />

17


suo potere assoluto, aveva respinto ogni idea <strong>di</strong> liberalismo. La <strong>di</strong>ffusa<br />

agitazione popolare era tenuta a bada da un’attenta vigilanza poliziesca<br />

che anticipava ogni tentativo <strong>di</strong> sommossa utilizzando i delatori<br />

che consentivano l’arresto dei cospiratori. Gli eventi della rivoluzione<br />

<strong>di</strong> Parigi del luglio 1830, però, si ripercuotevano sugli stati tedeschi<br />

dove un’energica e intensa propaganda liberale costringeva i sovrani <strong>di</strong><br />

Sassonia, <strong>di</strong> Hannover e d’Assia a concedere la costituzione. La Prussia<br />

riuscì a resistere solo accrescendo la violenza poliziesca e le persecuzioni<br />

preventive anche <strong>di</strong> cospiratori soltanto presunti. La pressione<br />

reazionaria della Prussia preoccupava quei tedeschi che guardavano a<br />

questo paese per l’unificazione della Germania, ed il fermento rivoluzionario<br />

del 1848, che vide le barricate anche a Berlino, riuscì a trovare<br />

ascolto.<br />

In contrasto con l’Assemblea nazionale riunita a Francoforte per re<strong>di</strong>gere<br />

un’unica costituzione per tutti gli stati tedeschi, il 5 <strong>di</strong>cembre<br />

1848 la Prussia concedeva una sua costituzione che voleva affermare<br />

l’autonoma sovranità prussiana rispetto agli altri stati: il cammino verso<br />

un’effettiva democrazia politica, come quello per l’unificazione già<br />

descritto, sarebbe stato ancora lungo. Lo spirito reazionario del Congresso<br />

<strong>di</strong> Vienna era quasi battuto, ma la turbolenta situazione tedesca<br />

avrebbe visto esplodere ancora una reiterata violenza: lo stesso Bismarck<br />

riuscì a scampare ad un primo attentato nel 1866 e ad un secondo<br />

nel 1875; in questo rimase ferito l’imperatore Guglielmo l. Nonostante<br />

la gran<strong>di</strong>osa legislazione sociale realizzata dal cancelliere tedesco,<br />

i moti rivoluzionari continuarono fino alla prima guerra mon<strong>di</strong>ale<br />

ed oltre.<br />

* * *<br />

Seguendola paese per paese - Polonia, Italia, Germania, ecc. –, la<br />

storia del <strong>di</strong>ciannovesimo secolo potrebbe apparire lineare. Ma non fu<br />

così: i rapporti fra i governi dei vari paesi e le attese nazionali, politiche<br />

e democratiche dei popoli europei furono così inter<strong>di</strong>pendenti da aver<br />

creato un’unica tensione su tutto il continente dall’Atlantico agli Urali<br />

e dal mar Baltico a quello Egeo. Fra il Congresso <strong>di</strong> Vienna e la pace <strong>di</strong><br />

Versailles, il <strong>di</strong>ciannovesimo fu uno dei secoli più confusi, drammatici<br />

e violenti della storia d’Europa. Per cento anni – e con ondate rivolu-<br />

18


zionarie più violente nel 1820-1821, nel 1830-1831 e nel 1848-1849 -<br />

tutti gli angoli d’Europa pullularono <strong>di</strong> sette spesso in contrasto d’intenti,<br />

cospiratori, servizi segreti camuffati da cospiratori, barricate, attentati,<br />

rivoluzioni, briganti senza ideali che ne traevano vantaggi, repressioni,<br />

fucilazioni, impiccagioni, torture, esili, vessazioni poliziesche,<br />

arbitrii giu<strong>di</strong>ziari: sembrava che l’Europa avesse perduto ogni riferimento<br />

alla sua cultura e, soprattutto, ogni riferimento a quei valori<br />

umani che bene o male erano già nel suo patrimonio civile.<br />

Per una maggiore completezza del quadro è utile una breve attenzione<br />

alle società segrete. Il sistema <strong>di</strong> potere nato dal Congresso <strong>di</strong><br />

Vienna impe<strong>di</strong>va ogni forma d’opposizione a quell’equilibrio politico<br />

che riteneva <strong>di</strong> aver dato alla situazione europea: era stato il primo dei<br />

tentativi <strong>di</strong> realizzare “un or<strong>di</strong>ne mon<strong>di</strong>ale”. La solidarietà fra trono e<br />

altare, sancita dalla Santa Alleanza, non ammetteva alcun pluralismo e<br />

il <strong>di</strong>ffuso spirito nazionalistico rompeva quell’unità ideologica che la<br />

Restaurazione aveva <strong>di</strong>segnato.<br />

In questo clima, l’opposizione non poteva che essere clandestina. Si<br />

<strong>di</strong>ffusero le società segrete e le sette che, nelle loro impostazioni organizzative,<br />

guardavano alla Massoneria francese ispirata da principi illuministici.<br />

In Italia agiva la Carboneria, in Germania operava la Jugendbund<br />

che contava soprattutto sulle associazioni universitarie, in<br />

Spagna era <strong>di</strong>ffusa la società segreta dei Comuneros, in Grecia era attiva<br />

l’Eteria e così in Russia, in Polonia, in Belgio, in Portogallo e in<br />

tutto il continente europeo: all’Europa degli equilibri era opposta l’Europa<br />

dei popoli, che anche nei paesi slavi non <strong>di</strong>edero tregua all’Austria<br />

e alla Russia. Le varie organizzazioni clandestine, anche se <strong>di</strong>verse<br />

nel tipo <strong>di</strong> proselitismo – universitario, militare, aristocratico, borghese<br />

- e nelle finalità che cercavano <strong>di</strong> perseguire – nazional-in<strong>di</strong>pendentistica,<br />

politico-liberale o politico-anarchica - instaurarono una<br />

rete <strong>di</strong> collegamenti e una solidarietà reciproca che, pur nell’essenza<br />

nazionalistica <strong>di</strong> ognuna <strong>di</strong> esse, si contrapponeva all’aiuto reciproco<br />

fra le potenze negli interventi militari e polizieschi a <strong>di</strong>fesa dell’or<strong>di</strong>ne<br />

sociale e politico imposto.<br />

In<strong>di</strong>cativo della solidarietà fra i cospiratori fu lo spirito con il<br />

quale, per la prima volta, si espresse la partecipazione <strong>di</strong> volontari<br />

internazionali a fianco dell’insurrezione del popolo greco, che lottava<br />

per la sua in<strong>di</strong>pendenza: le feroci repressioni operate dai Turchi<br />

19


e i reciproci massacri avevano eccitato la commozione <strong>di</strong> tutta l’Europa<br />

e i poeti romantici avevano colto nella lotta della Grecia, culla<br />

della cultura europea, ulteriori entusiasmi per stimolare i valori della<br />

nazione e l’organica unicità degli intenti dei popoli.<br />

I collegamenti fra le società segrete, inoltre, consentivano <strong>di</strong> trovare<br />

ospitalità agli esiliati <strong>di</strong> tutti i paesi che vagavano soprattutto fra la<br />

Svizzera, l’Inghilterra e la Francia alimentando il rancore verso i governi<br />

autoritari. L’o<strong>di</strong>o per l’Austria, che era vista come la potenza<br />

protagonista <strong>di</strong> ogni reazione repressiva, era <strong>di</strong>ffuso ed unanime ma la<br />

<strong>di</strong>visione interna del fronte rivoluzionario impe<strong>di</strong>va ogni successo.<br />

Nella società civile era <strong>di</strong>ffusa la paura che nasceva dalla demonizzazione<br />

dei “ribelli”, dei “briganti” e degli “anarchici”, dall’incertezza<br />

della situazione economico-sociale e dalla precaria sicurezza fisica.<br />

In quel tempo, l’establishment culturale esprimeva la più ferma riprovazione<br />

per la violenza delle iniziative e per l’insicurezza fisica e sociale.<br />

Dopo - pur persistendo letture storiografiche che continuarono a<br />

parlare <strong>di</strong> sfruttamento ipocrita dell’ingenuità popolare, <strong>di</strong> gretta cupi<strong>di</strong>gia<br />

delle classi abbienti, d’infantili romanticherie - quando gli avvenimenti<br />

persero la loro contingenza e consentirono <strong>di</strong> costatare gli obiettivi<br />

raggiunti, gli storici adeguarono le loro analisi che furono reimpostate<br />

guardando ai fatti in funzione dei gran<strong>di</strong> eventi e delle nuove realtà<br />

politico-sociali: le cause e gli effetti furono rovesciati e scomparvero le<br />

previsioni che le violente rivoluzioni avrebbero potuto determinare <strong>di</strong>sastri<br />

sociali. Oggi, sia i morti delle barricate e degli attentati come le uccisioni<br />

<strong>di</strong> regnanti e <strong>di</strong> capi <strong>di</strong> governo <strong>di</strong> quel tempo, sono tutti ricordati<br />

con sereno <strong>di</strong>stacco storico, ignorando il raccapriccio e l’esecrazione<br />

morale che avevano suscitato: è la storia con i suoi morti.<br />

C’erano, come sempre e com’è ovvio, i profittatori e solo chi riusciva<br />

ad intravedere la luce oltre la tempesta aveva mantenuto un costruttivo<br />

impegno coerente.<br />

Pur fra mille crimini, reciproche efferatezze, uccisioni pro<strong>di</strong>torie,<br />

massacri e nefandezze umane, infatti, il <strong>di</strong>ciannovesimo secolo fu fecondo<br />

e costruttivo: il passaggio dal principio <strong>di</strong> legittimità al principio<br />

<strong>di</strong> nazionalità fece affermare definitivamente il <strong>di</strong>ritto all’in<strong>di</strong>pendenza<br />

politica delle nazioni; fu affermato anche il <strong>di</strong>ritto costituzionale<br />

dei popoli ad una gestione democratica e liberale del potere<br />

politico.<br />

20


Non furono conquiste facili: l’Europa era stata squassata nelle sue<br />

strutture sociali e messa a ferro e a fuoco. E non tutto era stato risolto:<br />

per il riassetto nazionale dei popoli dei Balcani dovrà trascorrere anche<br />

il ventesimo secolo per superare interamente le conseguenze dello<br />

smembramento degli imperi asburgico e ottomano e le conseguenze<br />

della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />

3. 1919-1920: il Trattato <strong>di</strong> Versailles e le sue conseguenze<br />

È nella tra<strong>di</strong>zione del racconto storico citare il Trattato <strong>di</strong> Versailles<br />

come fatto conclusivo della prima guerra mon<strong>di</strong>ale. In effetti, a Versailles<br />

fu firmato soltanto il trattato <strong>di</strong> pace fra le potenze vincitrici e<br />

la Germania, mentre gli accor<strong>di</strong> con gli altri paesi che avevano perduto<br />

la guerra furono firmati in varie località. Poiché, ai fini <strong>di</strong> queste pagine,<br />

interessano le conseguenze che gli accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> pace ebbero sul<br />

Me<strong>di</strong>o Oriente, sarà utile guardare al trattato <strong>di</strong> pace firmato con la<br />

Turchia, alleata della Germania, a Sèvres il 10 agosto 1920.<br />

Le gravosissime con<strong>di</strong>zioni imposte con questo trattato al governo<br />

<strong>di</strong> Costantinopoli, in pratica prigioniero degli inglesi, non furono accettate<br />

da un altro governo nazionalista turco costituito ad Ankara.<br />

Questo governo, dopo aver condotto una campagna militare vittoriosa<br />

contro la Grecia, stipulò un nuovo Trattato <strong>di</strong> pace a Losanna il 24 luglio1923:<br />

furono cassate le con<strong>di</strong>zioni più mortificanti e quelle che ledevano<br />

l’unità del popolo turco, ma furono mantenute le pesanti rinunzie<br />

a tutti i posse<strong>di</strong>menti che ancora residuavano dal vecchio impero<br />

ottomano. La Turchia dovette cedere: l’Egitto e Cipro passarono<br />

all’Inghilterra; la Siria andò sotto mandato francese; l’Iraq, la Palestina<br />

e l’Arabia (in<strong>di</strong>pendente dal 1926) andarono sotto mandato britannico;<br />

il Dodecaneso sotto il controllo dell’Italia; gli Stretti dei Dardanelli<br />

furono internazionalizzati. La Turchia, inoltre, riconosceva l’in<strong>di</strong>pendenza<br />

dell’Armenia e rinunziava definitivamente ad ogni <strong>di</strong>ritto<br />

su Marocco, Tunisia, Libia e Sudan.<br />

Questi accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> pace non espressero un nuovo tentativo <strong>di</strong> concertare<br />

il <strong>di</strong>alogo internazionale come quello che era stato messo in atto<br />

dal Congresso <strong>di</strong> Vienna. Le impostazioni del 1815, con<strong>di</strong>vise o no,<br />

esprimevano ben precisi in<strong>di</strong>rizzi <strong>di</strong> gestione del <strong>di</strong>alogo fra le gran<strong>di</strong><br />

21


potenze che dovevano essere rispettati anche dalle potenze minori. Un<br />

secolo dopo, invece, queste impostazioni erano saltate e si era consolidato<br />

il rapace espansionismo imperialistico delle potenze coloniali<br />

europee: gli accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> Sèvres e <strong>di</strong> Losanna ne furono una conferma.<br />

Francia e Inghilterra si <strong>di</strong>visero i paesi dell’impero ottomano usando la<br />

riga sulla cartina geografica senza tenere in alcun conto i limiti dei territori<br />

effettivamente occupati dai vari popoli e, soprattutto, senza tenere<br />

in alcun conto le loro attese nazionali e culturali.<br />

Qualcuno ripete che l’o<strong>di</strong>o islamico non ha altre motivazioni che la<br />

barbara volontà <strong>di</strong> un ra<strong>di</strong>calismo religioso me<strong>di</strong>evale aizzato contro la<br />

civiltà occidentale per spirito <strong>di</strong> rivincita culturale o nella presunzione<br />

<strong>di</strong> potere islamizzare i paesi dell’Occidente. È un’affermazione che eufemisticamente<br />

si può definire superficiale ma che soprattutto è pericolosa<br />

perché sollecita iniziative isteriche. Le ragioni storiche sono più<br />

serie anche se ricordarle è banale perché sono risapute.<br />

Altri, volendo risalire a cause remote, in<strong>di</strong>cano nelle violenze dei<br />

crociati del basso me<strong>di</strong>oevo l’avvio <strong>di</strong> un risentimento storico al quale<br />

farebbe capo l’o<strong>di</strong>o attuale verso l’Occidente. Non è così: le violenze<br />

degli scontri <strong>di</strong> quel tempo, iniziati dagli arabi che nelle loro guerre <strong>di</strong><br />

espansione erano arrivati fino alla Spagna, erano violenze ‘’normali’’<br />

nel costume della guerra <strong>di</strong> quel tempo ed erano state reciproche. Inoltre,<br />

le conseguenze <strong>di</strong> quelle guerre, gestite con accor<strong>di</strong> <strong>di</strong>plomatici <strong>di</strong><br />

tutti i tipi, erano state ampiamente assorbite nei secoli. Per circa seicento<br />

anni, infatti, i paesi del nord Africa e del vicino Oriente sono stati<br />

amministrati dall’impero ottomano che ha avuto modo <strong>di</strong> attirare su<br />

<strong>di</strong> sè l’ostilità degli Arabi e degli islamici soggetti, stimolando le prime<br />

attese del loro nazionalismo in<strong>di</strong>pendentista. L’uso dell’espressione<br />

“crociati”, per in<strong>di</strong>care gli eserciti occidentali occupanti, da parte<br />

dei nazionalisti arabi è solo un’allusione storica.<br />

Fu alla fine della prima guerra mon<strong>di</strong>ale che gli Arabi si resero conto<br />

della malafede con la quale le potenze occidentali gestivano i rapporti<br />

con gli altri popoli. Gli accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> pace <strong>di</strong> Losanna mortificavano<br />

le speranze degli Arabi che vedevano tra<strong>di</strong>to l’entusiasmo con il quale<br />

avevano affiancato la guerra <strong>di</strong> Francia e Inghilterra contro l’impero<br />

ottomano: la resistenza dell’esercito turco nei deserti arabo, siriaco e<br />

palestinese era stata fiaccata grazie alle agili iniziative della cavalleria<br />

araba guidata dal leggendario Lawrence d’Arabia.<br />

22


Affrontando i problemi del Me<strong>di</strong>o Oriente, in un interessante articolo<br />

nel primo numero de Il Mondo <strong>di</strong> Pannunzio del 12 marzo 1949, Augusto<br />

Guerriero cita il carteggio fra l’inglese McMahon e gli Arabi e ricorda<br />

come l’ostilità araba sia iniziata con il tra<strong>di</strong>mento degli impegni<br />

assunti dall’Inghilterra fin dal 1914. Per l’in<strong>di</strong>gnazione per il mancato<br />

rispetto <strong>di</strong> questi impegni, il delegato presso gli Arabi, colonnello Lawrence<br />

si <strong>di</strong>mise dall’esercito inglese denunciando la vergogna dell’indecoroso<br />

inganno: la Siria con il Libano fu mantenuta sotto il controllo<br />

coloniale della Francia mentre l’Inghilterra mantenne il controllo sull’Egitto,<br />

l’Arabia, la Palestina e l’Iraq. La frustrazione araba accese i<br />

primi risentimenti verso l’Occidente la cui scorrettezza <strong>di</strong>ventò argomento<br />

d’accanito <strong>di</strong>battito clandestino nelle università arabe e denuncia<br />

palese nelle piazze del Cairo, <strong>di</strong> Damasco, <strong>di</strong> Bagdad: iniziò la repressione<br />

delle potenze coloniali con bombardamenti ed ecci<strong>di</strong>.<br />

Il <strong>di</strong>battito culturale islamico - che molti occidentali nella loro <strong>di</strong>sinformazione<br />

non ritengono neanche pensabile - nei contatti con la<br />

cultura europea aveva colto e assorbito gli aspetti positivi del nazionalismo<br />

che aiutava a superare i limiti del panislamismo e del panarabismo.<br />

Ma la conclusione della guerra aveva determinato una particolare<br />

con<strong>di</strong>zione che non c’era sotto l’impero ottomano e che per i princìpi<br />

dell’Islam era inaccettabile: la subor<strong>di</strong>nazione <strong>di</strong> musulmani agli infedeli.<br />

La reazione antieuropea, che oggi è genericamente confusa sempre<br />

con l’estremismo wahhabita, fu quin<strong>di</strong> fin dall’inizio anche d’ispirazione<br />

religiosa ma solo in quanto determinata da una situazione lesiva<br />

della <strong>di</strong>gnità dell’Islam. Dopo, per superare le inconciliabili e anarchiche<br />

frammentazioni dei popoli arabi in sette, etnie e tribù, il motivo religioso<br />

fu colto e stimolato dagli agitatori politici come elemento coagulante<br />

in funzione degli obiettivi nazionali da raggiungere, favorendo<br />

così la mistificante attribuzione <strong>di</strong> ogni opposizione islamica all’estremismo<br />

wahhabita.<br />

Contemporaneamente era stato ovvio in quelle Università avviare il<br />

recupero anche dei più antichi retaggi culturali che, con riferimento alle<br />

civiltà mesopotamiche e dell’antico Egitto, contribuirono a ricostruire<br />

intero l’orgoglio <strong>di</strong> quei popoli.<br />

L’esplosiva miscela religiosa, storico-culturale e politico-nazionalistica<br />

non poteva non deflagrare.<br />

23


Ma, prima <strong>di</strong> esaminare le particolari ragioni <strong>di</strong> delusione dei singoli<br />

paesi, è necessario ricordare qual è la realtà sociale, politica, religiosa<br />

e culturale <strong>di</strong> un contesto umano che solo la presuntuosa superficialità<br />

europea ed occidentale può continuare a giu<strong>di</strong>care utilizzando<br />

concetti come nazione, sovranità, confine, Stato, ecc. che nel<br />

mondo islamico hanno un valore quanto mai impreciso. La sopravvivenza<br />

dell’idea califfale nelle entità imperiali ottomane che avevano<br />

governato il mondo islamico aveva mantenuto una struttura sopranazionale<br />

la quale permetteva alle varie etnie e ai gruppi religiosi <strong>di</strong><br />

conservare un margine <strong>di</strong> azione autonoma. Il rapporto fra potere<br />

centrale e gruppi sociali era me<strong>di</strong>ato dal reciproco riconoscimento <strong>di</strong><br />

prerogative che favoriva la conservazione <strong>di</strong> specifici patrimoni culturali<br />

riferiti alla lingua, alla particolarità religiosa, all’etnia. Le unità<br />

amministrative, in altre parole, erano congrue ed omogenee in una<br />

prospettiva protonazionale che non trascurava <strong>di</strong> rispettare la presenza<br />

<strong>di</strong> realtà beduine e noma<strong>di</strong> che complicavano qualunque <strong>di</strong>visione<br />

territoriale netta. Questa considerazione chiarisce come le categorie<br />

che in Occidente definiscono il concetto <strong>di</strong> nazione – lingua, cultura,<br />

territorio, ecc. – nel mondo islamico siano inadeguate o <strong>di</strong>ventino<br />

mistificanti. Non deve essere trascurato, inoltre, che il contenuto legale<br />

dell’Islam, oltre quello religioso, è stato un aspetto unificante<br />

del mondo islamico che ha consentito la molteplicità delle situazioni<br />

politiche mantenendo l’unità culturale dei singoli e dei gruppi. Queste<br />

caratteristiche dovrebbero far comprendere come la coscienza<br />

collettiva musulmana abbia una <strong>di</strong>mensione sopranazionale che trova<br />

riscontro in un <strong>di</strong>ritto, d’origine <strong>di</strong>vina, che è collante storico <strong>di</strong><br />

una civiltà e <strong>di</strong> un mondo culturalmente compatto. In questo mondo,<br />

infine, un ulteriore profondo, autonomo valore ha il concetto, meglio<br />

il sentimento, <strong>di</strong> “nazione araba”: questo sentimento fa comprendere<br />

perché il problema che affligge un popolo arabo coinvolge tutto il<br />

mondo arabo nel suo insieme.<br />

La complessità politico-culturale descritta chiarisce quanto gravide<br />

<strong>di</strong> conseguenze negative siano state le linee dei confini fra gli stati<br />

tracciate arbitrariamente con la riga sulle carte geografiche dalle<br />

potenze occidentali vincitrici della prima guerra mon<strong>di</strong>ale. La molteplicità<br />

degli aspetti socio-politico-culturali, inoltre, deve essere tenuta<br />

presente quando, nelle pagine che seguono, per como<strong>di</strong>tà espositi-<br />

24


va si fa riferimento, in modo secco, alle istanze nazionalistiche delle<br />

entità sociali arabe me<strong>di</strong>orientali. E, soprattutto, deve essere ricordata<br />

quando le iniziative <strong>di</strong> singoli musulmani o <strong>di</strong> interi gruppi sociali<br />

sono prese nel nome della comunità islamica o della “nazione araba”<br />

che, alla cultura occidentale meno attenta, possono sembrare entità<br />

astratte.<br />

La consapevolezza <strong>di</strong> questo ra<strong>di</strong>cato patrimonio culturale, infine,<br />

deve aiutare a non trarre errate considerazioni dal successo che, nonostante<br />

il wahhabismo e il fondamentalismo sciita, ha la <strong>di</strong>ffusione della<br />

tecnologia occidentale: sotto, rimane l’orgoglio <strong>di</strong> una non scalfibile<br />

identità islamica.<br />

* * *<br />

Nei decenni a cavallo fra il <strong>di</strong>ciannovesimo e il ventesimo secolo,<br />

l’Egitto era ancora nominalmente una provincia vassalla dell’impero<br />

ottomano. Nei fatti, la larga autonomia goduta aveva favorito una progressiva<br />

assunzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>retti rapporti con le potenze europee. Già nel<br />

1869, infatti, i finanziamenti internazionali avevano consentito l’apertura<br />

del Canale <strong>di</strong> Suez che, per le conseguenze sul traffico marittimo<br />

da e per le In<strong>di</strong>e, aveva attirato l’interesse dell’Inghilterra.<br />

Le <strong>di</strong>fficoltà egiziane a rimborsare il debito finanziario assunto costituirono<br />

l’appiglio inglese per interferire sempre più pesantemente<br />

nelle questioni interne egiziane fino all’occupazione militare del paese<br />

sotto un regime imposto <strong>di</strong> protettorato. Il regime <strong>di</strong> protettorato,<br />

legalizzato(?) internazionalmente da un accordo con la Francia firmato<br />

nel 1904, fu <strong>di</strong>chiarato provvisorio dalla stessa Inghilterra. L’interferenza<br />

inglese nella gestione del paese arrivò fino all’organizzazione<br />

del sistema doganale e giu<strong>di</strong>ziario suscitando la sempre più violenta<br />

reazione dei nazionalisti egiziani che si andavano organizzando in<br />

partiti politici.<br />

Nel 1917, con la fine della guerra mon<strong>di</strong>ale che aveva visto il crollo<br />

dell’impero ottomano, avrebbe dovuto cessare il regime <strong>di</strong> protettorato<br />

che l’Inghilterra aveva <strong>di</strong>chiarato provvisorio: il partito nazionalista,<br />

appellandosi al <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> autodeterminazione dei popoli affermato<br />

dal presidente statunitense Wilson, chiese la cessazione dell’illegale<br />

occupazione dell’Egitto da parte inglese. Fra mille cavilli, incontri <strong>di</strong>-<br />

25


plomatici, accor<strong>di</strong> non rispettati e prepotenze palesi, la presenza militare<br />

inglese lungo “la valle del Nilo” fu mantenuta fino alla nazionalizzazione<br />

del Canale <strong>di</strong> Suez, nel 1956, da parte del colonnello Nasser,<br />

capo dei liberi ufficiali che, con un colpo <strong>di</strong> stato, avevano proclamato<br />

la repubblica.<br />

Vanificata la reazione anglo-francese per l’intervento degli Stati<br />

Uniti, la questione fra l’Egitto e l’Inghilterra poteva ritenersi chiusa<br />

ma, durante gli anni dell’occupazione britannica, l’ostilità antinglese<br />

era <strong>di</strong>ventata ostilità antioccidentale perché gli arabi si erano resi conto<br />

che le potenze europee si legalizzavano reciprocamente i comportamenti<br />

più arbitrari con Conferenze nelle quali si concedevano reciproche<br />

autorizzazioni a prevaricare sui popoli extraeuropei: nel 1928 era<br />

sorto il movimento politico e religioso Fratelli musulmani che, contestando<br />

la corruzione dei politici, si andava affermando fra le masse popolari<br />

sostenendo un integralismo religioso ritenuto necessario per opporre<br />

unitariamente il mondo islamico alle iniziative solidali che le potenze<br />

occidentali (cristiane) hanno sempre assunto e continuano ad assumere<br />

contro gli arabi e i paesi musulmani.<br />

La <strong>di</strong>ffusa ostilità antioccidentale è continuata a crescere fino a <strong>di</strong>ventare<br />

o<strong>di</strong>o per l’appoggio che l’Occidente dà ad Israele nella sua politica<br />

<strong>di</strong> progressiva occupazione della vicina Palestina araba. Il movimento<br />

Fratelli musulmani, così, si è <strong>di</strong>ffuso anche in Siria, nel Libano,<br />

in Giordania, in Arabia Sau<strong>di</strong>ta provocando più <strong>di</strong> un ecci<strong>di</strong>o antioccidentale.<br />

Chi mistifica le ragioni <strong>di</strong> quanto accade nel mondo descrive<br />

l’operato <strong>di</strong> questo movimento come jihai<strong>di</strong>smo che nasce da un integralismo<br />

religioso me<strong>di</strong>evale: <strong>di</strong>mentica che per il Corano lo jihad, come<br />

vedremo meglio più oltre, è una reazione ai torti subiti.<br />

* * *<br />

In Siria fu recitato dalla Francia lo stesso copione recitato in Egitto<br />

dall’Inghilterra. L’idea <strong>di</strong> poter o dover abbandonare ogni velleità imperiale<br />

non è stata accettata molto volentieri da nessuna potenza europea.<br />

Dopo gli accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> Sèvres del 1920, la Francia aveva tessuto gli<br />

opportuni accor<strong>di</strong> <strong>di</strong>plomatici per giungere alla decisione della Società<br />

delle Nazioni che, nel 1922, le affidava il mandato della Siria: nel modo<br />

più plateale era mortificato l’entusiasmo con il quale la cavalleria<br />

26


araba siriana al comando dell’inglese Lawrence era entrata per prima<br />

in Damasco liberata dai Turchi.<br />

L’opposizione dei nazionalisti siriani alla successiva decisione<br />

francese <strong>di</strong> <strong>di</strong>videre la Siria in quattro stati, fu duramente repressa dalla<br />

Francia con il bombardamento <strong>di</strong> Damasco (1925) e il massacro <strong>di</strong><br />

centinaia <strong>di</strong> civili inermi. La resistenza non fu fiaccata e dopo <strong>di</strong>eci<br />

anni <strong>di</strong> guerriglia nazionalista, nel 1936, fu stipulato un accordo franco-siriano<br />

che sanciva l’in<strong>di</strong>pendenza della Siria. Ma, come gli inglesi<br />

in Egitto, anche i francesi non erano <strong>di</strong>sponibili a rispettare gli impegni<br />

che assumevano con gli arabi: i presi<strong>di</strong> militari e le ingerenze<br />

amministrative francesi continuarono a non tener in alcun conto né gli<br />

impegni assunti né le aspirazioni in<strong>di</strong>pendentiste siriane per altri <strong>di</strong>eci<br />

anni. Nel 1945, l’insurrezione armata congiunta della Siria e del Libano<br />

contro le basi militari francesi provocò una violenta reazione che<br />

portò ancora una volta al bombardamento aereo <strong>di</strong> Damasco: ancora<br />

una volta, centinaia <strong>di</strong> civili inermi furono massacrati solo per sostenere<br />

l’arrogante volontà <strong>di</strong> un paese occidentale a mantenere soggetto<br />

un altro popolo.<br />

L’anno successivo, per l’intervento <strong>di</strong>plomatico anglo-statunitense<br />

e per la pressione della Lega Araba, costituita da poco, la Siria realizzava<br />

il suo sogno <strong>di</strong> piena sovranità che era costata migliaia <strong>di</strong> morti<br />

immolati dall’incapacità occidentale <strong>di</strong> ammettere che i fra popoli arabi<br />

correvano gli stessi fremiti d’in<strong>di</strong>pendenza nazionale che, un secolo<br />

prima, avevano attraversato l’Europa.<br />

Ma le motivazioni del rancore antioccidentale degli arabi siriani<br />

non erano terminate: dopo la guerra dei sei giorni perduta contro Israele<br />

nel 1967, la Siria non è ancora riuscita a recuperare le alture del Golan,<br />

occupate dall’esercito israeliano e successivamente da colonie<br />

ebraiche, nonostante le decisioni dell’ONU vanificate dal veto degli<br />

Stati Uniti che, nell’area me<strong>di</strong>orientale, hanno assunto il ruolo antiarabo<br />

che prima era svolto da Francia e Inghilterra.<br />

L’arrogante scarsa considerazione, con la quale i governi israeliani<br />

trattano la riven<strong>di</strong>cazione siriana del Golan, completa il quadro delle<br />

ragioni che anche in Siria hanno trasformato l’ostilità antioccidentale<br />

in o<strong>di</strong>o.<br />

* * *<br />

27


In Iraq, dopo la decisione dell’Inghilterra <strong>di</strong> non mantenere gli impegni<br />

assunti con la me<strong>di</strong>azione del colonnello Lawremce, l’Università<br />

<strong>di</strong> Bagdad <strong>di</strong>ventò il centro <strong>di</strong> un’accanita protesta che si <strong>di</strong>ffuse all’intero<br />

paese coinvolgendo lo spirito <strong>di</strong> autonomia tribale delle varie<br />

etnie e le attese nazionalistiche dei cur<strong>di</strong>.<br />

Gli anni dagli accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> Losanna del 1923, che prevedevano il<br />

mandato all’Inghilterra, fino alla definitiva cacciata degli inglesi nel<br />

1958, sono anni <strong>di</strong> violente proteste popolari, <strong>di</strong> attentati e <strong>di</strong> guerriglia.<br />

Sono anni che testimoniano la decisa volontà del popolo iracheno<br />

<strong>di</strong> non subire l’ottusa pretesa britannica <strong>di</strong> mantenere il controllo strategico-militare<br />

dell’area e <strong>di</strong> non mollare lo sfruttamento delle ricchezze<br />

petrolifere, che avevano determinato l’affiancamento degli<br />

americani agli inglesi. Quest’esperienza d’indomita guerriglia irachena<br />

durata trent’anni dovrebbe far riflettere quanti affermano che l’attuale<br />

(2004) guerriglia antiamericana sia alimentata solo da un fanatico<br />

“terrorismo” integralista.<br />

La violenza e la continuità delle proteste, che non erano sedate nonostante<br />

la brutale repressione esercitata dalle truppe britanniche, aveva<br />

determinato i tentativi <strong>di</strong> ipocriti trattati che riconoscevano l’autonomia<br />

irachena ma mantenevano il <strong>di</strong>ritto dell’esercito inglese <strong>di</strong> presi<strong>di</strong>are il<br />

paese e gestire il petrolio: nel 1922, 1926,1927, 1930, ad ogni firma <strong>di</strong><br />

accordo fra il governo <strong>di</strong> Londra e i governi fantoccio iracheni imposti,<br />

il popolo insorgeva con le più violente manifestazioni anche contro gli<br />

stessi iracheni che si accordavano con gli inglesi. È quanto sta accadendo<br />

anche in questi primi anni duemila e solo un Governo in mala fede e<br />

fondamentalista come quello <strong>di</strong> George W. Bush può far finta <strong>di</strong> non<br />

comprendere che un popolo con una cultura non inferiore a quella occidentale<br />

(il numero <strong>di</strong> analfabeti in Iraq è inferiore a quello <strong>di</strong> molti paesi<br />

occidentali) non accetterà mai una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> subalternità.<br />

Nei primi decenni del ventesimo secolo fino alla proclamazione<br />

della repubblica con il colpo <strong>di</strong> stato del generale al-Kassem, nel 1958,<br />

l’Iraq fu espressione <strong>di</strong> un indomito spirito nazionalistico ad ondate<br />

sempre più violente. Il massimo della brutalità fu espresso nel 1952<br />

quando nella rabbia contro gli inglesi furono accomunati gli americani<br />

presenti nel paese, che ormai avevano gettato la maschera: <strong>di</strong>etro l’ipocrita<br />

spirito wilsoniano, l’avida volontà <strong>di</strong> mettere le mani sul petrolio<br />

iracheno era chiara a tutti.<br />

28


La storia più recente non è che una prosecuzione delle conseguenze<br />

determinate dalla contrad<strong>di</strong>zione occidentale <strong>di</strong> tentare <strong>di</strong> coprire<br />

con l’ostentazione <strong>di</strong> valori democratici i più materiali interessi economici.<br />

Fra guerre con i cur<strong>di</strong>, nazionalizzazioni e colpi <strong>di</strong> stato appoggiati<br />

dagli americani che avevano portato al potere Saddam Hussein,<br />

certamente un autocrate criminale ma costruito dalla CIA. Siamo<br />

arrivati, così, alla guerra dell’Iraq all’Iran, che gli Stati Uniti hanno stimolato<br />

e armato per tentare <strong>di</strong> recuperare il controllo dei pozzi petroliferi<br />

che l’Iran <strong>di</strong> Mossadeq aveva nazionalizzato. Nella successiva<br />

guerra al Kuwait, invece, gli americani si sono schierati contro l’Iraq<br />

perché i pozzi petroliferi kuwaitiani sono già sotto il controllo loro e<br />

degli inglesi.<br />

Oggi, è chiaro a tutto il mondo non prono che l’attuale occupazione<br />

statunitense, come tutti gli altri movimenti <strong>di</strong>plomatici e militari<br />

nell’area me<strong>di</strong>orientale, è determinata dalla necessità dell’economia<br />

occidentale <strong>di</strong> accedere con regolare sicurezza alle fonti <strong>di</strong> petrolio:<br />

ogni altro argomento morale, democratico-liberale e religioso-culturale<br />

è soltanto un’ipocrita mistificazione.<br />

Consapevoli <strong>di</strong> essere nella bufera per l’interesse degli americani<br />

per il loro petrolio, gli iracheni esprimono il più brutale degli o<strong>di</strong> antioccidentali<br />

e non si placheranno fino a quando non saranno liberi <strong>di</strong><br />

decidere come mettersi d’accordo a casa loro nel rispetto delle loro tra<strong>di</strong>zioni<br />

culturali, politiche e sociali, che si possono anche non con<strong>di</strong>videre<br />

ma che devono essere rispettate.<br />

Nella gravità <strong>di</strong> quanto accade in Iraq, molti occidentali richiamano<br />

con insistenza l’attenzione sulla brutalità della “resistenza” antiamericana<br />

irachena, che viene chiamata “terrorismo”, e ne addebitano le efferatezze<br />

alla “barbarie” <strong>di</strong> quella cultura e all’estremismo del fondamentalismo<br />

islamico. Come sempre, la storia tenta <strong>di</strong> scriverla chi crede<br />

<strong>di</strong> aver vinto: forse, ricordando gli ecci<strong>di</strong> e i crimini commessi in tutta<br />

Europa negli anni quaranta del secolo scorso dalla “resistenza” antitedesca<br />

anche contro connazionali che collaboravano con il nemico, la<br />

situazione irachena potrebbe essere guardata con maggiore <strong>di</strong>stacco.<br />

In questo senso, per ricordare qualcosa, potrebbe essere utile leggere<br />

Il sangue dei vinti <strong>di</strong> Gianpaolo Pansa nel quale sono descritti decine<br />

<strong>di</strong> ecci<strong>di</strong> e centinaia <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>, stupri, torture e violenze compiuti<br />

durante la resistenza e nel dopoguerra dai “partigiani” (se fossero<br />

29


stati iracheni si <strong>di</strong>rebbe “terroristi”) italiani contro altri italiani per punizione,<br />

per vendetta, per fanatismo politico e per o<strong>di</strong>o <strong>di</strong> classe. Un passo<br />

(pag. 300) è significativo per tutti: «Il 10 giugno, due partigiani, Tarzan<br />

e Bega, entrarono nella canonica e intimarono al sacerdote <strong>di</strong> consegnare<br />

centomila lire… Don Guicciar<strong>di</strong> obbedì. Ma, mentre voltava le<br />

spalle ai due, Tarzan gli sparò a bruciapelo un colpo alla testa…».<br />

E questo non è il più macabro degli orrori descritti da Pansa e commessi<br />

dai “cattolici” partigiani italiani.<br />

Gli episo<strong>di</strong> simili del confuso dopoguerra iracheno suscitano il raccapriccio<br />

e la condanna degli occidentali: è giusto.<br />

Ma, chi si permette <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> barbarie “islamica” deve chiarire:<br />

cosa c’è <strong>di</strong> nuovo sotto il sole? E a quale latitu<strong>di</strong>ne?<br />

* * *<br />

Anche la più breve analisi dei fatti della Palestina impone una premessa<br />

che eviti ogni possibile equivoco.<br />

La <strong>di</strong>mensione dell’orrore <strong>di</strong> quanto è stato fatto agli Ebrei nella<br />

prima metà del secolo scorso ne impone la più rispettosa memoria e<br />

impone la decisa affermazione che è sacrosanto il <strong>di</strong>ritto degli Ebrei ad<br />

avere una terra e uno Stato propri.<br />

Questo rispetto, però, non deve consentire che un tabù impe<strong>di</strong>sca<br />

sempre e a chiunque <strong>di</strong> esprimere una qualche valutazione non solo sul<br />

comportamento degli israeliani ma anche degli ebrei che nel mondo ne<br />

<strong>di</strong>fendono sempre e comunque anche i comportamenti più <strong>di</strong>scutibili:<br />

il <strong>di</strong>ritto dei Palestinesi <strong>di</strong> avere una terra propria non è meno sacrosanto<br />

ed è fuori da ogni legge morale chi ritiene <strong>di</strong> potergliela rubare a<br />

poco a poco.<br />

I <strong>di</strong>plomatici, probabilmente, possono usare espressioni più moderate,<br />

ma la realtà dei fatti storici non può essere mistificata: un furto<br />

lento, violento, progressivo e calcolato è quanto è accaduto ed accade<br />

in Palestina.<br />

La Palestina, soggetta prima ai califfati arabi e poi all’impero ottomano,<br />

dal 635 d.C. in poi, è stata patria in<strong>di</strong>sturbata degli arabi mentre<br />

oggi è contesa fra Palestinesi ed Ebrei che, sostenuti dai Paesi occidentali<br />

e dai gran<strong>di</strong> mezzi finanziari delle banche ebree, negli ultimi<br />

cento anni vi si sono trasferiti in massa.<br />

30


«Nel 1881, alla vigilia dell’immigrazione ebraico-sionista, la popolazione<br />

palestinese era <strong>di</strong> circa 457.000 persone: 400.000 arabi musulmani,<br />

13.000-20.000 ebrei e 42.000 cristiani (in gran parte greco-ortodossi).<br />

Qualche altro migliaio <strong>di</strong> ebrei risiedeva stabilmente in Palestina<br />

senza possedere la citta<strong>di</strong>nanza ottomana» si legge nella storia moderna<br />

<strong>di</strong> questa terra scritta dallo storico ebreo Benny Morris (Vittime,<br />

BUR) con apprezzabile equilibrio ed utilizzata per scrivere queste note.<br />

Ad essa è rimandato chi voglia conoscere nei particolari le vicende<br />

e i contrasti fra ebrei e palestinesi che hanno portato all’attuale drammatica<br />

situazione.<br />

È stato citato uno storico ebreo accre<strong>di</strong>tato per evitare che i rabbini<br />

più scorretti lancino subito l’accusa calunniosa <strong>di</strong> antisemitismo come<br />

fanno sempre quando è data una notizia <strong>di</strong> qualsiasi tipo che non ritengono<br />

nell’interesse del “popolo ebraico”. Nel capitolo finale <strong>di</strong> questo<br />

saggio saranno esaminati i limiti e la fondatezza <strong>di</strong> questa espressione;<br />

qui interessa aver stabilito il punto <strong>di</strong> partenza demografico in<br />

quella terra all’inizio dell’incontro-scontro fra arabi ed ebrei.<br />

Nel 1896, Theodor Herzl pubblicava Lo Stato ebraico e nel 1897<br />

fondava l’Organizzazione sionistica mon<strong>di</strong>ale: furono i punti <strong>di</strong> partenza<br />

<strong>di</strong> un’intensa attività anche <strong>di</strong>plomatica per fondare uno Stato<br />

ebraico. Il luogo da scegliere inizialmente fu incerto e si riteneva possibile<br />

fondare il nuovo Stato nelle gran<strong>di</strong> praterie fertili ma non popolate<br />

dell’Argentina. Pian piano si fece strada e prevalse l’idea <strong>di</strong> un ritorno<br />

in Palestina. “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”<br />

fu lo slogan che accompagnò la sollecitazione del ritorno degli<br />

ebrei, <strong>di</strong>mostrando fin dall’inizio non solo quanto fosse sottovalutato<br />

il <strong>di</strong>ritto degli arabi che occupavano quella terra da mille e trecento anni<br />

ma anche come volutamente non fosse presa in attenta valutazione<br />

la consistenza numerica del popolo già presente nel territorio.<br />

Il 26 aprile 1916 Francia e Inghilterra si accordano segretamente<br />

per <strong>di</strong>vidersi il controllo dell’impero ottomano contro il quale era in<br />

corso la Grande Guerra: il controllo della Palestina dovrà andare all’Inghilterra.<br />

Il 2 novembre 1917 il ministro degli esteri inglese<br />

Balfour, ignorando ogni rispetto degli arabi, <strong>di</strong>chiara la volontà <strong>di</strong> “favorire<br />

l’instaurazione in Palestina <strong>di</strong> un focolare nazionale per il popolo<br />

ebraico”. È l’inizio <strong>di</strong> un sempre più massiccio trasferimento verso<br />

quella terra <strong>di</strong> ebrei che, con il sostegno dei gran<strong>di</strong> mezzi finanzia-<br />

31


i delle istituzioni ebraiche, acquistano dagli arabi estensioni sempre<br />

più vaste <strong>di</strong> terreno.<br />

Finita la guerra e, dopo la pace <strong>di</strong> Sèvres, assegnata la Palestina al<br />

controllo dell’Inghilterra, questa continuò ad ignorare le possibili reazioni<br />

arabe e continuò a favorire il trasferimento <strong>di</strong> ebrei il cui afflusso<br />

sempre più massiccio, però, <strong>di</strong>ede l’inizio alle proteste degli arabi:<br />

iniziarono scontri armati fra le due comunità che la polizia britannica<br />

non era in grado <strong>di</strong> tenere sotto controllo. Il malcontento anche dei<br />

paesi arabi vicini cominciò a preoccupare l’Inghilterra che, resasi conto<br />

degli errori politico-<strong>di</strong>plomatici commessi, fece il tentativo <strong>di</strong> trovare<br />

un accordo fra i Palestinesi e gli Ebrei: iniziò l’iter che pian piano<br />

ha costruito il dramma attuale dei Palestinesi che tutto il mondo<br />

arabo sente come oltraggio alla sua <strong>di</strong>gnità e come costante vulnus ai<br />

suoi <strong>di</strong>ritti politici. Il punto <strong>di</strong> partenza fu, nel 1936, la nomina della<br />

Commissione Peel che avrebbe dovuto <strong>di</strong>videre la Palestina fra Arabi<br />

ed Ebrei.<br />

La Commissione propose una <strong>di</strong>visione del territorio per un 80% ai<br />

Palestinesi e per un 20% agli Ebrei: si richiama l’attenzione sul rapporto<br />

fra queste porzioni perché in esso è tutta la storia della violenta<br />

truffa storica perpetrata progressivamente in danno degli Arabi. Le<br />

proteste dei Palestinesi, che si vedevano sottratte molte terre, fecero<br />

scattare una serie <strong>di</strong> attentati organizzati da una banda <strong>di</strong> terroristi<br />

ebrei, l’Irgun Zwai Leumi, già fondata nel 1931 con il <strong>di</strong>chiarato scopo<br />

<strong>di</strong> intimi<strong>di</strong>re e cacciare i palestinesi. La storia ufficiale e non contestata<br />

<strong>di</strong> questa banda <strong>di</strong> terroristi documenta la malafede <strong>di</strong> tutti i successivi<br />

governi israeliani che hanno avuto come primi ministri anche<br />

ex capi <strong>di</strong> questa organizzazione che si sono macchiati <strong>di</strong> crimini efferati<br />

<strong>di</strong> cui si sono anche vantati (Begin e Shamir). Fu l’inizio <strong>di</strong> violenze<br />

feroci in luoghi affollati e mezzi <strong>di</strong> trasporto contro civili arabi<br />

inermi e guarnizioni militari inglesi: i crimini del nazismo verranno<br />

poco dopo e questa scala dei tempi documenta come quello che oggi<br />

gli Ebrei denunciano come terrorismo abbia una culturale primogenitura<br />

ebraica nonostante ogni successivo tentativo <strong>di</strong> mistificazione<br />

suggerita dal fatto che anche i palestinesi si organizzarono in bande<br />

terroristiche. Lo storico ebreo Benny Morris scrive ‘’siamo stati noi<br />

ebrei a <strong>di</strong>mostrare ai palestinesi quanto sia efficace il terrorismo (Vittime,<br />

BUR).<br />

32


© ARMANDO EDITORE. La fotocopia non autorizzata è reato.<br />

Possiamo e dobbiamo tutti condannare la violenza. Ma, se un popolo<br />

ha rubato la terra ad un altro popolo con azioni terroristiche, non<br />

ha alcuna patente morale per condannare le azioni terroristiche del popolo<br />

derubato che tenta <strong>di</strong> sopravvivere: anche in questo caso, la violenza<br />

<strong>di</strong> risposta, lo jihad come <strong>di</strong>ce il Corano, è la reazione ad un torto<br />

ricevuto.<br />

Incapace <strong>di</strong> risolvere la complessa situazione determinata dalla reciproca<br />

violenza dei contendenti e non volendo prendere iniziative<br />

contro il più feroce terrorismo ebraico, l’Inghilterra affidò il problema<br />

all’ONU che, nel 1947, decise <strong>di</strong> <strong>di</strong>videre la Palestina attribuendo ad<br />

Israele il 55% del territorio e ai Palestinesi il restante 45%. Nonostante<br />

l’evidente torto agli Arabi (scesi dall’80% al 45%), le bande terroristiche<br />

<strong>di</strong> ebrei - Irgun e banda Stern - iniziarono una serie <strong>di</strong> massacri<br />

<strong>di</strong> palestinesi inermi (a Deir Yassin l’ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> circa 200 palestinesi<br />

suscitò perfino la protesta <strong>di</strong> tutto il mondo ebraico pacifista, che è una<br />

maggioranza vasta ma impotentemente imbelle) per farli fuggire e<br />

aprire la strada ai ‘’coloni’’ (integralisti ebrei fanatici quanto e più dei<br />

peggiori fondamentalisti islamici).<br />

La <strong>di</strong>fesa delle posizioni israeliane fu assunta dagli Stati Uniti e da<br />

buona parte dell’Occidente, memore dei torti fatti agli ebrei dal nazismo<br />

e da secoli <strong>di</strong> assurde persecuzioni promosse dalla Chiesa cattolica e dalle<br />

Confessioni protestanti: fu posto e continua ad essere posto il ‘’veto’’<br />

ad ogni decisione dell’Onu volta a ristabilire la verità dei fatti <strong>di</strong> Palestina<br />

e, soprattutto, volta a fermare lo strapotere militare israeliano che, approfittando<br />

delle azioni terroristiche palestinesi, anch’esse riprovevoli<br />

per le vittime che provocano, sta conducendo un lento genoci<strong>di</strong>o del popolo<br />

palestinese e una lenta erosione dei suoi territori che, depurati delle<br />

‘’colonie’’ e delle vie <strong>di</strong> comunicazione fra le stesse riservate agli<br />

ebrei, sono ridotti a meno del 20% della Palestina originaria.<br />

Lo stato <strong>di</strong> fatto è quello che emerge dalla cartina riportata nella<br />

fig.1 che riproduce anche un Muro che gli Israeliani hanno in costruzione<br />

con l’intento <strong>di</strong> chiudere i palestinesi dentro un ghetto invalicabile.<br />

I ricor<strong>di</strong> storici evocano fatti umanamente indecorosi: il muro <strong>di</strong><br />

Varsavia dentro il quale i nazisti tedeschi avevano chiuso gli ebrei polacchi<br />

e le circoscrizioni dell’apartheid nelle quali i sudafricani “bianchi”<br />

chiudevano le popolazioni africane. La storia si ripete: i perseguitati<br />

hanno subito, hanno imparato e sono <strong>di</strong>ventati aguzzini.<br />

33


Fig.1 Carta della Cisgiordania palestinese con evidenza<br />

degli inse<strong>di</strong>amenti ebraici e del Muro in costruzione<br />

Pur in questa drammatica situazione che danneggia i Palestinesi, la<br />

pace fra i due popoli sarebbe facilmente raggiungibile con lo sgombero<br />

<strong>di</strong> tutti gli inse<strong>di</strong>amenti colonici da Gaza e dalla Cisgiordania: è<br />

un’ipotesi che i rabbini ebraici estremisti e i loro fanatici seguaci non<br />

34


accetteranno mai perché, pur <strong>di</strong> non cedere, sono <strong>di</strong>chiaratamente <strong>di</strong>sponibili<br />

anche alla più cruenta guerra civile con gli altri israeliani <strong>di</strong><br />

buon senso che sono una maggioranza purtroppo impotente. Lamenta<br />

David Grossmann, uno degli scrittori ebraici più illuminati: “È possibile<br />

che il fondamentalismo <strong>di</strong> poche decine <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> irresponsabili<br />

fanatici, che pretendono <strong>di</strong> occupare questo o quel luogo mitico<br />

della Bibbia, debba impe<strong>di</strong>re a milioni <strong>di</strong> Ebrei <strong>di</strong> vivere in pace?”<br />

Purtroppo, non c’è alcuna speranza che questa trage<strong>di</strong>a possa terminare<br />

fino a quando non sarà rispettata la <strong>di</strong>gnità del popolo palestinese<br />

e fino a quando questo popolo non avrà una sua terra libera e continua<br />

e non quel territorio frammentato da colonie e intersecato da vie<br />

riservate alle forze armate israeliane che la figura 1 evidenzia.<br />

Oggi, 12 novembre 2004, i solenni funerali del Cairo ad Arafat,<br />

trentennale simbolo della resistenza palestinese, con l’omaggio delle<br />

delegazioni ufficiali <strong>di</strong> tutti gli Stati europei, <strong>di</strong> tutti gli Stati africani,<br />

<strong>di</strong> tutti i paesi islamici e della più gran parte del mondo ha chiarito da<br />

quale parte stia la ragione morale, anche sesolo un intervento energico<br />

degli Stati Uniti potrebbe risolvere il problema. Purtroppo, un loro intervento<br />

efficace è escluso da due ragioni: i presidenti statunitensi sono<br />

con<strong>di</strong>zionati dal voto degli elettori ebrei americani e Israele è l’unico<br />

alleato sicuro degli Stati Uniti nello scacchiere me<strong>di</strong>orientale. Gli<br />

Arabi ne pagano le conseguenze e, ad ogni veto all’ONU che impe<strong>di</strong>sce<br />

decisioni contro Israele, il loro rancore verso l’America e verso il<br />

sionismo cresce.<br />

Nel prendere atto <strong>di</strong> questo rancore si ricor<strong>di</strong> che gli Arabi, semitici,<br />

erano l’unico popolo presso il quale gli Ebrei non avevano subito le<br />

persecuzioni feroci e continue subite presso gli europei cristiani: l’o<strong>di</strong>o<br />

arabo antiebraico è il risultato o<strong>di</strong>erno della stupi<strong>di</strong>tà della real politic<br />

occidentale.<br />

* * *<br />

Le vicende dei paesi arabi me<strong>di</strong>orientali hanno mostrato le specifiche<br />

ragioni che hanno motivato ed alimentato un rancore che è ormai<br />

o<strong>di</strong>o profondo. I popoli me<strong>di</strong>orientali costatano giorno dopo giorno<br />

quanto la loro apparente e formale in<strong>di</strong>pendenza politica sia nei fatti<br />

con<strong>di</strong>zionata dalla rilevanza strategica che le ricchezze petrolifere <strong>di</strong><br />

35


quest’area hanno per l’economia occidentale. Permane, infatti, uno stato<br />

effettivo <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza dall’Occidente (leggi Stati Uniti) che, con le<br />

buone o con le cattive, continua a controllarne ogni iniziativa.<br />

Nel 1956, è fallito il tentativo <strong>di</strong> Francia e Inghilterra <strong>di</strong> riaffermarsi<br />

potenze imperiali occupando il canale <strong>di</strong> Suez con la collaborazione<br />

militare d’Israele, interessato a rovesciare il governo rivoluzionario<br />

egiziano del colonnello Nasser. L’operazione, che aveva rasentato il ri<strong>di</strong>colo,<br />

fu revocata su pressione degli Stati Uniti: fu sancita la fine del<br />

“momento inglese nel Me<strong>di</strong>o Oriente”, iniziato nel 1918.<br />

Nel 1957, l’epopea d’Algeri concluse la guerra d’Algeria e poco<br />

dopo chiuse la presenza coloniale francese nel Nord Africa. L’immagine<br />

della Francia fu umiliata dalla denuncia degli efferati sistemi <strong>di</strong><br />

tortura applicati sulla popolazione in<strong>di</strong>gena dall’esercito e dai servizi<br />

segreti <strong>di</strong> un paese ritenuto civile.<br />

Ma entrambi gli apparenti successi degli Arabi sono stati vanificati<br />

nella loro speranza <strong>di</strong> completa autonomia dalle numerose basi militari<br />

che gli Stati Uniti, sostituendosi a francesi ed inglesi e proprio in<br />

conseguenza dei fatti del 1956-57, hanno progressivamente installato<br />

dal Me<strong>di</strong>terraneo all’Oceano In<strong>di</strong>ano e dal mar Nero al Golfo Persico.<br />

La <strong>di</strong>fesa degli interessi petroliferi americani è realizzata non solo pretendendo<br />

<strong>di</strong> mantenere le basi militari perfino in zone sacre all’Islam<br />

come quelle arabo-sau<strong>di</strong>te ma anche con le iniziative della CIA che or<strong>di</strong>sce<br />

complotti in ogni paese per mantenere governi “amici” (il massimo<br />

del peggio è stato espresso nell’Iran <strong>di</strong> Mossadeq). Il sistema <strong>di</strong><br />

controllo <strong>di</strong> quest’area strategica è completato con i meto<strong>di</strong> delle multinazionali<br />

del petrolio che mantengono i governi in posizione filo occidentale<br />

corrompendoli. È bloccata, infine, qualsiasi decisione ostile<br />

della Lega Araba con la corruzione dei delegati <strong>di</strong> questo o quel paese.<br />

Purtroppo, a queste sufficienti ragioni se non per giustificare almeno<br />

per capire l’attuale violenza islamica, si devono aggiungere motivazioni<br />

religiose e culturali.<br />

È opinione <strong>di</strong>ffusa in alcuni ambienti culturali islamici, soprattutto<br />

ambienti religiosi wahhabiti già ostili da tempi più remoti e ambienti integralisti<br />

sciiti, che la modernizzazione tecnologica, con la penetrazione<br />

<strong>di</strong> automobili, televisori e computers, sia il cavallo <strong>di</strong> troia utilizzato<br />

dalla civiltà occidentale per scar<strong>di</strong>nare i valori della cultura e della<br />

religione musulmana. La modernizzazione <strong>di</strong> tipo occidentale, anche<br />

36


per la volgarità degli spettacoli televisivi e l’incontrollabile possibile<br />

<strong>di</strong>alogo planetario che Internet consente, alterando i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> vivere delle<br />

popolazioni, corromperebbe non solo la sobrietà dei costumi tra<strong>di</strong>zionali<br />

ma anche la compostezza virtuosa delle donne. La consapevolezza<br />

<strong>di</strong> non poter opporre nulla a questa modernizzazione tecnologica<br />

alimenta la rabbia <strong>di</strong> fanatici religiosi che non trovano <strong>di</strong> meglio che dare<br />

letture mistificate del Corano per aizzare l’o<strong>di</strong>o dei fedeli contro un<br />

Occidente Satana: chi con<strong>di</strong>vide le interpretazioni forzate del Corano,<br />

somma l’ostilità religiosa all’o<strong>di</strong>o politico già sufficiente ed il risultato<br />

è la schiera <strong>di</strong> giovani esaltati pronti al suicido per l’Islam.<br />

L’esasperazione politico-religiosa è contestata dai più attenti stu<strong>di</strong>osi<br />

arabi che tentano <strong>di</strong> chiarire come le contrad<strong>di</strong>zioni della loro civiltà<br />

siano state determinate da una visione immanente del Corano che<br />

ha mantenuto in<strong>di</strong>stinte le esigenze laiche dei popoli dalle impostazioni<br />

religiose.<br />

Purtroppo, quest’interpretazione culturalmente più fondata è ancora<br />

minoritaria e l’ostilità verso la civiltà occidentale non tende a <strong>di</strong>minuire:<br />

il risultato è anche una sempre latente guerra civile fra opposte<br />

fazioni pro o contro le varie ipotesi <strong>di</strong> rinnovamento <strong>di</strong> una società piena<br />

<strong>di</strong> mille attese e <strong>di</strong> mille contrad<strong>di</strong>zioni.<br />

In questa situazione attutire l’ostilità araba e sostenerne la modernizzazione<br />

anche politica sarebbe quasi facile: sarebbe “sufficiente”<br />

evacuare le abusive colonie israeliane in Cisgiordania, eliminare le basi<br />

militari americane dai paesi arabi, bloccare le iniziative <strong>di</strong> corruzione<br />

e con<strong>di</strong>zionamento dei governi arabi da parte della CIA e pagare un<br />

prezzo equo per il petrolio me<strong>di</strong>orientale. Non accadrà niente del genere:<br />

gli ebrei più fanatici non vogliono ritirarsi dai luoghi delle loro<br />

idolatrie, gli americani vogliono mantenere il controllo militare del<br />

Me<strong>di</strong>o Oriente e la CIA continua a trafficare per <strong>di</strong>fendere gli interessi<br />

petroliferi delle multinazionali.<br />

Il risultato è <strong>di</strong> favorire quanti, con l’obiettivo della più completa<br />

in<strong>di</strong>pendenza politica, sfruttano il fanatismo religioso come collante<br />

nazionalistico non solo contro gli occidentali ma anche contro i governi<br />

islamici filo-occidentali: i kamikaze esplodono sempre più numerosi,<br />

assieme alle vittime ignare, e consentono all’Occidente più ipocrita<br />

<strong>di</strong> affermare che con l’integralismo islamico non c’è alcuna possibilità<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo.<br />

37


4. Considerazioni conclusive<br />

Ripercorrendo i due secoli trascorsi dalla fine delle guerre napoleoniche,<br />

è stato rilevato come i popoli occidentali abbiano concluso le loro<br />

rivoluzioni nazionali nell’arco <strong>di</strong> circa cento anni dal Congresso <strong>di</strong><br />

Vienna. Sono stati necessari, inoltre, quasi altri cento anni per il definitivo<br />

assetto <strong>di</strong> tutti i suoi popoli, anche quelli slavi, in Stati nazionali.<br />

Per i popoli arabi e del Me<strong>di</strong>o Oriente, invece, mancano pochi anni<br />

al secolo dalla pace <strong>di</strong> Versailles senza che nessuno <strong>di</strong> essi abbia ancora<br />

raggiunto una piena <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> paese in<strong>di</strong>pendente: ovunque la <strong>di</strong>gnità<br />

nazionale è con<strong>di</strong>zionata da interferenze esterne e alcuni popoli<br />

– soprattutto palestinesi e cur<strong>di</strong> – sono lontani anche dall’avere un loro<br />

ben definito e certo territorio.<br />

In Europa, nel <strong>di</strong>ciannovesimo secolo, il compito <strong>di</strong> frenare le attese<br />

politiche e le speranze nazionalistiche era stato svolto dall’Austria<br />

con la Russia accanto e l’Inghilterra che trescava nel suo esclusivo interesse.<br />

In Me<strong>di</strong>o Oriente, nel ventesimo secolo, lo stesso compito è stato<br />

assunto dagli Stati Uniti con l’Inghilterra accanto e la Francia che cerca<br />

<strong>di</strong> trescare in modo autonomo.<br />

La prima considerazione che deve esser fatta è che dovrebbe ormai<br />

essere evidente come non sia possibile programmare assetti <strong>di</strong> “un or<strong>di</strong>ne<br />

mon<strong>di</strong>ale” <strong>di</strong> qualsiasi tipo ignorando le attese dei popoli: le armi,<br />

anche le più potenti, sono state sempre e sempre saranno travolte<br />

dai sentimenti delle masse<br />

La seconda considerazione è che appare incre<strong>di</strong>bile come gli occidentali<br />

siano incapaci <strong>di</strong> rendersi conto che i popoli arabi sono attraversati<br />

dagli stessi indomabili fremiti che, negli ultimi scorci del <strong>di</strong>ciottesimo<br />

e per tutto il <strong>di</strong>ciannovesimo secolo, animarono le rivoluzioni<br />

degli americani e degli europei con la conquista finale della loro<br />

in<strong>di</strong>pendenza nazionale e il rispetto dei valori politici liberali.<br />

Soprattutto è incre<strong>di</strong>bile l’incapacità <strong>di</strong> rendersi conto del fatto che<br />

l’intensità <strong>di</strong> questi fermenti non consente <strong>di</strong> prevedere per l’Occidente<br />

nessuna vittoria possibile e nessuna pace fino a quando anche tutti i<br />

popoli del Me<strong>di</strong>o Oriente non avranno la più completa autonomia nazionale<br />

nel più pieno rispetto dei loro valori culturali e delle loro risorse<br />

economiche.<br />

38


La <strong>di</strong>fferenza fra i due perio<strong>di</strong> sta nel fatto che, mentre l’Austria più<br />

che interessi effettivi <strong>di</strong>fendeva posizioni <strong>di</strong> principio – il prestigio, la<br />

legittimità e l’or<strong>di</strong>ne –, oggi gli Stati Uniti e tutto l’Occidente <strong>di</strong>fendono<br />

corposi interessi che coinvolgono non solo le multinazionali del<br />

petrolio ma anche il benessere materiale delle popolazioni occidentali:<br />

la <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> interessi economici vitali, sollecitata dal più ancestrale<br />

istinto <strong>di</strong> conservazione, ottunde la capacità <strong>di</strong> analisi obiettive e rende<br />

quasi obbligate le scelte.<br />

Questa situazione è andata determinandosi lungo due linee: il tipo<br />

<strong>di</strong> sviluppo economico-tecnologico e l’imperialismo.<br />

Lo sviluppo economico non è argomento <strong>di</strong> queste pagine, ma è risaputo<br />

che, per la complessità dei problemi legati alla produzione <strong>di</strong><br />

energia atomica, per l’inquinamento determinato dal carbone e per<br />

l’ancora modesta quantità d’energia prodotta da fonti alternative, l’energia<br />

da fonti petrolifere è ancora l’energia fondamentale per l’economia<br />

dell’Occidente: non solo per il mantenimento del livello della<br />

produzione industriale ma anche per conservare il livello dei consumi<br />

civili che è sostenuto da un’automazione tecnologica che consuma ancora<br />

più energia dell’industria.<br />

La sempre crescente quantità <strong>di</strong> petrolio richiesta dall’esponenziale<br />

sviluppo del suo consumo, anche per l’ingresso nel mercato <strong>di</strong> paesi<br />

sempre più aggressivi come la Cina, ha posto la necessità del controllo<br />

politico delle aree del pianeta nelle quali si trovano i giacimenti<br />

petroliferi che, per la maggior parte, sono concentrati in Me<strong>di</strong>o Oriente.<br />

Il controllo, però, è stato reso problematico dal fatto che la straor<strong>di</strong>naria<br />

crescita dei consumi petroliferi è coincisa, a metà del secolo<br />

ventesimo, con il momento nel quale si concludeva la decadenza della<br />

potenza imperialistica dell’Occidente europeo.<br />

L’imperialismo era stato espressione della cultura socio-economico-religiosa<br />

europea degli ultimi decenni del <strong>di</strong>ciannovesimo secolo ed<br />

aveva raggiunto la sua massima espansione nei primi decenni del secolo<br />

successivo. Le interpretazioni <strong>di</strong> questo fenomeno storico sono<br />

state numerose ma nessuna da sola basta per spiegare il suo <strong>di</strong>verso<br />

sviluppo nelle <strong>di</strong>fferenti parti del pianeta. Le considerazioni economiche<br />

hanno alimentato una critica dell’imperialismo che ha visto la sua<br />

più organica esposizione nel saggio <strong>di</strong> Lenin Imperialismo, fase estrema<br />

del capitalismo. Secondo Lenin, lo sviluppo industriale europeo e<br />

39


la concentrazione del capitale in mani sempre meno numerose rendeva<br />

sempre più <strong>di</strong>fficile investirlo con profitto creando la necessità <strong>di</strong><br />

trovare sbocchi d’investimento all’estero. Questa necessità imponeva<br />

ai più potenti stati europei <strong>di</strong> entrare in conflitto per <strong>di</strong>vidersi ed occupare<br />

i mercati e le nuove aree nelle quali investire. Anche se è vero che<br />

le ragioni economiche da sole non spiegano tutto il fenomeno dell’imperialismo,<br />

rimane certo che i gran<strong>di</strong> gruppi finanziari operanti in Europa<br />

spinsero i loro governi a sempre più aggressive avventure coloniali.<br />

Agli stimoli economici si erano aggiunti quelli religiosi a sostegno<br />

della volontà <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere i principi cristiani e quelli scientifici che<br />

avevano trovato in Charles Darwin l’espressione massima della necessità<br />

<strong>di</strong> conoscere il mondo. Si aggiungevano questioni <strong>di</strong> prestigio delle<br />

nazioni europee nella gara imperiale e, avviato il processo imperialistico,<br />

si erano sommati problemi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa ed espansione strategica<br />

delle colonie già conquistate.<br />

La civiltà europea si era avventata sul mondo, come ha scritto qualcuno.<br />

Ma, con la sua presenza in paesi e presso civiltà <strong>di</strong>verse, non poteva<br />

non esportare elementi della sua cultura: se nel suo momento <strong>di</strong><br />

massima espansione avevano preso il sopravvento le idee razziste che<br />

affermavano l’inferiorità genetica delle razze non “bianche”, pian piano<br />

le idee europee <strong>di</strong> uguaglianza, libertà, autodeterminazione nazionale,<br />

patriottismo e identità culturale erano entrate nel profondo anche<br />

dei popoli soggetti. Andavano costruendosi, così, le ragioni della loro<br />

rivolta e, pian piano, le ragioni della sconfitta dell’imperialismo.<br />

Le genti europee, che all’inizio del ventesimo secolo ritenevano ovvio<br />

e scontato per l’Europa dominare il mondo, dopo la fine della seconda<br />

guerra mon<strong>di</strong>ale hanno dovuto imparare quanto fosse umanamente<br />

presuntuosa la sua potenza imperiale.<br />

Nel 1815, il Congresso <strong>di</strong> Vienna aveva alimentato la speranza che<br />

l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>sposto potesse contribuire alla stabilità dell’Europa: nei fatti,<br />

aveva portato ad un secolo <strong>di</strong> rivolte dei popoli europei. Così, dopo<br />

la guerra 1914-1918, l’equilibrio fra le potenze ricercato con gli accor<strong>di</strong><br />

del 1919 in Africa, in Me<strong>di</strong>o Oriente e nei Balcani, si è <strong>di</strong>mostrato<br />

irrealistico: i fatti hanno chiarito ancora che è presuntuoso pensare<br />

<strong>di</strong> poter <strong>di</strong>sporre dei comportamenti degli altri popoli anche se, e<br />

forse soprattutto se, <strong>di</strong> cultura <strong>di</strong>versa.<br />

40


Nella consapevolezza degli errori commessi dall’Europa, gli Stati<br />

Uniti hanno tentato meto<strong>di</strong> più raffinati e moralmente più scorretti per<br />

mantenere il controllo dei paesi nei quali erano subentrati alle potenze<br />

europee. È superfluo entrare nell’analisi <strong>di</strong> questi meto<strong>di</strong> che sono stati<br />

ampiamente descritti nelle critiche al “neocolonialismo”. Ma alcuni<br />

aspetti sfacciati delle politiche statunitensi – il sostegno a <strong>di</strong>ttature anticomuniste,<br />

il sostegno incon<strong>di</strong>zionato ad Israele, i colpi <strong>di</strong> stato or<strong>di</strong>ti<br />

dalla CIA nel Centro Sud dell’America e in altre parti del mondo, la<br />

protezione anche militare delle iniziative delle multinazionali e il sostegno<br />

alle esportazioni statunitensi con la <strong>di</strong>ttatoriale gestione del<br />

Fondo Monetario Internazionale – hanno trasformato l’ostilità antieuropea<br />

in un antiamericanismo <strong>di</strong>retto e viscerale che compromette gli<br />

aspetti positivi della globalizzazione e che è <strong>di</strong>ventato il fondamento<br />

traslato dell’o<strong>di</strong>o verso l’Occidente.<br />

La complessità della situazione che si è venuta a creare dovrebbe<br />

suggerire che non è più possibile limitarsi ad affermare che le responsabilità<br />

sono dell’estremismo implicito nell’ostilità antioccidentale che<br />

è stata sempre espressa dal fondamentalismo islamico.<br />

Questa tesi è comoda, ma non è produttiva perché storicamente non<br />

è così. Alle pagine 208 e 209 del suo Il secolo breve, Eric Hobsbawm<br />

descrive i movimenti anticoloniali dei paesi arabi nei primi decenni del<br />

ventesimo secolo e ne documenta gli stimoli dovuti ad influenze o liberali<br />

o comuniste <strong>di</strong> derivazione europea. E, mentre per i Fratelli musulmani<br />

egiziani (1928) il riferimento islamico è ricordato soltanto in<br />

chiave nazionalistica antisionistica, per il movimento algerino degli<br />

anni cinquanta viene riportata l’affermazione dei suoi capi che “la loro<br />

non era una guerra <strong>di</strong> religione ma la lotta per <strong>di</strong>struggere un colonialismo<br />

anacronistico”. Anche in Siria, in Iraq, in Iran fino a tutti<br />

gli anni sessanta “non era attivo alcun motivo religioso e solo più tar<strong>di</strong><br />

le voci laiche e modernizzatici della classe politica furono soffocate<br />

e spente dalla rinascita <strong>di</strong> massa del fondamentalismo”.<br />

Hobsbawm, alle pagine 528-531 della sua storia del mondo, chiarisce<br />

ancora come il recupero <strong>di</strong> un me<strong>di</strong>evale fondamentalismo islamico<br />

sia stato la conseguenza della rivoluzione contro lo Scià la cui autocrazia<br />

era stata imposta dalla CIA statunitense all’Iran nel 1953,<br />

soffocando brutalmente ogni opposizione nazionale, liberale e marxista<br />

(cacciata <strong>di</strong> Mossadeq). È soltanto nel 1979 che l’ayatollah sciita<br />

41


Khomeini, che a lungo aveva pre<strong>di</strong>cato che solo una forma <strong>di</strong> governo<br />

completamente islamica poteva opporsi validamente alla prepotente<br />

ingor<strong>di</strong>gia americana e all’arroganza occidentale, riesce a far trionfare<br />

in Iran la sua rivoluzione. Dopo questo avvenimento, il suo successo<br />

alimenta il fondamentalismo che risorge progressivamente nel mondo<br />

islamico: la responsabilità è per molta parte degli Stati Uniti. Oggi, solo<br />

la consolidata autorità <strong>di</strong> uomini forti riesce a tenere a freno l’irrequietezza<br />

fondamentalista.<br />

Ma, anche non trascurando l’integralismo islamico, l’aspetto grave<br />

nel <strong>di</strong>alogo mon<strong>di</strong>ale successivo alla crisi dell’imperialismo è che l’invadenza<br />

dell’Occidente, con la sua cultura, l’avi<strong>di</strong>tà economica e la<br />

potenza militare, ha fatto emergere ovunque un’ostilità assoluta ed irrazionale:<br />

si è <strong>di</strong>ffuso un “antioccidentalismo” che “vede” una civiltà<br />

occidentale senz’anima, senza ra<strong>di</strong>ci morali e senza fede, avida e parassita<br />

del mondo, in balia <strong>di</strong> uomini menomati nella loro sensibilità e<br />

ridotti ad automi incapaci <strong>di</strong> ritrovare un equilibrio naturale. È una visione<br />

pregiu<strong>di</strong>ziale fatta <strong>di</strong> stereotipi che si contrappone alla presunzione<br />

storica degli occidentali sempre pregiu<strong>di</strong>zialmente convinti dell’inferiorità<br />

umana e culturale dei non europei.<br />

È una visione la cui gravità sta nel fatto che è <strong>di</strong>ventata lo stimolo<br />

rivoluzionario contro un’invadenza che non si è mai resa conto della<br />

sua arroganza (qualche aspetto sarà accennato nelle Considerazioni finali<br />

<strong>di</strong> questo saggio). Non comprendere che è questo lo stimolo primo<br />

d’ogni rivolta antioccidentale è assurdo perché continuare a contestare<br />

soltanto il possibile fanatismo religioso altrui, che è stimolato<br />

strumentalmente da politici abili, impe<strong>di</strong>sce agli occidentali <strong>di</strong> reimpostare<br />

ra<strong>di</strong>calmente il <strong>di</strong>alogo fra le genti del mondo con la consapevolezza<br />

che nessuno può pretendere <strong>di</strong> dettare “un or<strong>di</strong>ne planetario”.<br />

In questa situazione, la novità sta nel fatto che gli islamici si sono resi<br />

conto che la potenza militare degli Stati Uniti, la capacità della CIA<br />

<strong>di</strong> far cadere i governi non filo occidentali e la corruzione che assoggetta<br />

i governanti, impe<strong>di</strong>scono qualsiasi tipo d’opposizione palese.<br />

Come al tempo della Restaurazione in Europa si comprese che solo<br />

le società segrete avevano una possibilità operativa, così oggi anche<br />

nei paesi arabi le organizzazioni segrete hanno assunto il controllo <strong>di</strong><br />

ogni forma <strong>di</strong> revanscismo nazionale, religioso, culturale e politico,<br />

decidendo <strong>di</strong> colpire ovunque possibile. L’aspetto preoccupante per<br />

42


l’Occidente è che la <strong>di</strong>ffusa presenza <strong>di</strong> musulmani nei paesi europei e<br />

negli Stati Uniti ne facilita la possibilità <strong>di</strong> operare con la copertura <strong>di</strong><br />

attività formalmente incontestabili e <strong>di</strong> colpire qualsiasi obiettivo anche<br />

delicato.<br />

Un breve inciso è necessario. In queste pagine si mette a fuoco soprattutto<br />

il rapporto degli americani con il mondo islamico perché è a<br />

loro che bin Laden ha <strong>di</strong>chiarato la guerra. Ma non si deve <strong>di</strong>menticare<br />

che, ormai, quando si <strong>di</strong>ce Occidente per i musulmani s’intende anche<br />

Russia: la solidarietà, almeno silenziosa, che questo paese riceve<br />

nella sua guerra <strong>di</strong> massacro plurisecolare del popolo ceceno, è messa<br />

dagli islamici nello stesso conto da pagare.<br />

Nella consapevolezza della fragilità d’ogni ipotesi <strong>di</strong>fensiva, molte<br />

iniziative degli occidentali sono oramai manifestamente isteriche. Forse,<br />

mai la situazione <strong>di</strong> tutti i paesi del mondo è stata a questo livello<br />

<strong>di</strong> insicurezza <strong>di</strong>ffusa e neppure una non immaginabile armonia <strong>di</strong> un<br />

organismo come l’ONU potrebbe impostare con successo “un or<strong>di</strong>ne<br />

mon<strong>di</strong>ale”. Sarebbe già tanto se riuscisse a risolvere con efficacia qualche<br />

specifico problema locale.<br />

La lezione degli ultimi due secoli imporrebbe <strong>di</strong> prendere atto del<br />

fatto che gli unici veri protagonisti della storia sono le impreve<strong>di</strong>bili<br />

masse umane, con i loro movimenti migratori, con la forza dei loro<br />

sentimenti e la <strong>di</strong>sperazione dei loro bisogni.<br />

Nonostante la complessità della situazione e il marasma anche delle<br />

emozioni che attraversano i popoli, il neo-conservatore americano<br />

Robert Kagan, in un recente saggio (Mondadori, 2004), continua a sostenere<br />

il <strong>di</strong>ritto degli Stati Uniti <strong>di</strong> fare la guerra preventiva e il dovere<br />

della Comunità Europea <strong>di</strong> schierarsi al suo fianco, senza pretendere<br />

un’aprioristica <strong>di</strong>fesa legale <strong>di</strong> un qualche or<strong>di</strong>ne ipotizzabile, per<br />

contrastare la forza <strong>di</strong> quelli che chiama nemici dell’or<strong>di</strong>ne mon<strong>di</strong>ale.<br />

Non è detto in chiaro, ma è implicitamente sostenuto che l’importanza<br />

del petrolio per l’economia occidentale è così rilevante che la sua<br />

gestione in ogni caso non può essere lasciata agli Arabi.<br />

Sarebbe bene che Kagan, con tutti i neoconservatori, si rendesse<br />

conto che, fin quando non sarà rilevata l’arroganza <strong>di</strong> questa pretesa,<br />

non ci sarà alcuna speranza che gli Arabi in particolare e gli islamici in<br />

generale, rispettosi della loro <strong>di</strong>gnità, possano essere <strong>di</strong>sponibili a lasciar<br />

vivere in pace l’Occidente.<br />

43


Capitolo secondo<br />

Due protagonisti<br />

1. I protagonisti<br />

Spesso i fatti della storia sono determinati dal caso. Talvolta sono<br />

determinati da necessità che impongono agli uomini comportamenti<br />

obbligati. Talaltra, infine, gli eventi sono determinati dalle iniziative<br />

specificatamente volute da uomini particolari. Di questi uomini può essere<br />

utile ripercorrere la vita per cogliere le ragioni fondanti delle loro<br />

scelte. Le notizie biografiche aiutano la comprensione degli stimoli religiosi<br />

o politici o economici o sociali che ne hanno sostenuto o ne sostengono<br />

l’azione.<br />

Nelle pagine che precedono è stato possibile costatare come, da alcuni<br />

punti <strong>di</strong> vista, le conseguenze che il Congresso <strong>di</strong> Vienna ha avuto per<br />

l’Europa siano state molto simili a quelle che le paci <strong>di</strong> Sèvres e <strong>di</strong> Losanna<br />

hanno determinato nei paesi del Me<strong>di</strong>o Oriente. Questa relativa<br />

coincidenza suggerisce <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re la comprensione delle più recenti<br />

violenze belliche mettendo brevemente a fuoco le vite dei due personaggi<br />

che più significativamente si sono impegnati per dare precisi obiettivi<br />

alla reazione dei popoli contro le conseguenze delle soluzioni imposte<br />

da quegli accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> pace: Giuseppe Mazzini e Osama bin Laden.<br />

È tanto ovvio che non è neanche da esaminare quanto siano <strong>di</strong>stanti<br />

Mazzini e bin Laden non solo in termini <strong>di</strong> tempo ma anche per <strong>di</strong>versità<br />

religiose e culturali, per <strong>di</strong>fferenze socio-ambientali e risorse<br />

economiche e tecnologie <strong>di</strong>sponibili per operare. E tuttavia, pur non<br />

<strong>di</strong>menticando le <strong>di</strong>fferenze, il confronto fra le vite <strong>di</strong> questi due protagonisti<br />

può <strong>di</strong>sporre ad una più attenta valutazione <strong>di</strong> quanto accade<br />

nei nostri giorni<br />

45


2. La giovinezza <strong>di</strong> Giuseppe Mazzini<br />

Giuseppe Mazzini è nato a Genova nel 1805. La cultura liberale del<br />

padre e il giansenismo della madre ne formano fin dall’infanzia un<br />

temperamento rigoroso con spiccati interessi letterari e con un’imme<strong>di</strong>ata<br />

attenzione alle problematiche sociali e politiche.<br />

A questa formazione collaborano due severi abati giansenisti che ne<br />

guidano le aspirazioni al culto della libertà e al rispetto dei valori democratici<br />

<strong>di</strong> uguaglianza che presto saprà esprimere all’Università<br />

conquistando un certo ascendente sui suoi con<strong>di</strong>scepoli. Partecipando<br />

con ingenuo entusiasmo giovanile alle manifestazioni del 1821, rimane<br />

impressionato dall’incontro con un gruppo <strong>di</strong> esuli che s’imbarcavano<br />

per la Spagna. Scrisse nelle Note biografiche: “Quel giorno fu il<br />

primo in cui s’affacciasse confusamente nell’anima mia, non <strong>di</strong>rò un<br />

pensiero <strong>di</strong> Patria e <strong>di</strong> libertà, ma un pensiero che si poteva e quin<strong>di</strong><br />

si doveva lottare per la libertà della Patria”.<br />

Ma Mazzini non era colpito solo da quanto gli accadeva attorno. La<br />

sua curiosità letteraria lo faceva partecipare a quell’atmosfera romantica<br />

per la quale la vita non ha quel senso ottimista e positivo dell’illuminismo<br />

ma è lotta fra dovere e potere e tende al recupero <strong>di</strong> un originario<br />

or<strong>di</strong>ne armonico. Per questa visione della vita, compito dell’in<strong>di</strong>viduo<br />

è cogliere nel reale i segni del <strong>di</strong>venire cosmico nel quale la libertà<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo è legata alla sua volontà <strong>di</strong> realizzare ideali che<br />

non possono essere circoscritti dalla razionalità meccanicista dell’illuminismo.<br />

La <strong>di</strong>versità nazionale delle culture, il mondo delle sensibilità,<br />

il fascino dell’inesprimibile, il gusto del sublime, il senso <strong>di</strong> quanto<br />

c’è <strong>di</strong> <strong>di</strong>vino nell’uomo, sono motivi che alimentano la formazione<br />

del giovane Mazzini e lo proiettano in una personale <strong>di</strong>mensione spirituale<br />

che lo accompagnerà lungo i quarant’anni del suo impegno politico.<br />

Conclusi gli stu<strong>di</strong> giuri<strong>di</strong>ci nel 1827, a ventidue anni si affiliò alla<br />

Carboneria e cominciò a collaborare come pubblicista scrivendo <strong>di</strong> critica<br />

letteraria nell’In<strong>di</strong>catore genovese, poi nell’In<strong>di</strong>catore livornese <strong>di</strong><br />

Guerrazzi e nell’Antologia <strong>di</strong> Vieusseux. La sua formazione culturale<br />

gli faceva concepire la rivoluzione non come riven<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti<br />

in<strong>di</strong>viduali ma come dovere religioso al quale rispondere in favore del<br />

popolo. Nel 1830, cominciò a viaggiare per l’Italia per trovare nuovi<br />

46


adepti per la Carboneria. Tra<strong>di</strong>to e denunciato alla polizia quale carbonaro,<br />

è arrestato il 13 novembre e rinchiuso nella fortezza <strong>di</strong> Savona.<br />

Il 28 gennaio, prosciolto per mancanza <strong>di</strong> prove, è liberato e gli viene<br />

imposto <strong>di</strong> scegliere tra il confino, sotto la sorveglianza della polizia,<br />

o l’esilio. Sceglie la via dell’esilio ed esce dal Regno Sardo il 10 febbraio.<br />

Si reca a Ginevra, dove incontra altri esuli; passa a Lione e vi<br />

trova alcuni proscritti italiani con i quali parte per la Corsica, sperando<br />

<strong>di</strong> portare aiuto agli insorti dell’Italia centrale.<br />

Gli eventi gli fanno comprendere che la Carboneria era soffocata<br />

dalla sua angustia socio-culturale che ne limitava le iniziative a ristretti<br />

ambiti locali e a chiuse cerchie sociali: erano i limiti che avevano determinato<br />

il fallimento delle rivoluzioni del 1820-1821 e del 1831.<br />

Rientrato in Francia fonda a Marsiglia la Giovine Italia e fa stampare<br />

una lettera aperta a Carlo Alberto, appena salito al trono per esortarlo<br />

a prendere l’iniziativa della riscossa italiana. La Giovine Italia,<br />

che <strong>di</strong>chiarava apertamente il suo programma <strong>di</strong> voler educare il popolo<br />

alla fratellanza e all’idea dell’unità nazionale, nasceva dalla constatazione<br />

del fallimento della dolorosa esperienza degli insorti del<br />

1831 <strong>di</strong> Emilia e Romagna: il 26 maggio era stato impiccato Ciro Menotti.<br />

Mazzini, riflettendo sulle possibili cause <strong>di</strong> questa sconfitta, tentava<br />

<strong>di</strong> cogliere vie nuove per inseguire la libertà della Patria.<br />

La giovinezza <strong>di</strong> Giuseppe Mazzini era terminata. Aveva ventisei<br />

anni: iniziava la vita dell’esule che de<strong>di</strong>cherà quarant’anni alla sua<br />

speranza <strong>di</strong> vedere l’Italia in<strong>di</strong>pendente ed unita dalle Alpi alla Sicilia.<br />

3. La giovinezza <strong>di</strong> Osama bin Laden<br />

Osama bin Laden è <strong>di</strong>ventato un personaggio noto in tutto il mondo<br />

dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers <strong>di</strong> New<br />

York. La clamorosa spettacolarità dell’avvenimento ha suggerito l’imme<strong>di</strong>ata<br />

proliferazione <strong>di</strong> biografie che hanno voluto creare un alone <strong>di</strong><br />

mistero attorno al nostro protagonista ed hanno fantasticato sulle origini<br />

della favolosa ricchezza della famiglia.<br />

La realtà, come sempre, è molto più banale e la vita <strong>di</strong> Osama bin<br />

Laden, fino al 1979, rimase nei termini normali delle vite dei giovani<br />

figli <strong>di</strong> famiglie molto facoltose.<br />

47


È nato Jiddah per alcuni, per altri a Riyadh, il 10 marzo 1957. Volendo<br />

dare una mano a chi ama fantasticare, si rileva che il 10 marzo è<br />

il giorno nel quale è morto Giuseppe Mazzini: è il segno del passaggio<br />

<strong>di</strong> un testimone?<br />

Del padre è stato scritto che era un ingegnere yemenita o un muratore<br />

o un conta<strong>di</strong>no o un facchino. Non è rilevante. Conta che, giunto<br />

in Arabia negli anni ‘30, lavorando sodo era riuscito ad avviare una<br />

piccola impresa e<strong>di</strong>le con la quale pian piano aveva consolidato una <strong>di</strong>screta<br />

<strong>di</strong>sponibilità finanziaria. Forte <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>sponibilità, in un momento<br />

<strong>di</strong> particolare <strong>di</strong>fficoltà della famiglia regnante, aveva colto<br />

l’opportunità per finanziare il re Faysal che, riconoscente, aveva deciso<br />

<strong>di</strong> affidare a bin Laden padre, con uno specifico decreto, la gestione<br />

<strong>di</strong> tutti gli appalti e<strong>di</strong>lizi dell’Arabia Sau<strong>di</strong>ta.<br />

Fra gli anni ’50 e ’60, l’eccezionale crescita del consumo <strong>di</strong> petrolio<br />

e il conseguente boom finanziario e e<strong>di</strong>lizio del paese sviluppano<br />

l’impresa bin Laden che monopolizza la costruzione <strong>di</strong> autostrade, aeroporti,<br />

palazzi reali e moschee. Da questo momento, l’effettiva <strong>di</strong>mensione<br />

della straor<strong>di</strong>naria ricchezza finanziaria ed immobiliare dei<br />

bin Laden è affidata alla fantasia degli agiografi o dei denigratori.<br />

A Jiddah, Osama cresce nel lusso fra 52 o 54 o 57 fratelli e sorelle.<br />

Il rigido maschilismo arabo non consente alcun rilevante ruolo alla<br />

madre, <strong>di</strong> origini siriane. Alto, esile, mite e riservato, riceve un’educazione<br />

raffinata in centri d’élite, come il Vittoria College <strong>di</strong> Alessandria,<br />

in Egitto, e gode dei lussi dei giovani delle sue con<strong>di</strong>zioni. Quando ancora<br />

non ha tre<strong>di</strong>ci anni, la per<strong>di</strong>ta del padre lo priva del fondamentale<br />

punto <strong>di</strong> riferimento e chiude ancora più il suo carattere già introverso.<br />

In compagnia dei suoi numerosi fratelli e sorelle e fratellastri compie<br />

parecchi viaggi in <strong>di</strong>versi luoghi d’Europa per raffinare i mo<strong>di</strong> e<br />

apprendere la lingua inglese. Anche per <strong>di</strong>vertirsi. Dopo l’11 settembre<br />

del 2001 i mezzi <strong>di</strong> comunicazione <strong>di</strong> tutto il mondo si sono affannati<br />

a cercare avvenimenti intorno alla sua giovinezza. Così sono apparse<br />

testimonianze fotografiche e racconti sulle sue permanenze in Svezia,<br />

Svizzera, Oxford e Marbella, lungo gli anni settanta.<br />

Non attirato dalla vita libertina che conducevano e della quale si<br />

vantavano molti notabili sau<strong>di</strong>ti, cominciò a stu<strong>di</strong>are i testi sacri in una<br />

madrasa (seminario coranico) <strong>di</strong> Jiddah. A 22 anni si laurea in inge-<br />

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© ARMANDO EDITORE. La fotocopia non autorizzata è reato.<br />

gneria e tecniche <strong>di</strong> gestione d’impresa nell’università Re Abdul Aziz<br />

<strong>di</strong> Jiddah. Comincia a partecipare all’attività impren<strong>di</strong>toriale della sua<br />

famiglia e alla vita della capitale nella quale, accanto al mondo tra<strong>di</strong>zionalista<br />

dell’ortodossia islamica, celebra la sua ricchezza miliardaria<br />

un’élite sempre musulmana ma filoamericana che ama le como<strong>di</strong>tà occidentali<br />

nel fasto orientale.<br />

La somma delle esperienze comincia a farne un uomo particolare<br />

perché aggiunge le sue spiccate attitu<strong>di</strong>ni a servirsi delle tecnologie<br />

me<strong>di</strong>atiche e delle tecniche finanziarie <strong>di</strong> Borsa che gli consentono anche<br />

<strong>di</strong> consolidare il già cospicuo patrimonio ere<strong>di</strong>tato dal padre. Sposa<br />

una ragazza siriana, come la madre.<br />

È il 1979: nonostante gli appena 22 anni, l’uomo è pronto per la sua<br />

battaglia. Somma un che d’antico e molto <strong>di</strong> moderno, <strong>di</strong> elitario e <strong>di</strong><br />

popolare, <strong>di</strong> orientale e <strong>di</strong> occidentale: è un ibrido esistenziale capace<br />

<strong>di</strong> muoversi con autorità a tutti i livelli sociali.<br />

Però, prima <strong>di</strong> seguire le iniziative <strong>di</strong> Osama bin Laden adulto è utile<br />

conoscere il background politico-culturale <strong>di</strong> cui è portatore.<br />

* * *<br />

Nel prossimo paragrafo saranno rivisti gli aspetti salienti del<br />

wahhabismo, l’estremismo integralista islamico <strong>di</strong> cui bin Laden certamente<br />

conosce le posizioni anche se, fino a questo punto della nostra<br />

analisi, non possiamo <strong>di</strong>re quanto e se ne sia sostenitore.<br />

È anche certo che bin Laden non ha ignorato il <strong>di</strong>battito politico che<br />

nelle università arabe, come in tutte le università del mondo, è vivace:<br />

è necessario averne un’idea anche minima. Lasciando da parte il complicato<br />

problema posto dall’incertezza su quale valore prevalga nel<br />

rapporto fra la singola unità politica statale, la nazione araba e la comunità<br />

islamica, ai fini <strong>di</strong> queste pagine, è utile fermarsi a due argomenti<br />

fondamentali: lo jihad e la democrazia politica.<br />

1 – Lo jihad viene continuamente ricordato dalla stampa occidentale<br />

come la perenne minaccia dell’Islam, anche non integralista, verso<br />

l’Occidente: la “guerra santa”, come viene tradotta la parola, obbligherebbe<br />

i credenti a rispondere alla chiamata alle armi per combattere<br />

gli infedeli e far trionfare la religione <strong>di</strong> Allah.<br />

Nel <strong>di</strong>battito universitario si ricorda, invece, che la parola «jihad»<br />

49


significa letteralmente «sforzarsi» ed è seguita in genere dall’espressione<br />

«fì sabìli ‘llah» valere a <strong>di</strong>re «sulla via <strong>di</strong> Dio»: in<strong>di</strong>ca, cioè, l’invito<br />

ad uno sforzo <strong>di</strong> miglioramento etico e morale. Nel Corano, le prescrizioni<br />

<strong>di</strong> jihad vanno da un’ampia tolleranza non-violenta (Cor. L,<br />

45; ClX, 1-6; ecc) a una guerra puramente <strong>di</strong>fensiva (Cor. XXll, 39-40)<br />

fino a prescrizioni molto più generali (Cor. lX, 29).<br />

Certo, i pareri sono <strong>di</strong>scor<strong>di</strong> anche all’interno del <strong>di</strong>battito islamista<br />

perché i fautori dell’ecumenismo ne danno una lettura pacifica e<br />

morale mentre i fondamentalisti cercano in tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> accentuarne<br />

il senso aggressivo.<br />

Secondo il <strong>di</strong>ritto islamico, lo jihad <strong>di</strong>venta obbligo <strong>di</strong> tutti i credenti<br />

solo in caso <strong>di</strong> aggressione. Nella sura Cor. ll, 191 è detto: “Uccidete<br />

dunque chi vi combatte, dovunque vi troviate e scacciateli da<br />

dove hanno scacciato voi”. La lettura non consente interpretazioni illecite:<br />

è evidente che si tratta <strong>di</strong> un invito a reagire e non ad aggre<strong>di</strong>re<br />

in prima battuta.<br />

Ciò che è scritto nel Corano è sempre leggibile e non è contestabile:<br />

la contrad<strong>di</strong>zione, quin<strong>di</strong>, è nei fondamentalisti che sostengono una<br />

lettura rigida del loro libro sacro ma poi danno un’interpretazione<br />

estensiva della parola jihad, ben oltre il significato intrinseco della parola<br />

e il contenuto letterale delle sure nelle quali è impiegata.<br />

2 – Anche la gestione del potere politico è un argomento molto <strong>di</strong>battuto<br />

per la complessa successione storica delle forme <strong>di</strong> governo<br />

utilizzate dagli arabi. Non si <strong>di</strong>mentica, infatti, che all’inizio dell’avventura<br />

araba, l’istituto del califfo (capo della comunità musulmana),<br />

che assicurava il carattere unitario dell’Islam, si fondava sulla consensualità.<br />

Tenendo presente che per i musulmani i comportamenti <strong>di</strong><br />

Maometto sono esempi da rispettare come legge, si ricorda che già con<br />

Maometto il suo potere - personale, assoluto, religioso, teocratico e<br />

unitario - nasceva dagli accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> al-Aqaba del 621 con i membri <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>verse tribù che avevano aderito alle sue idee religiose e dagli accor<strong>di</strong><br />

con i Me<strong>di</strong>nesi che si erano impegnati a dare anche aiuto militare.<br />

È con gli Omayya<strong>di</strong>, dopo il 656, che il potere si trasmette per via<br />

<strong>di</strong>nastica. Decade l’origine contrattualistica della sovranità e si consolida<br />

la tra<strong>di</strong>zione della nomina del successore, che viene accettata per<br />

evitare i pericoli non rari dell’anarchia. La sovranità mantiene il suo<br />

carattere personale ed assoluto ma, contemporaneamente, si affina la<br />

50


costruzione dottrinale ortodossa che pone dei limiti al potere del sovrano<br />

stabilendo il suo obbligo <strong>di</strong> non esercitare un’autorità <strong>di</strong>spotica<br />

ma nell’interesse <strong>di</strong> Dio, della religione islamica e dei musulmani. Il<br />

sovrano ha il dovere <strong>di</strong> rispettare la shari’a come ogni altro credente.<br />

A questi due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> acquistare la sovranità - elezione consensuale<br />

da parte del consiglio dei rappresentanti della comunità musulmana e<br />

successione - statuiti dalla dottrina ortodossa, l’adeguamento alla<br />

realtà storica dei popoli islamici, ne ha fatto aggiungere un terzo: l’occupazione<br />

del potere. L’obbe<strong>di</strong>enza a chi occupa il potere è giustificata<br />

dalla necessità <strong>di</strong> evitare i mali dell’anarchia.L’obbligo dell’obbe<strong>di</strong>enza<br />

per il popolo nasce solo dalla corretta gestione del potere da<br />

parte del sovrano che, se sbaglia, può essere <strong>di</strong>chiarato decaduto.<br />

Gli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto pubblico islamico, quando non sono pregiu<strong>di</strong>zialmente<br />

ostili, definiscono l’Islam una “teocrazia laica egalitaria”<br />

con carattere contrattualistico e democratico.<br />

Il fondamento dell’accettazione anche del potere <strong>di</strong> un autocrate<br />

nasce dall’esperienza secolare dei popoli islamici della loro realtà sociale:<br />

una congerie <strong>di</strong> tribù etnicamente <strong>di</strong>verse, clan anche molto piccoli<br />

e sette religiose ed esoteriche, i cui capi, devotamente seguiti, confliggono<br />

bellicosamente fra <strong>di</strong> loro per non perdere la loro autonomia<br />

amministrativa ed economica.<br />

L’esperienza dei guasti <strong>di</strong> ogni tipo che i contrasti fra i capi delle<br />

tribù causano in mancanza <strong>di</strong> un capo assoluto ha fatto statuire alla dottrina<br />

che anche un autocrate che sappia imporsi facendosi rispettare e<br />

che rispetti la shari’a, è meglio dell’anarchia: l’accettazione dell’autocrate<br />

è considerata una scelta utile per l’armonia sociale.<br />

Nel <strong>di</strong>battito culturale musulmano si afferma che la vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> questa<br />

scelta della dottrina politica islamica per i suoi popoli è stata <strong>di</strong>mostrata<br />

dagli eventi degli ultimi vent’anni in Me<strong>di</strong>o Oriente dove solo<br />

la rozza presunzione degli occidentali <strong>di</strong>sinformati poteva far pensare<br />

che fosse sufficiente bombardare le città per imporre dopo la cosiddetta<br />

democrazia occidentale: ovunque riprendono i contrasti fra i<br />

gruppi armati delle varie etnie che non cesseranno se non saranno lasciati<br />

liberi <strong>di</strong> mettersi d’accordo fra <strong>di</strong> loro. Gli occidentali affermano<br />

che questa conflittualità sociale è barbara; gli arabi sostengono che è<br />

barbara l’incapacità degli occidentali <strong>di</strong> rendersi conto della storica<br />

tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> autonomia delle piccole comunità arabe.<br />

51


Per la cultura islamica, la democrazia delegata <strong>di</strong> tipo occidentale è<br />

un’ipocrisia che legalizza il prevalere degli interessi delle parti sociali<br />

meglio organizzate per con<strong>di</strong>zionare e sopraffare le altre.<br />

Per il <strong>di</strong>ritto pubblico islamico, i conflitti degli interessi che si scontrano<br />

nella società umana non sono risolvibili in modo equo se non da<br />

un capo carismatico al <strong>di</strong> sopra delle parti che, con il consiglio dei saggi,<br />

abbia la gestione dell’ultima parola su qualsiasi questione: l’equilibrio<br />

del capo è soggetto al giu<strong>di</strong>zio del popolo con le forme della democrazia<br />

<strong>di</strong>retta (plebiscito, referendum, ecc.); il popolo ha anche il <strong>di</strong>ritto<br />

<strong>di</strong> abbattere l’eventuale tiranno <strong>di</strong>spotico.<br />

Certamente è vero che l’effettiva equità della gestione del potere in<br />

un paese musulmano è affidata all’equilibrio del capo, all’armonia dei<br />

rapporti fra il capo e il suo popolo e alla capacità o meno del popolo <strong>di</strong><br />

sostituire quel capo che si comportasse in modo tirannico. In molti casi<br />

è stato <strong>di</strong>mostrato quanto sia <strong>di</strong>fficile.<br />

Ma in quale misura, nelle democrazie delegate occidentali, la manipolazione<br />

del consenso, anche in forza del potere con<strong>di</strong>zionante dei<br />

mezzi d’informazione, lede la consapevolezza delle scelte elettorali? E<br />

quanto il potere finanziario, senza alcuna possibilità <strong>di</strong> controllo, con<strong>di</strong>ziona<br />

anche con meto<strong>di</strong> al limite del co<strong>di</strong>ce penale la gestione del potere<br />

politico e l’equilibrio delle consultazioni elettorali?<br />

Al <strong>di</strong>battito su questi argomenti partecipa l’egiziano Naguib<br />

Mahfouz, premio Nobel per la letteratura 1988, che è uno dei tanti stu<strong>di</strong>osi<br />

musulmani che contrastano il fondamentalismo con la forza della<br />

cultura e della pazienza. «Dubito che il fondamentalismo sia una<br />

forza autenticamente rivoluzionaria. La pace sociale è una conquista <strong>di</strong><br />

lungo respiro... Una vera democrazia convive benissimo con l’Islam<br />

che non è in contrad<strong>di</strong>zione con razionalismo e laicismo... La libertà<br />

d’interpretazione del Corano è intrinseca al testo che è rivolto, piaccia<br />

o no ai fondamentalisti, alla comprensione <strong>di</strong> tutti gli uomini per metterli<br />

in grado <strong>di</strong> trovare da soli la giusta via fra il bene e il male…» afferma<br />

nei suoi lavori e, con impegno, cerca <strong>di</strong> sostenere questa posizione<br />

nei <strong>di</strong>battiti ai quali partecipa.<br />

Dai molteplici aspetti <strong>di</strong> questa cultura politica ha tratto la sua formazione<br />

Osama bin Laden prima <strong>di</strong> scoprire, nel 1979, quella che ha<br />

ritenuto essere la sua missione.<br />

52


4. le teorie estremistiche del loro tempo: anarchismo, wahhabismo<br />

Spesso, quando ci si trova <strong>di</strong> fronte a problemi dei quali non s’intravedono<br />

le soluzioni, accade <strong>di</strong> etichettare gli eventi con riferimenti<br />

noti: anche se il quadro che ne risulta può non essere confortante, almeno<br />

rassicura il fatto <strong>di</strong> ritenere <strong>di</strong> conoscerlo nelle sue linee ispiratrici.<br />

Questa situazione si è avuta quando Giuseppe Mazzini portava<br />

avanti la sua missione rivoluzionaria da un paese all’altro <strong>di</strong> un’Europa<br />

nella quale le più contrad<strong>di</strong>ttorie atmosfere culturali inseguivano<br />

obiettivi politici che erano suggeriti da una varietà d’ispirazioni: si andava<br />

da atteggiamenti mistico-religiosi via via fino a comportamenti <strong>di</strong><br />

un estremismo criminale. La <strong>di</strong>fficoltà delle polizie <strong>di</strong> accettarne le<br />

motivazioni, aveva fatto etichettare Giuseppe Mazzini non tanto come<br />

un agitatore politico nazionalista quanto come un pericoloso estremista<br />

sovversivo, rivoluzionario, anarchico.<br />

Anche oggi, la complessità della situazione planetaria tende ad essere<br />

semplificata da parte delle polizie <strong>di</strong> tutto il mondo che, senza indugi,<br />

inquadrano come integralismo wahhabita tutte le manifestazioni<br />

non sole dell’estremismo religioso islamico ma anche del revanscismo<br />

arabo, dell’attivismo per un ipotetico califfato panislamico, del nazionalismo<br />

culturale e politico dei paesi musulmani e, spesso, pure della<br />

lotta per sopravvivere del popolo palestinese. Così anche l’aggressiva<br />

intraprendenza <strong>di</strong> Osama bin Laden è privata <strong>di</strong> ogni autonoma motivazione<br />

politica ed è sbrigativamente condannata come espressione del<br />

più barbaro wahhabismo.<br />

È conveniente, allora, rivedere brevemente i contenuti degli estremismi<br />

in questione, per poi valutare quanto e come vi possano rientrare<br />

o meno le iniziative dei nostri protagonisti.<br />

* * *<br />

– L’anarchismo. In Europa, nella seconda metà del <strong>di</strong>ciannovesimo<br />

secolo, più o meno fondate speculazioni filosofiche avevano affermato,<br />

con motivazioni <strong>di</strong>verse, il <strong>di</strong>ritto dell’in<strong>di</strong>viduo alla sua più piena<br />

libertà. Non era proposta una semplice libertà <strong>di</strong> coscienza ma la più<br />

53


completa libertà <strong>di</strong> esprimersi e <strong>di</strong> operare in assenza <strong>di</strong> una qualsiasi<br />

autorità superiore: in assenza, cioè, <strong>di</strong> una qualunque forma <strong>di</strong> governo.<br />

Le prime idee su prospettive libertarie, fra il <strong>di</strong>ciottesimo secolo e<br />

il <strong>di</strong>ciannovesimo secolo, erano state formulate nelle opere <strong>di</strong> Jean-<br />

Jacques Rousseau, in quelle della sinistra hegeliana e nelle iniziative<br />

del Saint-Simon e del Fourier. Ma, è con Pierre Joseph Proudhon che<br />

viene espressa una teoria dell’anarchismo come libero riconoscimento<br />

degli interessi in<strong>di</strong>viduali in conflitto in una società non governata né<br />

da leggi né da magistrati. Contemporaneo <strong>di</strong> Proudhon, Max Stirner<br />

espone un’organica teoria anarchica che riven<strong>di</strong>ca l’assolutezza dell’egoismo<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo che è Unico in una realtà sociale che non può e<br />

non deve limitare il suo più pieno istintivismo. La ra<strong>di</strong>ce dell’anarchismo<br />

era nella negazione del principio d’autorità – umano o <strong>di</strong>vino, civile<br />

o ecclesiastico – sul quale sarebbero fondate le istituzioni che hanno<br />

costruito le <strong>di</strong>suguaglianze: solo l’uguaglianza economica e sociale<br />

<strong>di</strong> tutti potrà costruire un’umanità solidale.<br />

Queste idee trovarono fertile terreno nella situazione sociale russa<br />

che alimentò l’anarchismo politico <strong>di</strong> Michail Bakunin, l’anarchismo<br />

scientifico <strong>di</strong> Petr Kropotkin e l’anarchismo mistico-morale <strong>di</strong> Lev<br />

Tolstoj. La <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> queste idee fu il punto <strong>di</strong> partenza d’esaltati<br />

moti rivoluzionari in molti stati europei e anche d’America: un’attiva<br />

propaganda mirava a rovesciare i governi e a sopprimere i capi <strong>di</strong> stato.<br />

Gli ultimi decenni del <strong>di</strong>ciannovesimo secolo furono espressione <strong>di</strong><br />

drammatici ecci<strong>di</strong> d’origine anarchica: fu ucciso a Lione il presidente<br />

della repubblica francese Carnot, fu ucciso il presidente spagnolo Canovas<br />

del Castillo, fu assassinata l’imperatrice d’Austria Elisabetta, fu<br />

assassinato il re d’Italia Umberto l, fu assassinato il presidente degli<br />

Stati Uniti Mc Kinley. Ma le vittime non erano soltanto capi <strong>di</strong> Stato:<br />

gli anarchici facevano esplodere le loro bombe anche dentro i caffè e i<br />

citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong>laniati furono numerosi.<br />

Per l’Europa, furono anni d’insensata violenza da <strong>di</strong>menticare: anche<br />

per la strumentale accusa d’anarchismo utilizzata dalle polizie e<br />

dai governi per reprimere con le drastiche leggi emanate e con mezzi<br />

brutali pure le manifestazioni politiche non anarchiche.<br />

54<br />

* * *


– Il wahhabismo. È opinione <strong>di</strong>ffusa che l’Islamismo sia e sia sempre<br />

stato una religione con rigide impostazioni che non possono essere<br />

contraddette. Non è così. I dettati del Corano e gli esempi dati personalmente<br />

da Maometto – che l’Islamismo rispetta come norme <strong>di</strong><br />

precetto - non costituiscono un corpo dottrinale organico privo <strong>di</strong> incertezze.<br />

Le attuali norme, inoltre, non sono il risultato <strong>di</strong> concili dei<br />

dottori della “chiesa” perché l’Islamismo non ha una gerarchia ecclesiastica:<br />

sono il risultato <strong>di</strong> elaborazioni <strong>di</strong> scuole che, nel tempo, hanno<br />

affrontato le varie questioni con vivaci <strong>di</strong>battiti.<br />

Mentre il rituale elaborato nei primi due secoli dall’egira non ha subito<br />

più variazioni rilevanti, la dogmatica positiva elaborata nello stesso<br />

periodo, pur considerata definitiva, è stata nei fatti al centro <strong>di</strong> un<br />

continuo <strong>di</strong>battito sulla possibilità che il ragionamento filosofico abbia<br />

la facoltà o meno <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>rne e aggiornarne i princìpi. Si è posta<br />

così la <strong>di</strong>stinzione fra una teologia positiva tra<strong>di</strong>zionale (hanbalita) e<br />

una teologia speculativa che ad<strong>di</strong>rittura sostiene la necessità <strong>di</strong> una<br />

speculazione razionale per ogni singolo fedele senza la quale non esisterebbe<br />

in lui la vera fede.<br />

Nella prima metà del <strong>di</strong>ciottesimo secolo, alle conseguenze <strong>di</strong> una<br />

posizione così aperta si è opposto con irruente rigore Muhammad ibn<br />

Abd al-Wahhab (1703–1792). Il giovane al-Wahhab, educato agli stu<strong>di</strong><br />

teologici e giuri<strong>di</strong>ci dal padre, qadì <strong>di</strong> scuola hanbalita, aggredì con<br />

violenza tutto ciò che ritenne essere una deviazione dalle norme del<br />

buon islamismo antico. Fra mille ostilità ambientali e umane, scrisse<br />

opuscoli <strong>di</strong> carattere catechistico e sostenne un’intransigente riprovazione<br />

d’ogni forma <strong>di</strong> paganesimo con un’accanita propaganda orale.<br />

Il suo rigorismo era un recupero del fanatismo <strong>di</strong> un vecchio e notissimo<br />

hanbalita del primo secolo, Ibn Taimiyyah, che aveva respinto con<br />

fermezza ogni ipotesi d’elaborazione degli insegnamenti iniziali dell’islamismo.<br />

Costretto a fuggire dalla sua città per la reazione popolare alla violenza<br />

da lui espressa anche fisicamente contro persone, sepolcri e monumenti,<br />

al-Wahhab si rifugiò presso l’emiro Muhammad ibn Sa’ùd<br />

che sposò la sua causa. Quest’avvenimento trasformò il wahhabismo<br />

da semplice movimento religioso puritano in una corrente religiosa,<br />

politica e militare che, per le ambizioni territoriali <strong>di</strong> Muhammad ibn<br />

Sa’ùd, <strong>di</strong>ventò il motivo ispiratore <strong>di</strong> una guerra a sfondo religioso che<br />

55


portò alla conquista <strong>di</strong> buona parte della penisola arabica. Da quel<br />

tempo, la <strong>di</strong>nastia sau<strong>di</strong>ta ha assunto come religione ufficiale dello<br />

stato il wahhabismo e la sua interpretazione soprattutto violenta dello<br />

jihad che, da concetto che in<strong>di</strong>ca lo sforzo o lotta personale per <strong>di</strong>ventare<br />

un buon imam musulmano, <strong>di</strong>venta ricorso alla spada non più<br />

per <strong>di</strong>fendere la propria fede ma per imporla a chiunque abbia un altro<br />

culto. Su questa posizione, dopo alterne vicende, militari e religiose,<br />

il wahhabismo si affermò definitivamente con il suo implacabile<br />

rigore nel Neged, nell’Higiaz e nella più gran parte dei territori<br />

circostanti.<br />

Oggi, l’integralismo wahhabita afferma che i contenuti della civiltà<br />

moderna d’origine occidentale corrompono la società e devono essere<br />

condannati. Non sono tollerati la musica e il fumare tabacco; sono vietate<br />

le case <strong>di</strong> tolleranza; non sono ammesse espressioni <strong>di</strong> culto non<br />

wahhabita nemmeno delle confraternite dei sufi musulmani; è applicato<br />

il più integro <strong>di</strong>ritto penale islamico, compreso il taglio della mano<br />

e la lapidazione delle donne adultere.<br />

La più rigida e tra<strong>di</strong>zionale delle interpretazioni storiche della sharia,<br />

o canone della legge islamica, è <strong>di</strong>fesa dal wahhabismo che si oppone<br />

non solo ad ogni innovazione razionalista o laica, presente in altre<br />

scuole giuri<strong>di</strong>che, ma anche a tutta la giurisprudenza d’origine non<br />

coranica.<br />

Seguono, ovviamente, tutte le rigi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo sociale e politico<br />

collegate a tanta intransigenza religiosa.<br />

L’attuale monarchia sau<strong>di</strong>ta, nonostante gli apparenti buoni rapporti<br />

con gli Stati Uniti e con l’Occidente, sostiene e <strong>di</strong>fende quest’integralismo<br />

religioso che, <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente, è un accanito nemico<br />

<strong>di</strong> tutto ciò che c’è d’occidentale non solo nei paesi islamici ma,<br />

considerata la <strong>di</strong>ffusione dei musulmani, anche nel mondo.<br />

Siamo, cioè, <strong>di</strong> fronte ad un <strong>di</strong>ffuso fanatismo non costruttivo, ottusamente<br />

fermo ad un’idea <strong>di</strong> religione e <strong>di</strong> società umana vecchia <strong>di</strong><br />

mille e quattrocento anni con la quale non è possibile alcun <strong>di</strong>alogo e<br />

per la quale si può solo sperare in un lento mutamento per opera delle<br />

altre scuole islamiche e dello scambio culturale che accompagna l’evoluzione<br />

dei mezzi <strong>di</strong> comunicazione (televisione e Internet).<br />

56


5. Considerazioni conclusive<br />

Il breve cenno alle teorie estremiste che hanno seminato lutti in Europa<br />

nel <strong>di</strong>ciannovesimo secolo e stragi per il mondo nei tempi recenti,<br />

non ha accertato quanto questi estremismi possano avere con<strong>di</strong>zionato<br />

la formazione e la giovinezza <strong>di</strong> Giuseppe Mazzini e Osama bin<br />

Laden.<br />

Oggi, dopo oltre un secolo, sappiamo perfettamente che nessuno<br />

potrebbe suggerire <strong>di</strong> inquadrare l’azione rivoluzionaria <strong>di</strong> Giuseppe<br />

Mazzini in una qualche forma <strong>di</strong> sovversivismo anarchico. Non è la<br />

violenza espressa nelle insurrezioni e nei tentativi <strong>di</strong> rivolta organizzati<br />

da Mazzini che può essere il metro per giu<strong>di</strong>carne l’impegno umano:<br />

il suo esemplare, quasi mistico rispetto <strong>di</strong> un possibile or<strong>di</strong>ne democratico<br />

e i suoi precisi intenti politico-nazionali sono stati ampiamente<br />

chiariti dalla Storia.<br />

Non è possibile, invece, sapere quanto tempo dovrà trascorrere prima<br />

che possa esser chiaro se l’azione <strong>di</strong> Osama bin Laden possa essere<br />

riferita ad esasperazioni wahhabite o se sia determinata da una legittima<br />

esigenza <strong>di</strong> veder rispettate le attese nazionalistiche e la <strong>di</strong>gnità<br />

dei paesi arabi.<br />

Poiché per tentare <strong>di</strong> capire non possiamo attendere gli sviluppi finali<br />

della <strong>di</strong>ffusa violenza che tiene in ansia il mondo, è necessario<br />

guardare da vicino il succedersi delle <strong>di</strong>chiarazioni politiche e delle<br />

iniziative <strong>di</strong> bin Laden per cogliere quegli aspetti che possano aiutarci<br />

a sciogliere i nostri dubbi.<br />

In questa prospettiva, è utile continuare a seguire anche il peregrinare<br />

e le iniziative <strong>di</strong> Giuseppe Mazzini nella sua età adulta per verificare<br />

se e quanto sia lecito approfon<strong>di</strong>re un confronto che, nell’attuale<br />

stato <strong>di</strong> emotività e <strong>di</strong> paura, appare improponibile alla maggior parte<br />

dell’opinione pubblica occidentale.<br />

57


Capitolo terzo<br />

Due società segrete (ma non troppo)<br />

1. Giuseppe Mazzini: la Giovine Italia e la Giovine Europa<br />

Nel 1831, Giuseppe Mazzini aveva appena ventisei anni, ma la<br />

fondatezza delle riflessioni e la tensione morale gli davano una maturità<br />

da uomo ben più adulto. Il colore sempre nero che usava per vestire<br />

e il tono pacato e sicuro con il quale parlava gli conferivano un<br />

ascendente carismatico che gli altri esuli rispettavano imme<strong>di</strong>atamente.<br />

L’analisi delle ragioni delle sconfitte dei moti carbonari del 1831 lo<br />

aveva spinto a costituire un’associazione che si rivolgeva a tutte le<br />

componenti sociali con un programma chiaro e ben determinato: “Fare<br />

l’Italia Una, In<strong>di</strong>pendente, Libera, Repubblicana».<br />

La Giovine Italia, costituita a Marsiglia, si <strong>di</strong>ffuse rapidamente in<br />

Italia e specialmente in Piemonte e in Liguria. Ogni iniziato doveva fare<br />

il seguente giuramento solenne:<br />

“Io citta<strong>di</strong>no italiano<br />

– davanti a Dio, padre della libertà, davanti agli uomini nati a gioirne,<br />

davanti a me e alla mia coscienza, specchio delle leggi della natura<br />

– pei <strong>di</strong>ritti in<strong>di</strong>viduali e sociali che costituiscono l’Uomo – per l’amore<br />

che mi lega alla mia patria infelice – pei secoli <strong>di</strong> servaggio che<br />

la contristano – pei tormenti sofferti da’ miei Italiani fratelli – per le lagrime<br />

sparse dalle madri sui figli, spenti o cattivi – pel fremito dell’anima<br />

mia nel vedermi solo, inerte e impotente nell’azione – pel sangue<br />

dei martiri della patri – per le memorie de’ padri – per le catene che mi<br />

circondano:<br />

59


giuro <strong>di</strong> consacrarmi tutto e per sempre con tutte le mie potenze<br />

morali o fisiche alla Patria e alla sua rigenerazione; <strong>di</strong> consacrare il<br />

pensiero, la parola e l’azione a conquistare in<strong>di</strong>pendenza, unione, libertà<br />

all’Italia; <strong>di</strong> spegnere col braccio e infamar con la voce i tiranni<br />

e la tirannide politica, civile o morale, citta<strong>di</strong>na o straniera; <strong>di</strong> combattere<br />

in ogni modo le ineguaglianze fra gli uomini <strong>di</strong> una stessa terra; <strong>di</strong><br />

promuovere con ogni mezzo l’educazione degli Italiani alla libertà e<br />

alla virtù che la fanno eterna; <strong>di</strong> soccorrere coll’opera e col consiglio<br />

qualunque m’invocasse fratello; <strong>di</strong> cercare per ogni via che gli uomini<br />

della Giovine Italia ottengano la <strong>di</strong>rezione della cosa pubblica; <strong>di</strong> propagare<br />

con prudenza operosa la Federazione <strong>di</strong> cui fo parte da questo<br />

momento; <strong>di</strong> ubbi<strong>di</strong>re agli or<strong>di</strong>ni e alle istruzioni che mi verranno trasmesse<br />

da chi rappresenta con me l’unione de’ miei fratelli; <strong>di</strong> non rivelare,<br />

per seduzione o tormenti, l’esistenza, le leggi, lo scopo della federazione,<br />

e <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere, potendo, il rivelatore.<br />

Così giuro, rinnegando ogni mio interesse particolare pel vantaggio<br />

della mia Patria e, invocando sulla mia testa l’ira <strong>di</strong> Dio e l’abbandono<br />

degli uomini, l’infamia e la morte dello spergiuro, s’io mancassi al<br />

mio giuramento”.<br />

Nella formula del giuramento, l’invocazione <strong>di</strong> Dio e la ripetizione<br />

del verbo consacrare esprimono con chiarezza il sentimento religioso<br />

della formazione mazziniana che è messo al servizio dello scopo politico<br />

nazionale. Altre espressioni – spegnere col braccio i tiranni, combattere<br />

in ogni modo le ineguaglianze, ubbi<strong>di</strong>re agli or<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong>struggere<br />

il delatore – documentano la decisa volontà <strong>di</strong> operare anche con la<br />

violenza per raggiungere l’obiettivo politico unitario. Il tutto, ovviamente,<br />

entro il quadro del rigore morale giansenista e della cultura romantica<br />

che Mazzini aveva elaborato con la sua sensibile attenzione al<br />

patrimonio letterario, artistico e storico italiano.<br />

A Marsiglia, nel marzo 1831, inizia la pubblicazione della rivista<br />

«La Giovine Italia», che ha come sottotitolo «Serie <strong>di</strong> scritti intorno<br />

alla con<strong>di</strong>zione politica, morale e letteraria dell’Italia, tendenti alla<br />

sua rigenerazione». Il perio<strong>di</strong>co <strong>di</strong>venta strumento <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione dell’Associazione.<br />

Pian piano, la Giovine Italia si estende anche nell’ambito<br />

militare. Il 1833 è un anno duro: nel Regno Sardo gli atti insurrezionali<br />

sono soffocati nel sangue: sono condannati a morte vari affiliati.<br />

È fucilato ad Alessandria Andrea Vochieri; Jacopo Ruffini, amico<br />

fraterno <strong>di</strong> Mazzini, si uccide nella notte tra il 10 e l’11 giugno, nel ti-<br />

60


more <strong>di</strong> non saper resistere alle torture che si esercitano sui detenuti.<br />

Per la sua attività sovversiva, Mazzini è condannato a morte in contumacia<br />

il 26 ottobre dal Consiglio Divisionale <strong>di</strong> Guerra <strong>di</strong> Alessandria.<br />

Il 2 febbraio 1835 fallisce il tentativo d’invasione della Savoia e<br />

Mazzini è costretto a rifugiarsi in Svizzera, dove s’incontra con patrioti<br />

esuli <strong>di</strong> tutte le nazionalità europee oppresse. Favorisce la costituzione<br />

delle società, più o meno segrete, Giovine Polonia, Giovine Germania,<br />

che, collegate con la Giovine Italia, formano la Giovine Europa con lo<br />

scopo <strong>di</strong> sostenere la creazione <strong>di</strong> libere nazioni europee affratellate. Il<br />

Gran Consiglio <strong>di</strong> Berna lo espelle perché aveva promosso anche la costituzione<br />

della Giovine Svizzera. Nell’ottobre, con i fratelli Ruffini, è<br />

a Grenchen. Seguono numerosi spostamenti. Nel maggio 1836 è arrestato<br />

nel Cantone svizzero <strong>di</strong> Soletta e poco dopo la Dieta svizzera lo<br />

esilia in perpetuo. La fama <strong>di</strong> sovversivo lo segue in Francia dove è arrestato<br />

a Parigi e rilasciato alla con<strong>di</strong>zione che parta per l’Inghilterra.<br />

Giunge a Londra in miseria e riesce a sopravvivere collaborando a riviste<br />

e giornali.<br />

Nel 1840 s’impegna per il rilancio della Giovine Italia e pubblica a<br />

Londra “Apostolato popolare” con il sottotitolo «Libertà, Eguaglianza,<br />

Umanità, In<strong>di</strong>pendenza, Unità - Dio e il popolo - Lavoro e frutto<br />

proporzionato»: le espressioni Apostolato e Dio e popolo confermano<br />

l’aspetto religioso che Mazzini vede nel suo impegno e al quale richiama<br />

le masse alle quali si rivolge.<br />

La repressione, che ha preso il sopravvento, lo costringe a trascorrere<br />

sette lunghi, <strong>di</strong>fficili anni a Londra dove ha fondato una scuola<br />

gratuita per bambini poveri e da dove cerca <strong>di</strong> sconsigliare la tragica<br />

spe<strong>di</strong>zione dei fratelli Ban<strong>di</strong>era. Scrive a Pio lX per in<strong>di</strong>cargli cosa fare<br />

per l’Italia e nel 1848 torna a Parigi e poi a Milano che è insorta contro<br />

gli austriaci. Ripara in Svizzera al ritorno degli austriaci. Il 9 febbraio<br />

1849 è proclamata la Repubblica Romana. Goffredo Mameli telegrafa<br />

a Mazzini: «Roma Repubblica, venite!». Il 5 marzo arriva a Roma,<br />

«trepidante e quasi adorando», ed è nominato triumviro. A fine<br />

giugno, non potendo <strong>di</strong>fendere Roma, poiché è respinta la sua proposta<br />

<strong>di</strong> portar fuori l’esercito e combattere altrove, si <strong>di</strong>mette con gli altri<br />

triumviri. Parte per Marsiglia e ricomincia il suo peregrinare prima<br />

a Ginevra poi a Losanna e, sempre nascostamente per sfuggire alla<br />

caccia poliziesca e alle condanne, a Londra dove vivrà per <strong>di</strong>ciotto an-<br />

61


ni con più o meno lunghe puntate nel continente. A Londra non trascura<br />

<strong>di</strong> prendere tutte le iniziative possibili per estendere le simpatie<br />

per il suo paese.<br />

Il 6 febbraio 1853 organizza a Milano un tentativo insurrezionale<br />

contro gli austriaci che è subito represso. Nel 1857 si reca a Genova<br />

per preparare la sommossa della città e la spe<strong>di</strong>zione nel Mezzogiorno<br />

affidata al comando <strong>di</strong> Carlo Pisacane. La tragica fine <strong>di</strong> Pisacane fa<br />

fallire anche l’insurrezione che doveva scoppiare nel capoluogo ligure:<br />

Mazzini riesce a sfuggire all’arresto e, per la seconda volta, sarà<br />

condannato a morte in contumacia (28 marzo 1858). In quell’inizio del<br />

1858, le ripetute sconfitte delle insurrezioni organizzate gli alienano la<br />

fiducia <strong>di</strong> molti mazziniani che aderiscono alla causa sabauda che appare<br />

sempre più concretamente sostenibile. L’abbandono da parte <strong>di</strong><br />

molti amici delude Mazzini e i giu<strong>di</strong>zi negativi espressi dal Cavour alla<br />

Camera, sull’irresponsabile violenza e sui rischi delle cospirazioni<br />

mazziniane, lo spingono a scrivergli una dura lettera <strong>di</strong> protesta.<br />

Nel settembre, tornato a Londra, fonda il perio<strong>di</strong>co « Pensiero e<br />

Azione» che fino al 22 maggio del 1860 è totalmente de<strong>di</strong>cato alla<br />

propaganda repubblicana.<br />

In Italia Mazzini non è ben accetto e viene escluso dall’amnistia<br />

concessa all’inizio della guerra con l’Austria: è il 1859, si reca clandestinamente<br />

a Firenze e la sua presenza è tollerata.<br />

Nel maggio 1860 parte da Londra per l’Italia con la speranza <strong>di</strong><br />

raggiungere Garibal<strong>di</strong> per l’impresa dei Mille. Arriva a Genova due<br />

giorni dopo la partenza <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong> ma si ferma per collaborare alla<br />

preparazione dell’insurrezione della Toscana.<br />

Con la falsa in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Londra, fa stampare a Lugano Doveri<br />

dell’uomo, sintesi del suo pensiero e della sua concezione etico-religiosa<br />

della vita che era il punto <strong>di</strong> forza del suo impegno attivo: una<br />

fede incrollabile in un chiaro ideale politico animava la sua speranza<br />

<strong>di</strong> rinnovare l’Italia con il suo impegno rivoluzionario.<br />

A settembre si reca a Napoli dove il pro<strong>di</strong>ttatore Giorgio Pallavicino<br />

lo invita a lasciare la città anche per le <strong>di</strong>mostrazioni popolari a lui<br />

ostili. Non riesce nemmeno a convincere Garibal<strong>di</strong> a non cedere alla<br />

lusinga sabauda e a proseguire nella sua marcia verso il nord del paese.<br />

Comincia a rendersi conto che il suo ideale repubblicano non raccoglie<br />

più il seguito degli anni precedenti e, deluso, torna a Londra.<br />

62


Nel 1863 organizza un tentativo insurrezionale in Friuli e richiama<br />

l’attenzione <strong>di</strong> Vittorio Emanuele ll su Venezia e sul Veneto. Ma la<br />

guerra del 1866 per la liberazione del Veneto lo delude ancora e ritorna<br />

all’impegno politico <strong>di</strong> organizzatore del partito repubblicano: la<br />

Camera dei Deputati annulla la sua elezione nel collegio <strong>di</strong> Messina, a<br />

causa della condanna a morte del 1858 per i moti genovesi. L’anno<br />

successivo è Mazzini a rinunziare all’elezione a deputato. La sua salute<br />

comincia a cedere ma continua a tessere rapporti e a lanciare iniziative:<br />

si sposta fra Lugano e Genova e, nel 1870, va in Sicilia dove spera<br />

<strong>di</strong> organizzare un movimento insurrezionale. A Palermo, prima <strong>di</strong><br />

scendere dalla nave, è arrestato e trasferito al carcere <strong>di</strong> Gaeta: poco<br />

dopo è liberato, in virtù dell’amnistia concessa ai condannati politici<br />

per la presa <strong>di</strong> Roma.<br />

Dopo brevi soste a Roma, Livorno, Genova, deluso dall’atmosfera<br />

che regna in un’Italia unita ma non come aveva sperato, riprende la via<br />

dell’esilio. È a Lugano alla fine <strong>di</strong> ottobre; ritorna a Londra alla metà<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre.Trascorre a Lugano il 1871 e, il 6 febbraio 1872, giunge<br />

in incognito a Pisa, ospite dei Nathan-Rosselli: muore il 10 marzo. Il<br />

17 successivo si svolgono a Genova i funerali solenni: secondo i calcoli<br />

della polizia, partecipano circa centomila persone<br />

Si concludeva la vita <strong>di</strong> un esule che aveva speso la vita per un<br />

ideale: l’Italia unita, in<strong>di</strong>pendente, democratica e repubblicana. Aveva<br />

tentato anche <strong>di</strong> sostenere le uguali attese <strong>di</strong> tutti i popoli europei. Le<br />

sue fughe, gli esili, gli arresti e le condanne a morte non erano stati casuali:<br />

sempre dove arrivava salivano i toni delle cospirazioni e gli<br />

eventi sovversivi che le polizie e i governi <strong>di</strong> tutta l’Europa temevano<br />

e braccavano.<br />

Condannato da molti contemporanei che lo avversarono, oggi, giustamente,<br />

Giuseppe Mazzini è ricordato come l’Apostolo dell’unità<br />

d’Italia.<br />

2. Osama bin Laden: al Qaeda (la Base)<br />

Il 1979 è l’anno cruciale della vita <strong>di</strong> Osama bin Laden: si è appena<br />

laureato e ad est dell’Iraq il mondo islamico assiste a due avvenimenti<br />

che ne cambiano ra<strong>di</strong>calmente la situazione politica.<br />

63


In febbraio trionfa la rivoluzione komeinista sciita nell’Iran: si risvegliano<br />

i movimenti fondamentalisti <strong>di</strong> molti paesi arabi. In <strong>di</strong>cembre,<br />

la Russia sovietica invade l’Afghanistan per sostenere il regime<br />

marxista contro la ribellione dei mujahid<strong>di</strong>n locali: si solleva un’ondata<br />

<strong>di</strong> solidarietà in tutto il mondo islamico.<br />

A 22 anni bin Laden, con l’appoggio entusiasta della sua famiglia e<br />

con l’avallo della Casa reale, decide <strong>di</strong> entrare nelle brigate internazionali<br />

musulmane contro il comunismo, sostenute dalle risorse finanziarie<br />

e dalle armi che il governo degli Stati Uniti e la CIA profondono<br />

per fermare l’espansionismo sovietico.<br />

Il giovane bin Laden, inesperto <strong>di</strong> guerra e caratterialmente poco incline<br />

ad esporsi pubblicamente, in effetti, esor<strong>di</strong>va sulla scena afghana<br />

sostenuto da una serie <strong>di</strong> fattori strategico-politici e religiosi che non<br />

possono essere ignorati: era sostenuto dai servizi segreti <strong>di</strong> Arabia sau<strong>di</strong>ta<br />

(el Istaybarat), Pakistan (el Isi) e Stati Uniti d’America (CIA), tre<br />

paesi interessati per ragioni <strong>di</strong>verse ad aiutare la guerriglia afghana e<br />

cacciare i sovietici dall’Afghanistan. Con il riacutizzarsi della guerra<br />

fredda, l’amministrazione statunitense finanziava generosamente<br />

ovunque e qualificava come “combattenti della libertà” le forze ribelli<br />

utili nel confronto globale con l’URSS. Il <strong>di</strong>ttatore pakistano del tempo<br />

perseguiva una politica <strong>di</strong> prestigio e <strong>di</strong> leadership del suo paese nel<br />

mondo musulmano e aspirava ad includere l’Afghanistan nell’area<br />

d’influenza del Pakistan. L’Arabia Sau<strong>di</strong>ta voleva <strong>di</strong>mostrare ai suoi<br />

critici interni ed esterni che il paese in cui era nato Maometto era un<br />

fermo <strong>di</strong>fensore della fede. I tre stati, inoltre, avevano anche un interesse<br />

comune sull’Afghanistan: impe<strong>di</strong>re che l’Iran soppiantasse la<br />

Russia come potenza tutelare. Gli Stati Uniti, per fermare l’avanzata<br />

del fondamentalismo sciita antiamericano; il Pakistan, per una questione<br />

<strong>di</strong> rivalità strategica nella regione; l’Arabia Sau<strong>di</strong>ta, per antagonismo<br />

religioso del wahhabismo verso l’integralismo sciita.<br />

Forte <strong>di</strong> questi appoggi e con i consigli del giordano palestinese Abdullah<br />

Yusuf Azzam, intellettuale islamista che aveva conosciuto come<br />

docente all’Università <strong>di</strong> Jiddah, bin Laden avvia l’organizzazione <strong>di</strong><br />

campi d’addestramento dei guerriglieri, ne sollecita il reclutamento e<br />

inizia la raccolta <strong>di</strong> donazioni e finanziamenti per lo jihad afghano: l’espressione<br />

jihad è qui nei precisi termini coranici perché si tratta <strong>di</strong><br />

reazione all’invasione russa.<br />

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© ARMANDO EDITORE. La fotocopia non autorizzata è reato.<br />

Per raccogliere fon<strong>di</strong>, comincia a fare frequenti viaggi nel suo paese<br />

e, probabilmente, incrementa i mezzi finanziari con proventi del lucroso<br />

traffico d’oppio e <strong>di</strong> morfina che in Afganistan è fiorente per le<br />

estese coltivazioni <strong>di</strong> papavero.<br />

Dal 1982 si stabilisce a Peshawar e per agevolare le iniziative avviate<br />

contribuisce <strong>di</strong> tasca propria all’armamento delle migliaia <strong>di</strong> volontari<br />

arabi – come furono chiamati tutti i volontari musulmani non<br />

afghani, sia arabi propriamente detti sia d’altre nazionalità, uzbeki,<br />

africani neri, filippini e cinesi. Comincia a prendere parte egli stesso ai<br />

combattimenti e, ferito in una battaglia per il controllo dell’aeroporto<br />

<strong>di</strong> Jalalabad, riceve il titolo <strong>di</strong> mujahid (cioè combattente sacro o colui<br />

che fa lo jihad).<br />

Nell’area operavano già gruppi <strong>di</strong> guerriglieri locali pasthùn, etnia<br />

maggioritaria in Afghanistan e dominante nelle regioni annesse al<br />

Pakistan dov’è, a sua volta, la terza etnia più popolosa: bin Laden prende<br />

contatti con i capi per coor<strong>di</strong>nare e finanziare le azioni <strong>di</strong> guerriglia.<br />

Questi contatti, che consentono rapporti con i centri <strong>di</strong> indottrinamento<br />

politico e <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> religiosi a Peshawar, permettono a bin Laden<br />

<strong>di</strong> stabilire nuove relazioni con vari gruppi islamisti nazionali, come la<br />

Jihad islamica egiziana, e con organizzazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni internazionali,<br />

come “I fratelli musulmani”, lo storico movimento islamista<br />

fondato in Egitto nel 1928, e la Lega islamica Mon<strong>di</strong>ale, creata in Arabia<br />

Sau<strong>di</strong>ta nel 1962. Tutte queste associazioni, segrete e non segrete,<br />

erano interessate alla sorte dei loro fratelli <strong>di</strong> fede afghani. I contatti<br />

con questi centri religiosi, inoltre, fanno fermare la sua attenzione sulla<br />

multinazionalità dei combattenti islamici e sul sentimento sopranazionale<br />

che li unisce: si ripetono le stesse emozioni che avevano spinto<br />

Giuseppe Mazzini, in Svizzera fra gli esuli, alla costituzione della<br />

Giovine Europa.<br />

Nel 1986, cura la realizzazione <strong>di</strong> un centro operativo in un tunnel,<br />

scavato a Khost nelle montagne a Sud-est <strong>di</strong> Jalalabad con l’aiuto <strong>di</strong><br />

ingegneri e operai pagati da lui, provvisto <strong>di</strong> moderne tecnologie <strong>di</strong><br />

comunicazione fornite dagli Stati Uniti: bin Laden ottiene un controllo<br />

più stretto della sua rete <strong>di</strong> combattenti che istruisce personalmente<br />

dando un’approfon<strong>di</strong>ta formazione informatica.<br />

Dal prestigio e dalla forza del mini esercito al suo comando, fra<br />

12.000 e 20.000 uomini, e dall’insieme dei contatti con gruppi inte-<br />

65


gralisti esterni nasce nel 1988 al-Qaeda (La base) con il preciso obiettivo<br />

<strong>di</strong> lottare per il riscatto della <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> tutta la comunità islamica<br />

(Ummah).<br />

Nel febbraio del 1989 l’esercito sovietico, su decisione <strong>di</strong> Michail<br />

Gorbaciov, si ritira dall’Afghanistan. Lo jihad, che era inteso nel suo<br />

senso corretto, termina e Bin Laden che, come afferma lo storico francese<br />

Gilles Kepel, aveva già una fama leggendaria grazie al buon carattere,<br />

alla generosità in danaro, al coraggio <strong>di</strong> combattente e alla de<strong>di</strong>zione<br />

alla causa, torna in Arabia Sau<strong>di</strong>ta. Entra nel circuito degli alleati<br />

del re Fahd e riprende con lena la gestione <strong>di</strong> un complesso d’imprese<br />

e <strong>di</strong> affari che solo in parte corrispondevano all’ere<strong>di</strong>tà familiare.<br />

Abbandonato al suo destino dai russi, il regime comunista afghano<br />

<strong>di</strong> Mohammed Najibullah sembrava avere i giorni contati ma resiste<br />

inopinatamente fino ad Aprile 1992 grazie alle croniche lotte intestine<br />

delle varie tribù e agli antagonismi fra i capi delle <strong>di</strong>verse fazioni etniche<br />

e religiose.<br />

Osama bin Laden <strong>di</strong>mostra il senso della sua partecipazione ai problemi<br />

islamici non <strong>di</strong>menticando i suoi afgani: con mezzi propri crea<br />

istituzioni per assisterli economicamente e aiuta le famiglie dei morti<br />

in combattimento.<br />

Nell’agosto del 1990 un’altra scossa sommuove il vicino Oriente:<br />

l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq <strong>di</strong> Saddam Hussein. Come bin<br />

Laden, anche il <strong>di</strong>ttatore <strong>di</strong> Bagdad era stato appoggiato dagli Stati Uniti<br />

nella dura guerra contro l’Iran dell’ayatollah Komeini (1980-1988).<br />

Hussein commette l’errore <strong>di</strong> invadere il ricco emirato petrolifero nell’illusione<br />

che gli americani non avrebbero reagito militarmente. Gli<br />

Stati Uniti, invece, organizzano una vasta alleanza militare internazionale<br />

perché non vogliono che terzi incomo<strong>di</strong> interferiscano sul petrolio<br />

kuwaitiano che già controllano: devono cacciare in<strong>di</strong>etro l’Iraq.<br />

Il regno sau<strong>di</strong>ta si unisce alla coalizione e consente agli Stati Uniti<br />

<strong>di</strong> impiantare nel paese una base aerea. L’arrivo <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> soldati<br />

statunitensi e <strong>di</strong> altre nazioni occidentali ha un impatto senza precedenti<br />

nell’ultra conservatrice società sau<strong>di</strong>ta che dalla cacciata dei turchi<br />

alla fine della guerra mon<strong>di</strong>ale non aveva conosciuto un esercito <strong>di</strong><br />

occupazione e mai aveva visto sul suo suolo un esercito costituito da<br />

cristiani infedeli. Bin Laden si erge a pubblico portavoce <strong>di</strong> molti sau<strong>di</strong>ti<br />

che considerano umiliante e sacrilega questa massiccia presenza<br />

66


militare, anche se limitata alla città <strong>di</strong> Dhahràn e altri punti vicini al<br />

Golfo Persico. La sua città Jiddah, vicina al Mar Rosso e molto vicina<br />

alla Mecca, inoltre, è uno scalo logistico essenziale nelle operazioni<br />

aeree del contingente internazionale.<br />

La rottura definitiva col re avviene quando questi, essendo stata<br />

l’Arabia attaccata dai missili iracheni, preferisce la protezione statunitense<br />

a quella offerta da un suo sud<strong>di</strong>to che gli aveva proposto <strong>di</strong> opporre<br />

agli iracheni un esercito esclusivamente musulmano composto<br />

dai suoi ex combattenti afghani. Nel 1990, quin<strong>di</strong>, sono contro gli Stati<br />

Uniti d’America due antichi protetti: Osama bin Laden e Saddam<br />

Hussein.<br />

La lineare consecutio degli avvenimenti documenta come l’iniziativa<br />

<strong>di</strong> bin Laden sia una specifica, <strong>di</strong>retta reazione all’intollerata presenza<br />

degli americani nel suo paese: chi sostiene che nasca da stimoli<br />

wahhabiti è in malafede.<br />

Tanto Saddam che bin Laden allargano il loro <strong>di</strong>scorso rivolgendo<br />

la loro solidarietà al popolo palestinese: sollecitano con il linguaggio<br />

coranico lo jihad della comunità araba contro Israele, alleato degli Stati<br />

Uniti nella zona e occupante arbitrario della Cisgiordania palestinese.<br />

La situazione per i palestinesi, senza che nessuno possa permettersi<br />

<strong>di</strong> parlare d’integralismo religioso, rientra specificatamente nella coranica<br />

reazione al nemico che ha occupato la loro terra.<br />

L’Iraq è obbligato a ritirarsi dal Kuwait per l’attacco militare americano<br />

del gennaio 1991, ma le truppe statunitensi rimangono in Arabia<br />

Sau<strong>di</strong>ta. Gli americani non intendono lasciare le basi e, corrompendo il<br />

governo, ignorano le proteste dei sau<strong>di</strong>ti, suscitando la reazione ostile<br />

dei vari capi tribù e degli ulema (dottori della legge islamica) che cominciano<br />

a simpatizzare con le posizioni contestatrici <strong>di</strong> Osama bin Laden.<br />

Anche in questo caso lo jihad è una reazione all’arbitraria volontà<br />

americana <strong>di</strong> mantenere abusivamente le basi nel paese sacro all’Islam:<br />

fatto considerato dai musulmani una violenza doppia.<br />

Comincia il peregrinare <strong>di</strong> Osama bin Laden per i paesi islamici inseguito<br />

dalle condanne del suo paese e dai servizi segreti americani e<br />

israeliani. I suoi mezzi, però, sono molto più potenti <strong>di</strong> quelli che aveva<br />

a <strong>di</strong>sposizione Giuseppe Mazzini. Utilizzando i numerosi ex combattenti<br />

afghani che teneva segretamente a sua <strong>di</strong>sposizione a Me<strong>di</strong>na<br />

e alla Mecca, bin Laden organizza una serie <strong>di</strong> attentati contro gli in-<br />

67


teressi degli Stati Uniti, cominciando a pensare ad uno Jihad globale<br />

per combattere gli occupanti del suo paese e, per estensione, nemici <strong>di</strong><br />

tutto il mondo arabo e musulmano. Per comprendere la legittimità politica<br />

<strong>di</strong> questa posizione, è necessario ricordare lo stretto legame culturale<br />

e religioso che in Me<strong>di</strong>o Oriente c’è nei concetti <strong>di</strong> Stato, nazione<br />

araba e comunità islamica. Purtroppo, la politica occidentale ha<br />

sempre fatto finta d’ignorare questa complessità culturale e, utilizzando<br />

i propri parametri, ha creato mille contrad<strong>di</strong>zioni.<br />

Le attività sovversive <strong>di</strong> bin Laden appaiono intollerabili al regime<br />

sau<strong>di</strong>ta che lo costringe ad abbandonare il paese. Dopo un controllo alle<br />

installazioni logistico-militari <strong>di</strong> al-Qaeda che teneva in Afghanistan,<br />

bin Laden si rifugia in Sudan, governato con mano <strong>di</strong> ferro da un<br />

regime militare islamista. Nel paese africano bin Laden continua a far<br />

crescere al-Qaeda con i mezzi finanziari delle sue aziende e società che<br />

operano legalmente e che crescono pure in Sudan dove il governo lo<br />

autorizza a partecipare a parecchie gare per una serie <strong>di</strong> importanti<br />

opere pubbliche.<br />

Inizialmente, l’organizzazione sovversiva ha una portata potenziale<br />

contenuta perché bin Laden limita lo Jihad all’azione puramente militare<br />

e non ritiene <strong>di</strong> estenderla alla propaganda politica e alla mobilitazione<br />

civile: l’obiettivo era buttar fuori i nordamericani dal suo paese.<br />

Pian piano, però, al-Qaeda assume una <strong>di</strong>mensione complessa ed<br />

imponente dopo aver integrato all’apparato militare una struttura <strong>di</strong>plomatica,<br />

denominata Fronte islamico internazionale, che assume il<br />

compito <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nare i rapporti con i leaders delle varie organizzazioni<br />

estremiste <strong>di</strong> oltre 40 paesi islamici. Aderiscono anche molti capi dei<br />

gruppi veterani della guerra dell’Afghanistan risentiti contro gli Stati<br />

Uniti perché, conseguito l’obiettivo <strong>di</strong> mandare a casa i sovietici, si<br />

erano <strong>di</strong>sinteressati del loro paese.<br />

Questo coor<strong>di</strong>namento senza precedenti <strong>di</strong> cospiratori politici e <strong>di</strong><br />

martiri d’Allah, che comprende anche gruppi <strong>di</strong> fanatici che violentano<br />

i precetti dell’Islam per adeguarli al proprio estremismo, si consolida<br />

lungo gli anni novanta, pur se molti gruppi ra<strong>di</strong>cali islamici e molte<br />

organizzazioni in<strong>di</strong>pendentistiche (Palestina, Cecenia, Kur<strong>di</strong>stan,<br />

ecc.) mantengono i propri obiettivi nazionali che raccolgono maggiore<br />

partecipazione popolare.<br />

Nel 1992 al-Qaeda è pronta per attaccare obiettivi statunitensi. Il 29<br />

68


<strong>di</strong>cembre un lavoratore yemenita ed un turista austriaco muoiono in un<br />

attentato contro un albergo <strong>di</strong> Aden usato da militari statunitensi. Il 26<br />

febbraio del 1993 a New York, un’autobomba posteggiata nel parcheggio<br />

sotterraneo delle Torri Gemelle del complesso Word Trade<br />

Center uccide sei persone e ne ferisce molte <strong>di</strong> più. L’FBI cattura e<br />

condanna gli esecutori materiali ed il presunto organizzatore dell’attentato,<br />

un pre<strong>di</strong>catore abituale nella Moschea del New Jersey, ma non<br />

fa ancora alcun riferimento ad un possibile collegamento con al-Qaeda.<br />

Le Agenzie <strong>di</strong> sicurezza degli Stati Uniti cominciano a tener d’occhio<br />

l’onnipresente attivista sau<strong>di</strong>ta e lo scrivono nella loro lista nera.<br />

La CIA apre un dossier a luglio del 1993. A bin Laden è attribuito anche<br />

un intervento in<strong>di</strong>retto nell’abbattimento <strong>di</strong> due elicotteri e la morte<br />

<strong>di</strong> una decina <strong>di</strong> soldati dell’esercito degli Stati Uniti il 4 ottobre del<br />

1993 a Moga<strong>di</strong>scio nel corso <strong>di</strong> un intervento militare in Somalia: si<br />

sospetta che siano stati utilizzati missili Stinger terra-aria (un’altra<br />

conseguenza indesiderata dell’armamento massiccio dei mujahid<strong>di</strong>n<br />

afghani da parte degli Stati Uniti) forniti da al-Qaeda.<br />

Nel 1994 bin Laden è privato della nazionalità sau<strong>di</strong>ta, <strong>di</strong>venta un<br />

apolide ma non si ferma: al-Qaeda assume il <strong>di</strong>chiarato obiettivo <strong>di</strong><br />

colpire i militari statunitensi in qualunque luogo del mondo e punire il<br />

filoamericanismo della Casa sau<strong>di</strong>ta. Il 13 novembre 1995 un’autobomba<br />

esplode a Rijadh <strong>di</strong> fronte alla sede dei consiglieri militari americani<br />

della guar<strong>di</strong>a nazionale sau<strong>di</strong>ta ed uccide cinque statunitensi. Il<br />

25 giugno 1996 lo scoppio <strong>di</strong> un camion cisterna carico con una tonnellata<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>namite, vicino all’e<strong>di</strong>ficio al-Khobar <strong>di</strong> Dhahràn, causa la<br />

morte <strong>di</strong> 19 statunitensi e parecchi feriti. Il regime sau<strong>di</strong>ta reagisce con<br />

arresti massicci e con l’esecuzione dei colpevoli. Bin Laden raccoglie<br />

la solidarietà alle sue iniziative fra gli Ulema e i capi religiosi critici<br />

nei confronti della politica interna e <strong>di</strong>plomatica del re Fahd.<br />

Negli Stati Uniti, Clinton firma una nuova legge antiterrorismo per<br />

bloccare i conti bancari <strong>di</strong> persone e organizzazioni sospette <strong>di</strong> terrorismo.<br />

Il primo obiettivo <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>sposizione è il multimilionario sau<strong>di</strong>ta;<br />

la Corte federale <strong>di</strong> New York istituisce uno specifico ufficio investigativo<br />

contro bin Laden.<br />

Settimane prima dell’attentato <strong>di</strong> Dhahràn, bin Laden abbandona il<br />

Sudan per le pressioni del governo sudanese. Poco prima del suo trasferimento,<br />

come racconta Simon Reeve nel suo libro I nuovi sciacalli,<br />

69


in Laden è vittima <strong>di</strong> un attentato organizzato dal Mossad israeliano.<br />

È curato sotto falso nome in un ospedale privato <strong>di</strong> Londra e, nell’agosto<br />

del 1996, ritorna in Afghanistan che, dalla caduta <strong>di</strong> Najibullah nel<br />

1992, è un caotico campo <strong>di</strong> battaglia e <strong>di</strong> saccheggio nel quale comandanti<br />

mujahid<strong>di</strong>n e capi tribali lottano per il controllo del paese.<br />

Si stabilisce a Jalalabad, da dove il 23 agosto 1996 lancia la sua <strong>di</strong>chiarazione<br />

<strong>di</strong> guerra agli Stati Uniti; il titolo completo è: Dichiarazione<br />

<strong>di</strong> guerra contro gli americani che occupano la terra dei due<br />

luoghi santi. Per espellere gli infedeli dalla penisola araba.<br />

La Dichiarazione inizia con una dettagliata elencazione dei massacri<br />

subiti dalle popolazioni islamiche in Iraq, Palestina, Libano, Tajikistan,<br />

Birmania, Kashmir, Assam, Filippine, Fatani, Ogadèn, Somalia,<br />

Eritrea, Cecenia e Bosnia-Erzegovina. Protesta per l’arbitraria occupazione<br />

della “terra dei due luoghi santi” da parte delle truppe americane.<br />

Contesta il fatto che i “<strong>di</strong>ritti umani” non siano rispettati dall’alleanza<br />

“sionista-crociata” nel trattamento dei musulmani: sono falsi<br />

principi, afferma, che servono a coprire ipocritamente la prepotenza<br />

dell’Occidente. Sollecita la comunità islamica – la Ummah – ad agire<br />

unita contro questi nemici. Contesta i danni che l’aggressione continua<br />

ha arrecato all’industria e all’agricoltura dei paesi islamici oltre al tentativo<br />

continuo <strong>di</strong> appropriarsi delle ricchezze petrolifere i cui prezzi<br />

sono fissati nell’interesse dell’economia americana. Protesta per le<br />

frontiere arbitrarie che le potenze imperiali europee hanno tracciato<br />

per i paesi del Me<strong>di</strong>o Oriente <strong>di</strong>videndo in piccoli stati senza precisa<br />

determinazione nazionale creando un’enorme confusione che <strong>di</strong>vide<br />

l’Ummah. Invita i musulmani a non combattersi fra <strong>di</strong> loro per evitare<br />

le conseguenze negative che elenca. In<strong>di</strong>ca nello squilibrio del rapporto<br />

fra le forze armate la necessità della guerriglia veloce, segreta e a<br />

sorpresa. In<strong>di</strong>ca l’obiettivo <strong>di</strong> liberare i luoghi santi. Invita i giovani a<br />

combattere fidando in Dio che premia chi muore per una giusta causa.<br />

Il tutto con la continua invocazione <strong>di</strong> Allah, com’è normale nella cultura<br />

islamica, ricordando sempre che la Ummah per i musulmani ha lo<br />

stesso valore che l’espressione “popolo ebraico” ha per gli ebrei o l’espressione<br />

“cristianità” ha per i cristiani, con l’aggiunta <strong>di</strong> un contenuto<br />

anche politico.<br />

Firma la Dichiarazione con il suo nome completo e con l’in<strong>di</strong>cazione<br />

della località dove si trova per esprimere la grave importanza<br />

70


dell’avvenimento: OSAMA BIN MOHAMMED BIN LADEN, montagne<br />

dell’Hindukush, Khurasan, Afghanistan.<br />

Nessuno, dopo averla letta, può affermare che sia la <strong>di</strong>chiarazione<br />

<strong>di</strong> guerra <strong>di</strong> un fanatico esaltato. È una circostanziata denunzia delle<br />

responsabilità occidentali e una precisa in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> obiettivi concreti:<br />

liberare i luoghi santi e recuperare serenità politica ed economica<br />

per i musulmani. Chi afferma che in questa <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> guerra<br />

ci sia il fanatismo barbaro dell’“integralismo islamico” o non ha letto<br />

la <strong>di</strong>chiarazione o è in malafede.<br />

In quel frangente, Osama bin Laden è ospite del noto comandante<br />

militare Ahmed Sheh Masud che, poco dopo, <strong>di</strong>venta suo nemico. Le<br />

turbolente fazioni del nord, oltre a combattere fra <strong>di</strong> loro, da due anni<br />

sono aggre<strong>di</strong>te dalle province del sud, <strong>di</strong> maggioranza pasthun, da dove<br />

arriva un nuovo attore del conflitto, i Talebani. Questo movimento,<br />

fondamentalista religioso e militare <strong>di</strong> base etnica quasi esclusivamente<br />

pasthun, è nato nelle scuole islamiche (talib significa studente) che<br />

sostengono una rigida dottrina sunnita.<br />

Tributaria ideologica ed economica del wahabbismo sau<strong>di</strong>ta, la rivoluzione<br />

talebana, con la sua pre<strong>di</strong>cazione ultrarigorosa contro la corruzione,<br />

l’arbitrarietà, e la secolarizzazione dei costumi, irrompe in Afghanistan<br />

e, nel settembre 1996, ne raggiunge il controllo militare con<br />

i consensi <strong>di</strong> una popolazione nauseata dalle faide e dalle risse interminabili<br />

dei signori della guerra. Sono poste le fondamenta <strong>di</strong> uno Stato<br />

teocratico che <strong>di</strong>venta alleato naturale <strong>di</strong> bin Laden <strong>di</strong> cui con<strong>di</strong>vide<br />

l’o<strong>di</strong>o per l’Occidente. L’alleanza è solida anche se per i Talebani l’antioccidentalismo<br />

nasce dall’integralismo religioso mentre per bin Laden<br />

è un fatto politico ed economico. L’ospite sau<strong>di</strong>ta riceve un trattamento<br />

da ospite speciale: i Talebani sono consapevoli dei possibili benefici<br />

reciproci non solo per le ricchezze e i sofisticati sistemi <strong>di</strong> comunicazione<br />

e <strong>di</strong> elaborazione <strong>di</strong> cui bin Laden <strong>di</strong>spone ma anche per<br />

le sue relazioni internazionali.<br />

In questa situazione ambientale favorevole, bin Laden organizza<br />

campi <strong>di</strong> addestramento <strong>di</strong> guerriglieri, si dota <strong>di</strong> una guar<strong>di</strong>a del corpo<br />

speciale selezionata fra gli uomini migliori e consolida un rapporto<br />

personale con Mohammed Omar Akhmed, leader spirituale, e quin<strong>di</strong><br />

anche politico, del movimento talebano.<br />

Nel maggio del 1997 concede un’intervista alla CNN nella quale<br />

71


espone le ragioni politiche, culturali ed economiche che hanno determinato<br />

la sua <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> jihad contro gli statunitensi per le truppe<br />

ancora <strong>di</strong>slocate nel suo paese. Nella stessa intervista accusa la <strong>di</strong>nastia<br />

sau<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>mento degli interessi del paese e della comunità<br />

islamica: ancora una volta, esprime precise posizioni politiche senza<br />

alcun riferimento integralista.<br />

Nel febbraio del 1998, a Khost, bin Laden organizza un vertice<br />

dei leaders <strong>di</strong> alcuni gruppi nazionalisti segreti, qualificato dai commentatori<br />

occidentali una vera “internazionale terrorista”. In questa<br />

occasione, conosce il leader della jihad islamica egiziana, Ayman al-<br />

Zawahiri, con il quale stabilisce un fermo rapporto <strong>di</strong> collaborazione.<br />

È costituito il Fronte Internazionale Islamico <strong>di</strong> cui al-Qaeda è<br />

parte. Benché bin Laden non sia un alim (singolare <strong>di</strong> ulema), assieme<br />

agli altri capi emette la famosa fatua la cui lettura può confermare<br />

o smentire la convinzione <strong>di</strong>ffusa che il più fanatico integralismo<br />

religioso gui<strong>di</strong> la sua attività. Questo riscontro del senso letterale delle<br />

sue <strong>di</strong>chiarazioni e dei suoi documenti scritti dovrebbe esser fatto<br />

sempre <strong>di</strong>rettamente per evitare <strong>di</strong> affidarsi alle più o meno interessate<br />

affermazioni <strong>di</strong> mistificatori o <strong>di</strong> ingenui che, in un senso o in un<br />

altro, parlano per sentito <strong>di</strong>re.<br />

Nella fatwa, emessa “contro gli ebrei e i crociati”, è possibile rilevare<br />

in quali termini sono precisati i motivi che impongono ai musulmani<br />

<strong>di</strong> agire.<br />

72<br />

Sia lodato Allah, che rivelò il Libro, che controlla le nuvole,<br />

sconfigge il settarismo e <strong>di</strong>ce nel Libro: “Ma quando sono passati i<br />

mesi proibiti, allora combattete e uccidete i pagani dovunque li trovate,<br />

catturateli e asse<strong>di</strong>ateli e fate loro agguati con ogni stratagemma”;<br />

e la pace si posi sul Profeta, Mohammed bin-Abdallah, che <strong>di</strong>sse:<br />

“Io sono stato mandato con la spada fra le mie mani per far sì che<br />

nessuno venga adorato tranne Dio, Dio che ha fatto della mia lancia<br />

il motivo della mia vita e che infligge umiliazione e <strong>di</strong>sprezzo su coloro<br />

che <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>scono ai miei or<strong>di</strong>ni”. La penisola arabica, da<br />

quando Dio l’ha fatta pianeggiante, vi ha creato il deserto e l’ha circondata<br />

con il mare, non è mai stata presa d’assalto da forze simili<br />

agli eserciti <strong>di</strong> crociati che ora vi si <strong>di</strong>ffondono come locuste, <strong>di</strong>vorando<br />

le sue ricchezze e <strong>di</strong>struggendo le sue coltivazioni. E questo<br />

succede in un tempo in cui le nazioni attaccano i musulmani come


persone che litigano per un piatto <strong>di</strong> cibo.Alla luce della grave situazione<br />

e della carenza <strong>di</strong> aiuti, noi tutti siamo costretti a <strong>di</strong>scutere degli<br />

eventi attuali e dovremmo tutti metterci d’accordo sulla soluzione<br />

delle questioni.<br />

Nessuno può negare, oggi, tre fatti che sono noti a chiunque: li<br />

elencheremo, così da ricordarli a tutti.<br />

In primo luogo, da oltre sette anni gli Stati Uniti occupano la terra<br />

dell’Islam nel più sacro dei luoghi, la penisola arabica, saccheggiandola<br />

e dando or<strong>di</strong>ni ai suoi governanti, umiliando il suo popolo, terrorizzando<br />

i suoi vicini e trasformando le proprie basi nella penisola in<br />

avanguar<strong>di</strong>e per l’attacco ai vicini popoli musulmani.<br />

Alcuni in passato hanno obiettato che quella americana non è<br />

un’occupazione, ma oramai tutto il popolo della penisola è d’accordo<br />

su questo.<br />

La migliore prova è la continua aggressione degli americani contro<br />

il popolo iracheno, aggressione che utilizza la penisola come scalo, nonostante<br />

i suoi governanti siano contrari a che i loro territori vengano<br />

utilizzati a tale scopo; ma essi non possono nulla.<br />

In secondo luogo, nonostante la grande devastazione inflitta al popolo<br />

iracheno dall’alleanza crociato-sionista e nonostante l’enorme numero<br />

delle persone uccise, che ha superato il milione, nonostante tutto<br />

questo, gli americani stanno tentando ancora una volta <strong>di</strong> ripetere i loro<br />

orribili massacri, come se non si accontentassero del lunghissimo<br />

embargo imposto dopo quella guerra feroce, o della frammentazione e<br />

della devastazione. Vengono per annichilire ciò che rimane <strong>di</strong> quel popolo<br />

e per umiliare i loro vicini musulmani.<br />

Terzo, che lo scopo degli americani sia in queste guerre religioso o<br />

invece economico, il loro scopo è anche <strong>di</strong> servire gli interessi dell’insignificante<br />

stato ebraico e <strong>di</strong> <strong>di</strong>strarre l’attenzione dalla loro occupazione<br />

<strong>di</strong> Gerusalemme e dallo sterminio degli arabi della Palestina.<br />

Le migliori prove <strong>di</strong> questo sono la loro brama <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere l’Iraq,<br />

lo stato arabo vicino più forte, e i loro sforzi <strong>di</strong> frammentare tutti<br />

gli stati della regione come l’Iraq, l’Arabia Sau<strong>di</strong>ta, l’Egitto e il Sudan<br />

in staterelli <strong>di</strong> cartapesta, e <strong>di</strong> garantire, attraverso la loro <strong>di</strong>visione e<br />

debolezza, la sopravvivenza d’Israele e la continuazione della brutale<br />

crociata <strong>di</strong> occupazione della penisola.<br />

Tutti questi crimini e peccati commessi dagli americani sono una<br />

chiara <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> guerra contro Dio, contro il suo Messaggero e<br />

contro i musulmani. E, in tutta la storia islamica, gli Ulema si sono <strong>di</strong>chiarati<br />

d’accordo sul fatto che lo jihad è un dovere in<strong>di</strong>viduale, se i<br />

73


74<br />

nemici <strong>di</strong>struggono i paesi musulmani. Questo è stato rivelato dall’imam<br />

bin-Qamadah nell’Al-Mughni, dall’imam Al-Kisa’i nell’Al-bada’i,da<br />

Al-Qurtubi nei suoi commenti e dallo sceicco <strong>di</strong> Al-Islam nei<br />

suoi libri, dove <strong>di</strong>ce: “Per quanto riguarda la lotta per cacciare [un nemico],<br />

essa ha lo scopo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere la santità e la religione, ed è un<br />

dovere, come sostengono [tutti gli Ulema]. Niente è più sacro della fede<br />

tranne cacciare un nemico che danneggia la religione e la vita”.<br />

Sulla base <strong>di</strong> tutto questo, e in osservanza degli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Allah,<br />

proclamiamo la seguente fatwa per tutti i musulmani:<br />

La risoluzione <strong>di</strong> uccidere gli americani e i loro alleati, civili e<br />

militari, è un dovere in<strong>di</strong>viduale per ogni musulmano, che può<br />

espletarlo in ogni paese in cui è possibile farlo, allo scopo <strong>di</strong> liberare<br />

la moschea <strong>di</strong> Al-Aqsa e la Moschea Sacra [della Mecca] dalla loro<br />

presa e allo scopo <strong>di</strong> scacciare i loro eserciti da tutti i paesi dell’Islam,<br />

sconfiggendoli e rendendoli incapaci <strong>di</strong> minacciare anche<br />

un solo musulmano. Questo in accordo con le parole <strong>di</strong> Dio Onnipotente:<br />

“E combattete uniti i pagani come loro combattono uniti<br />

tutti voi”, e: “Combatteteli fino a che non vi sia più turbamento e<br />

oppressione, e fino a che prevalgano la giustizia e la fede in Dio”.<br />

A questo si aggiungano le parole <strong>di</strong> Dio Onnipotente: “E perché<br />

non dovreste combattere, per la causa <strong>di</strong> Dio e <strong>di</strong> coloro che, essendo<br />

deboli, sono umiliati e oppressi: le donne e i bambini che gridano:<br />

“Signore Dio, portaci in salvo via da questa città, popolata da tiranni,<br />

e manda qualcuno che ci aiuti”?”<br />

Noi, con l’aiuto <strong>di</strong> Dio, facciamo appello ad ogni musulmano<br />

che creda in Dio e desideri la sua ricompensa affinché si conformi<br />

all’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong> uccidere gli americani e <strong>di</strong> spogliarli del loro denaro<br />

ovunque e in qualunque momento essi li trovino. Facciamo appello<br />

anche agli Ulema, ai governanti,ai giovani e ai soldati musulmani<br />

affinché scatenino la lotta contro Satana – le truppe americane<br />

– e contro i loro <strong>di</strong>abolici alleati e sostenitori, e destituiscano coloro<br />

che li governano, così che abbiano la loro lezione.<br />

Dio Onnipotente <strong>di</strong>ce: “O voi che credete, rispondete a Dio e al<br />

Suo Apostolo, quando Lui vi chiama a ciò che vi darà la vita. E sappiate<br />

che Dio viene tra un uomo e il suo cuore, e che sarà in Lui che<br />

voi tutti sarete riuniti”.<br />

Dio Onnipotente <strong>di</strong>ce anche:”O voi che credete, che vi succede?<br />

Quando vi si chiede <strong>di</strong> procedere nella causa <strong>di</strong> Dio, vi aggrappate<br />

così saldamente alla terra! Preferite la vita <strong>di</strong> questo mondo o la vita<br />

dell’altro? Ma piccolo è il conforto <strong>di</strong> questa vita, se paragonato


con l’altra. Se non procederete, Lui vi punirà con pene severe, e<br />

metterà altri al vostro posto; ma voi non vorrete nuocere a Lui, che<br />

detiene il potere sopra tutte le cose”.<br />

Dio Onnipotente <strong>di</strong>ce anche: “Non perdetevi d’animo, non cadete<br />

nella <strong>di</strong>sperazione. Perché se la vostra fede è pura otterrete il dominio”.<br />

Osama bin Mohammed bin Laden<br />

Ayman Al-Zawahari<br />

Abu Yassir rifa’i Ahmed Taha<br />

Mir Hamzah<br />

Fazlur Rehman<br />

La considerazione che è doveroso fare imme<strong>di</strong>atamente è che una<br />

lettura serena della fatwa, come anche della <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> guerra del<br />

1996 e <strong>di</strong> tutti i successivi appelli e <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong> bin Laden, non<br />

consente <strong>di</strong> rilevare nessuna espressione che possa esser fatta risalire<br />

al wahhabismo. C’è, ed ovvio, la retorica invocazione <strong>di</strong> Dio che è tra<strong>di</strong>zionale<br />

nella cultura araba. Ma non c’è nessun invito al recupero della<br />

rigi<strong>di</strong>tà me<strong>di</strong>evale dei principi islamici e non c’è nessuna condanna<br />

della modernità civile e tecnologica dell’Occidente. C’è la condanna<br />

morale del comportamento occidentale nei confronti del mondo islamico:<br />

è ovvio; è la ragione della guerra. Creare confusione in Occidente<br />

fra la guerra <strong>di</strong> bin Laden e le iniziative wahhabiste, espresse<br />

dentro e fuori i paesi musulmani, è una pratica scorretta che impe<strong>di</strong>sce<br />

<strong>di</strong> affidare alla ragione la soluzione dei problemi posti dalla reciproca<br />

violenza. È una mistificazione che vuole coprire la volontà <strong>di</strong> non risolvere<br />

i problemi denunziati: gli ingenui <strong>di</strong>sinformati abboccano.<br />

La fatwa ha, invece, un efficace riscontro positivo nel mondo islamico<br />

nel quale crescono i sostenitori <strong>di</strong> bin Laden.<br />

Nell’agosto 1998, nell’anniversario dell’arrivo delle prime truppe<br />

statunitensi in Arabia Sau<strong>di</strong>ta, sono fatti esplodere mici<strong>di</strong>ali or<strong>di</strong>gni<br />

contro le ambasciate americane <strong>di</strong> Nairobi e <strong>di</strong> Dar el Salam, capitali<br />

del Kenia e Tanzania. I morti sono 224, do<strong>di</strong>ci dei quali <strong>di</strong> nazionalità<br />

americana, parecchie centinaia i feriti. Uno sconosciuto Esercito Islamico<br />

<strong>di</strong> Liberazione dei luoghi Santi riven<strong>di</strong>ca gli attentati. Però, è<br />

convinzione generale che <strong>di</strong>etro la sigla ci siano gli uomini <strong>di</strong> bin Laden<br />

e Zawahiri.<br />

75


Gli Stati Uniti minacciano <strong>di</strong> rappresaglia tutti i paesi che possano<br />

dare rifugio o tollerano nel loro territorio le attività cospirative <strong>di</strong> bin<br />

Laden, che <strong>di</strong>venta l’uomo più ricercato del mondo: Afghanistan e Sudan<br />

capeggiano la lista nera dei paesi sotto minaccia.<br />

Il 20 agosto 1998 navi da guerra degli Stati Uniti dall’Oceano In<strong>di</strong>ano<br />

lanciano missili <strong>di</strong> crociera contro presunti obiettivi terroristi vicino<br />

Khartum e Khost, dove si sospettava che si trovasse bin Laden: i<br />

morti sono una trentina.<br />

La rappresaglia statunitense provoca la protesta del governo sudanese:<br />

era stata <strong>di</strong>strutta l’industria chimica <strong>di</strong> ash-Shifa che produceva<br />

non componenti per armi chimiche, come sostenuto dagli americani,<br />

ma me<strong>di</strong>cinali. Dato confermato dall’ONU che aveva contattato la fabbrica<br />

per produrre me<strong>di</strong>cine destinate all’Iraq.<br />

I danni nell’area <strong>di</strong> Khost non danneggiano le strutture <strong>di</strong> al-Qaeda<br />

e non intimi<strong>di</strong>scono bin Laden che riceve ulteriori attestazioni <strong>di</strong> appoggio<br />

ma anche l’invito dei Talebani ad astenersi da altre pubbliche<br />

<strong>di</strong>chiarazioni.<br />

Il 4 novembre 1998 la Corte federale statunitense <strong>di</strong>chiara formalmente<br />

bin Laden e il suo luogotenente Mohammmed Atef – un ex poliziotto<br />

egiziano descritto dagli esperti come lo stratega militare <strong>di</strong> Al<br />

Qaeda – responsabili degli attacchi alle ambasciate <strong>di</strong> Nairobi e Dar el<br />

Salam. L’FBI offre una taglia <strong>di</strong> cinque milioni <strong>di</strong> dollari a chi possa<br />

dare notizie utili per l’aresto <strong>di</strong> bin Laden e ne chiede l’estra<strong>di</strong>zione all’Afghanistan.<br />

Il Tribunale supremo dei Talibani respinge la richiesta<br />

perché non esiste un trattato bilaterale <strong>di</strong> estra<strong>di</strong>zione con gli Stati Uniti<br />

che non hanno neppure riconosciuto il governo afghano: bin Laden<br />

è libero <strong>di</strong> svolgere in Afghanistan tutte le attività che ritiene opportune.<br />

Si rafforza la solidarietà fra bin Laden e il mullah Omar del quale<br />

probabilmente il sau<strong>di</strong>ta è il più ascoltato consigliere nella gestione del<br />

potere.<br />

È rifiutato agli Stati Uniti il passaggio attraverso l’Afghanistan <strong>di</strong><br />

un oleodotto dal Turkmenistan verso il Pakistan: la famiglia Bush è interessata<br />

a questo oleodotto. Il Governo Clinton ottiene la condanna<br />

del Consiglio <strong>di</strong> Sicurezza dell’ONU degli attentati <strong>di</strong> Nairobi e Dar es<br />

Salam. La risoluzione condanna anche la violazione dei <strong>di</strong>ritti umani<br />

da parte dei Talebani soprattutto verso le donne. Sono poste così le premesse<br />

per consentire agli Stati Uniti <strong>di</strong> invadere l’Afghanistan.<br />

76


Dopo il bombardamento <strong>di</strong> Khost, bin Laden si rende conto del fatto<br />

che la tecnologia satellitare americana è in grado <strong>di</strong> captare e localizzare<br />

le sue telefonate e adotta trasmissioni mobili via Internet: la tecnologia<br />

aiuta la sua attività <strong>di</strong> cospirazione contro gli statunitensi.<br />

Anche nell’ottobre 2000: un or<strong>di</strong>gno telecomandato <strong>di</strong>strugge la<br />

nave da guerra americana Cole <strong>di</strong> stanza nello Yemen: muoiono 17 marinai.<br />

Per l’audacia tecnologica dell’attentato, la Casa Bianca ritiene<br />

bin Laden responsabile.<br />

Agosto 2001: bin Laden segnala al giornale pubblicato a Londra Al<br />

Quds al-Arabi un imminente attacco agli Stati Uniti “molto, molto<br />

grande, senza precedenti”. I servizi <strong>di</strong> sicurezza americani si mettono<br />

in allarme, ma non riescono ad immaginare cosa si prepara.<br />

11 settembre 2001. Alle ore 9 del mattino le torri del World Trade<br />

Center, le Twuin Towers <strong>di</strong> New York, sono colpite da due aerei <strong>di</strong> linea<br />

<strong>di</strong>rottati e, dopo qualche minuto, collassano. È una catastrofe che<br />

supera qualsiasi immaginazione: per ar<strong>di</strong>tezza <strong>di</strong> progettazione e <strong>di</strong><br />

realizzazione; per la spettacolarità dell’impatto me<strong>di</strong>atico; per l’efferatezza<br />

delle conseguenze. I morti sono quasi tremila; le vittime appartengono<br />

a ben 62 paesi: il mondo è stupefatto ed inorri<strong>di</strong>to.<br />

Un’ora dopo l’attacco, mentre tutta l’attenzione è concentrata su<br />

New York, un terzo aereo è <strong>di</strong>rottato e proiettato in picchiata contro il<br />

Pentagono, sede del Ministero della <strong>di</strong>fesa statunitense, considerato il<br />

luogo più vigilato del mondo. I danni sono rilevanti. Un quarto aereo<br />

<strong>di</strong>rottato, per la reazione <strong>di</strong> alcuni passeggeri, non riesce a raggiungere<br />

il suo obiettivo e precipita: l’obiettivo probabile era la Casa Bianca<br />

o il Campidoglio <strong>di</strong> Washington.<br />

L’impatto emotivo sull’opinione pubblica mon<strong>di</strong>ale, anche per la<br />

varietà delle reazioni, è oltre ogni possibile descrizione. La massima<br />

allerta <strong>di</strong>sposta dalle Forze armate navali ed aere <strong>di</strong>sposte dai Coman<strong>di</strong><br />

americani è rimasta senz’alcuna iniziativa utile possibile. Il 12 settembre<br />

il Consiglio <strong>di</strong> Sicurezza dell’ONU approva la risoluzione<br />

1.368 che condanna l’attacco. La Nato attiva il <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa<br />

collettiva previsto dal Trattato. Quasi tutti i paesi del mondo esprimono<br />

solidarietà agli Stati Uniti.<br />

Dopo l’un<strong>di</strong>ci settembre nessun avvenimento appare più eccezionale.<br />

La guerra all’Afghanistan con decine <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> morti civili,<br />

l’embargo all’Iraq con la conseguente crisi alimentare e sanitaria, gli<br />

77


attentati vari per il mondo con decine <strong>di</strong> morti civili, i conflitti etnici in<br />

Africa con milioni <strong>di</strong> morti, la guerra americana all’Iraq con decine <strong>di</strong><br />

migliaia <strong>di</strong> civili massacrati, l’attentato alle stazioni ferroviarie spagnole<br />

con numerosi civili <strong>di</strong>laniati: la <strong>di</strong>mensione assurda della violenza,<br />

che sembra voglia travolgere il mondo, è ormai accettata come<br />

normale.<br />

Solo la trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Beslan, nel 2004, con i bambini che tentano <strong>di</strong><br />

fuggire fra due fuochi, riesce a scuotere nuovamente le coscienze.<br />

Il mondo è ormai <strong>di</strong>viso pro o contro bin Laden: contro il terrorismo,<br />

<strong>di</strong>cono da una parte; in <strong>di</strong>fesa dei popoli emarginati, rispondono<br />

dall’altra parte.<br />

Dall’un<strong>di</strong>ci settembre 2001, i servizi segreti <strong>di</strong> tutto il mondo cercano<br />

<strong>di</strong> far luce sulla ragnatela dei rapporti instaurati da bin Laden attraverso<br />

al-Qaeda. Nell’incertezza più grande, è <strong>di</strong>ffuso un elenco <strong>di</strong><br />

organizzazioni con dati imprecisi sugli obiettivi, sulla forza organizzativa<br />

e sugli effettivi rapporti con bin Laden e al-Qaeda. Sarebbero alleati<br />

<strong>di</strong> al-Qaeda la Jihad islámica egiziana, il Gruppo Islámico Armato<br />

(GIA) in Algeria, in Palestina il Movimento Hamás, la Jihad Islamica,<br />

le Armate <strong>di</strong> al-Acsa; in Libano il Partito <strong>di</strong> Dio Hezbollah, in<br />

Pakistan l’Esercito del Profeta, in Kashmir il gruppo Jamiat Ulema-e-<br />

Islam (JUI), in Bangladesh il Movimento della Jihad Islámica. Al Qaeda<br />

ha certamente contatti con il gruppo filippino <strong>di</strong> separatismo musulmano<br />

Abú Sayyaf, in Cecenia con il comandante Shamil Basáyev y<br />

Omar ibn al-Khattab (probabilmente veterano dell’Afganistan con bin<br />

Laden), in Uzbekistán con il Movimento Islamico Uzbeko. È certo, in<br />

ogni caso, che bin Laden ha avuto ripetuti contatti con tutti i gruppi<br />

sovversivi anche non islamici del mondo. Europa compresa.<br />

La prudenza sulla fondatezza delle informazioni è doverosa. Rimane<br />

il fatto che, per il “successo” dell’un<strong>di</strong>ci settembre e per le tecnologie<br />

e i mezzi finanziari <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>spone, al-Qaeda è <strong>di</strong>ventata un’organizzazione<br />

presente in tutto il pianeta. Probabilmente non come centro<br />

<strong>di</strong> una struttura organica ma come punto <strong>di</strong> riferimento delle simpatie<br />

del mondo “altro” e delle sue organizzazioni sovversive. Quando<br />

si parla <strong>di</strong> organizzazioni “sovversive”, si ricor<strong>di</strong> che, nel <strong>di</strong>ciannovesimo<br />

secolo, Giuseppe Mazzini era considerato da tutte le polizie<br />

d’Europa come il “sovversivo” più pericoloso.<br />

È possibile che uno degli innumerevoli killers professionali messi<br />

78


sulle orme <strong>di</strong> bin Laden dalla CIA statunitense e dal Mossad israeliano<br />

possa riuscire ad ucciderlo: non cambierebbe nulla, perché bin Laden<br />

è ormai riuscito a far assumere a tutto il mondo islamico la consapevolezza<br />

delle ragioni <strong>di</strong> una lotta ra<strong>di</strong>calmente necessaria. La violenza<br />

potrà essere fermata solo da una capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo che all’orizzonte<br />

ancora non s’intravede.<br />

Nella confusione delle notizie che vengono <strong>di</strong>ffuse, la pubblicistica<br />

occidentale meno obiettiva attribuisce a tutte le iniziative nazionalistiche<br />

musulmane e a tutte le posizioni panarabe o panislamiche un totalizzante<br />

e generico contenuto <strong>di</strong> terrorismo criminale che è assolutamente<br />

ingiustificato ed arbitrario. La violenza <strong>di</strong> un integralismo religioso,<br />

nella confusione degli avvenimenti, è certamente presente. Ma<br />

la generalizzazione che qualifica tutto come terrorismo integralista è<br />

un’impostazione che rischia <strong>di</strong> avviare una pericolosa caccia alle streghe:<br />

i criminali irrazionalmente estremisti sono presenti in questo momento<br />

d’irresponsabile violenza planetaria; ma non si trovano sempre<br />

e tutti da una sola parte.<br />

Ancora oggi, nella storia che s’insegna in Austria, Giuseppe Mazzini<br />

non è in<strong>di</strong>cato come una figura positiva: per l’Italia, è l’apostolo<br />

della sua unità. Fra qualche decina <strong>di</strong> anni e dopo che sarà morto, non<br />

è <strong>di</strong>fficile pensare che Osama bin Laden, che ha rinunziato agli agi della<br />

vita comoda <strong>di</strong> un multimiliardario per andare esule e battersi per<br />

cacciare gli americani dal suo paese, per l’in<strong>di</strong>pendenza nazionale effettiva<br />

dei paesi arabi e il rispetto del mondo islamico, possa essere ricordato<br />

dai musulmani come l’apostolo del riscatto della loro <strong>di</strong>gnità<br />

Il problema è cercare <strong>di</strong> comprendere fino a che punto possano avere<br />

ragione o torto.<br />

3. Considerazioni conclusive<br />

Nessun confronto è possibile fra l’attività <strong>di</strong> Giuseppe Mazzini e<br />

quella <strong>di</strong> Osama bin Laden se non si tiene conto dei seguenti fattori:<br />

– il <strong>di</strong>verso temperamento dei due uomini con la conseguente maggiore<br />

o minore enfasi espressiva e la <strong>di</strong>versa capacità d’iniziativa;<br />

– la <strong>di</strong>versa cultura generale con la conseguente <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> argomenti;<br />

79


– il normale, continuo riferimento a Dio <strong>di</strong> ogni azione umana nell’islamismo;<br />

– il <strong>di</strong>verso contesto ambientale e il sentimento <strong>di</strong> vicinanza etnicoreligiosa<br />

fra i popoli arabi che non c’è fra i popoli europei;<br />

– la <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> oltre un secolo fra le due vicende con tutte le conseguenze<br />

sull’ampiezza dei movimenti e delle relazioni possibili, determinate<br />

dai <strong>di</strong>fferenti mezzi <strong>di</strong> comunicazione;<br />

– la <strong>di</strong>fferenza conseguente al fatto che: Mazzini lottava contro nemici<br />

che usavano armi tra<strong>di</strong>zionali; bin Laden deve adeguarsi non<br />

solo alla violenza della guerra moderna ma anche ai sistemi <strong>di</strong> sovversione,<br />

corruzione e con<strong>di</strong>zionamento dei governi che usa la CIA;<br />

– la <strong>di</strong>fferenza, infine, fra le tecnologie <strong>di</strong>sponibili che oggi consentono<br />

iniziative anche spettacolari oltre che sorprendentemente violente.<br />

E, tuttavia, pur poste queste <strong>di</strong>fferenze, rimane ferma da parte <strong>di</strong><br />

molti la contestazione <strong>di</strong> questo confronto fondata sulla considerazione<br />

che Giuseppe Mazzini non organizzava i suoi tentativi insurrezionali<br />

uccidendo e terrorizzando civili inermi.<br />

È un fatto inoppugnabile. Ma, non può essere ignorato <strong>di</strong> contro l’aspetto<br />

fondamentale che caratterizza la violenza nei due <strong>di</strong>versi secoli.<br />

Al tempo <strong>di</strong> Mazzini, nel <strong>di</strong>ciannovesimo secolo, la parola “guerra”<br />

presupponeva ancora specifiche premesse formali <strong>di</strong>plomatiche e precisi<br />

limiti determinati dalla <strong>di</strong>slocazione fisica certa degli eserciti: i<br />

fronti erano ben definiti e la violenza coinvolgeva soltanto i militari e<br />

le popolazioni che abitavano nelle aree delle battaglie e nei territori<br />

lungo i quali si muovevano le forze armate.<br />

Con l’avvento dell’aereo, già da oltre settant’anni, la “guerra” è ra<strong>di</strong>calmente<br />

cambiata: l’attacco <strong>di</strong> sorpresa si è affermato e il fronte è<br />

<strong>di</strong>ventato qualsiasi luogo nel quale ci siano interessi umani, economici,<br />

politici e culturali dei contendenti. Nelle scuole militari aeronautiche<br />

dei paesi “cristiani” dell’Occidente si apprende che «i bombardamenti<br />

aerei notturni hanno l’obiettivo <strong>di</strong> cogliere <strong>di</strong> sorpresa nel sonno<br />

le popolazioni civili per atterrirle e fiaccarne la resistenza fisica <strong>di</strong>struggendo<br />

gli acquedotti, le centrali elettriche, le stazioni ferroviarie<br />

e tutte le strutture civili per impe<strong>di</strong>rne anche ogni resistenza morale».<br />

Questo criminale postulato della strategia militare, che l’Occidente ha<br />

80


© ARMANDO EDITORE. La fotocopia non autorizzata è reato.<br />

messo a punto e che viene regolarmente applicato, ha travolto ogni<br />

ideale affermazione che esistano “regole d’onore” oltre le quali ci sarebbe<br />

l’infamia.<br />

Giusto o sbagliato che sia, dopo le città inglesi, italiane e tedesche<br />

rase al suolo nella seconda guerra mon<strong>di</strong>ale con centinaia <strong>di</strong> migliaia<br />

<strong>di</strong> civili inermi massacrati, dopo i bombardamenti atomici <strong>di</strong> Hiroshima<br />

e Nagasaki dove i civili sono morti a milioni, imme<strong>di</strong>atamente o a<br />

seguito delle ra<strong>di</strong>azioni, dopo la deforestazione e la <strong>di</strong>struzione dei villaggi<br />

del Vietnam con il napalm incen<strong>di</strong>ario e dopo i massacri che in<br />

tutti i continenti hanno accompagnato lo svolgersi degli ultimi cinquant’anni,<br />

nessun belligerante nel mondo ha l’autorità morale per sostenere<br />

quali siano i principi morali invalicabili <strong>di</strong> una guerra. Non ci<br />

sono più fronti definiti, non ci sono più “civili” che possano essere ritenuti<br />

al sicuro da ogni forma d’aggressione.<br />

Qualsiasi iniziativa anche pro<strong>di</strong>toria è consentita dal fatto che niente<br />

è più pro<strong>di</strong>torio del bombardamento improvviso e notturno delle<br />

città con centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> civili inermi e con decine <strong>di</strong> migliaia<br />

<strong>di</strong> morti certi. Oggi, poi, il bombardamento <strong>di</strong> obiettivi civili è quanto<br />

<strong>di</strong> più efferato si possa immaginare perché è effettuato con bombe all’uranio<br />

impoverito le cui ra<strong>di</strong>azioni aggre<strong>di</strong>scono la popolazione civile<br />

oltre ogni ipocrita assicurazione <strong>di</strong> bombardamenti mirati.<br />

Tutte le forme d’aggressione sono entrate in una spirale <strong>di</strong> violenza<br />

che nessun belligerante può permettersi <strong>di</strong> contestare con un qualche<br />

argomento che voglia riferirsi a principi <strong>di</strong> umanità.<br />

Quando un paese potentemente armato impone obblighi ad un paese<br />

debole con il ricatto costituito dalla minaccia <strong>di</strong> massacrarlo nelle<br />

sue strutture civili con la sua potenza militare ed aerea, quali limiti<br />

possono essere posti alle più varie ipotesi <strong>di</strong> reazioni alternative che il<br />

paese debole può tentare <strong>di</strong> mettere in atto? È doloroso doverlo costatare,<br />

ma nessun limite morale è più accettato: chi non ha aerei – in questa<br />

feroce realtà che è il mondo <strong>di</strong> cui solo gli ipocriti fanno finta <strong>di</strong><br />

non rendersi conto – sceglie legittimamente la guerriglia, gli attentati,<br />

i sequestri umani, gli scu<strong>di</strong> umani e ogni altra iniziativa che possa mettere<br />

in <strong>di</strong>fficoltà il nemico militarmente più potente. Chi conduce la<br />

sua guerra con questi mezzi – e bin Laden ha ufficialmente <strong>di</strong>chiarato<br />

guerra agli USA e ai loro alleati – è meno immorale <strong>di</strong> chi fa la guerra<br />

con gli aerei: i morti da guerriglia e da attentato sono un numero<br />

81


quasi sempre “insignificante” rispetto alle migliaia <strong>di</strong> morti dei bombardamenti<br />

aerei.<br />

Esprimere giu<strong>di</strong>zi morali, che non tengano conto <strong>di</strong> queste considerazioni<br />

su ciò che oggi è la guerra, è da presuntuosi: chi considera<br />

legittimo massacrare gli avversari con i più pro<strong>di</strong>tori bombardamenti<br />

aerei e ritiene <strong>di</strong> poter condannare moralmente soltanto le ugualmente<br />

pro<strong>di</strong>torie iniziative altrui è o un ingenuo che si è fatto convincere da<br />

una qualche pressione me<strong>di</strong>atica o un ipocrita moralmente confuso che<br />

sostiene interessi in<strong>di</strong>fen<strong>di</strong>bili.<br />

Prendere atto che questa è l’attuale realtà umana è amaro. La dettagliata<br />

elencazione dei massacri subiti dalle popolazioni islamiche, che<br />

bin Laden fa nella sua <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> guerra agli Stati Uniti, con la<br />

denuncia <strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> vittime civili inermi, gli fa affermare<br />

che l’Occidente non ha l’autorità morale per condannare le sue<br />

rappresaglie. I “<strong>di</strong>ritti umani”, <strong>di</strong>ce e scrive bin Laden, sono un inganno<br />

ipocrita se hanno valore solo per gli occidentali.<br />

Assunta la consapevolezza della gravità delle contestazioni che bin<br />

Laden muove agli Stati Uniti e all’Occidente in termini <strong>di</strong> massacri civili,<br />

è meno <strong>di</strong>fficile rendersi conto delle ragioni che hanno determinato<br />

in Mazzini e bin Laden una violenza a prima vista così macroscopicamente<br />

<strong>di</strong>versa: Mazzini sosteneva <strong>di</strong>ritti; bin Laden sostiene <strong>di</strong>ritti<br />

e contesta massacri.<br />

La verifica <strong>di</strong> una certa coincidenza intellettuale fra i due, dopo, è<br />

facilitata da un attento confronto dei contenuti del giuramento dei militanti<br />

della Giovine Italia con i contenuti della fatwa posta a fondamento<br />

delle iniziative <strong>di</strong> al-Qaeda:<br />

1 – L’invocazione a Dio, il ricordo della penisola arabica, l’attacco<br />

delle locuste al piatto <strong>di</strong> cibo dei musulmani, l’umiliazione dell’Arabia<br />

sacra da parte delle basi militari americane, le aggressioni agli altri popoli<br />

arabi, il <strong>di</strong>ritto-dovere del musulmano <strong>di</strong> opporsi a chi <strong>di</strong>strugge i<br />

paesi musulmani – che sono l’oggetto del prologo della fatwa non sono<br />

che l’esposizione, nell’ampollosità araba, degli uguali, corrispondenti,<br />

letterali argomenti della premessa al giuramento della Giovine<br />

Italia: “Dio padre della libertà, la patria infelice, i secoli <strong>di</strong> servaggio<br />

che la contristano e le catene che mi circondano, i tormenti sofferti dai<br />

fratelli italiani, i <strong>di</strong>ritti in<strong>di</strong>viduali e sociali che costituiscono l’Uomo,<br />

le memorie dei padri”.<br />

82


Entrando nel corpo dei due documenti e citando per primo il testo<br />

della fatwa, possiamo verificare che:<br />

2 – “uccidere gli americani e i loro alleati, civili e militari, è un dovere<br />

in<strong>di</strong>viduale per ogni musulmano, che può espletarlo in ogni paese<br />

in cui è possibile farlo” corrisponde quasi alla lettera a: “giuro <strong>di</strong><br />

spegnere col braccio e infamar con la voce i tiranni e la tirannide politica,<br />

civile o morale, citta<strong>di</strong>na o straniera”;<br />

3 – “liberare la moschea <strong>di</strong> Al-Aqsa e la Moschea Sacra (della Mecca)<br />

dalla loro presa” corrisponde a: “consacrare il pensiero, la parola e<br />

l’azione per conquistare in<strong>di</strong>pendenza, unione, libertà all’Italia”;<br />

4 – “combattere uniti i pagani come loro combattono uniti tutti voi”<br />

può corrispondere a: “combattere in ogni modo le ineguaglianze fra gli<br />

uomini”;<br />

5 – “combatteteli fino a che vi sia turbamento e oppressione, e fino<br />

a che prevalgano la giustizia e la fede in Dio” corrisponde a “(giuro <strong>di</strong>)<br />

promuovere con ogni mezzo l’educazione degli italiani alla libertà e<br />

alla virtù che la fanno eterna”;<br />

6 – “combattere per la causa <strong>di</strong> Dio e <strong>di</strong> coloro che, essendo deboli,<br />

sono umiliati ed oppressi” corrisponde a: “soccorrere con l’opera e<br />

col consiglio qualunque m’invocasse fratello”;<br />

7 – “facciamo appello ad ogni musulmano che creda in Dio e desideri<br />

la sua ricompensa affinché si conformi all’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong> uccidere<br />

gli americani” corrisponde a “(giuro) <strong>di</strong> ubbi<strong>di</strong>re agli or<strong>di</strong>ni e alle<br />

istruzioni che mi verranno trasmesse”;<br />

8 – “non perdetevi d’animo, non cadete nella <strong>di</strong>sperazione” corrisponde<br />

a: “ non rivelare, per seduzione o per tormenti, l’esistenza, le<br />

leggi, lo scopo della federazione”<br />

9 – “se la vostra fede è pura otterrete il dominio” conclude la fatwa<br />

mentre il giuramento mazziniano conclude: “sulla mia testa l’ira <strong>di</strong> Dio<br />

e l’abbandono degli uomini, l’infamia e la morte dello spergiuro, s’io<br />

mancassi al mio giuramento”.<br />

Forse, la frase finale della fatwa è più sobria della frase finale del<br />

giuramento mazziniano che conclude con un’espressione enfatica per<br />

scacciare il timore della sconfitta. La fatwa, però, prima della conclusione<br />

comprende anche il ricordo ai giovani islamici che morire in<br />

guerra vuol <strong>di</strong>re entrare nella grazia <strong>di</strong> Allah.<br />

Molti, la più gran parte degli occidentali, accusano <strong>di</strong> fanatico iste-<br />

83


ismo integralista la fatwa appello del “terrorista” bin Laden. Confermano<br />

il giu<strong>di</strong>zio? E, sono <strong>di</strong>sposti a considerare anche Giuseppe Mazzini<br />

un fanatico “terrorista”? O si può convenire su un’evidente coincidenza<br />

<strong>di</strong> toni e d’intenti?<br />

Accantonando il giu<strong>di</strong>zio sulla violenza, che è da condannare da<br />

qualunque parte venga espressa, è possibile limitarsi a valutare la legittimità<br />

delle attese e la de<strong>di</strong>zione alla causa?<br />

Le vite dei due esuli e cospiratori hanno molti aspetti in comune: la<br />

rinunzia ad una vita normale per una vita <strong>di</strong>fficile, fatta <strong>di</strong> esili e <strong>di</strong> peregrinazioni<br />

da un paese all’altro per sfuggire alle condanne a morte;<br />

fatta <strong>di</strong> rischi, <strong>di</strong> cospirazioni e <strong>di</strong> atti sovversivi; ma, soprattutto, vissuta<br />

con identica intensità religiosa per la speranza nazionale, con l’identico<br />

fervore <strong>di</strong> una decisa volontà <strong>di</strong> spegnere col braccio i tiranni,<br />

come giura ogni neofita della Giovine Italia.<br />

È fuori d’ogni dubbio che gli attentati attribuiti ad Osama bin Laden<br />

siano <strong>di</strong> una violenza cento volte maggiore <strong>di</strong> quella dei patrioti italiani.<br />

Ma, a parte la <strong>di</strong>fferenza delle tecnologie <strong>di</strong>sponibili, nessuno può<br />

negare che questa violenza che uccide “pochi” civili inermi è niente rispetto<br />

alla violenza dei bombardamenti aerei che uccidono decine <strong>di</strong><br />

migliaia <strong>di</strong> civili inermi; è niente <strong>di</strong> fronte all’arroganza dei colpi <strong>di</strong> stato<br />

condotti dalla CIA con omici<strong>di</strong>, sabotaggi e corruzione che <strong>di</strong>struggono<br />

democrazie politiche ancora incerte e fanno fare salti in<strong>di</strong>etro alla<br />

maturità civile <strong>di</strong> paesi in via <strong>di</strong> sviluppo; è niente davanti alle guerre<br />

economiche condotte con gli strumenti del Fondo Monetario Internazionale,<br />

con le tariffe doganali e le fittizie norme <strong>di</strong> tutela igienica<br />

che mettono nella miseria le popolazioni conta<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> interi paesi cui<br />

viene impe<strong>di</strong>ta l’esportazione dei manufatti mentre vengono derubati<br />

dei prodotti agricoli e delle materie prime con prezzi stracciati imposti.<br />

Certamente le iniziative <strong>di</strong> bin Laden sono esecrande. Ma chi le ritiene<br />

più gravi delle iniziative militari statunitensi, dei sistemi sovversivi<br />

della CIA e dei comportamenti economici <strong>di</strong> tutto l’Occidente o ha<br />

un’informazione superficiale o è moralmente confuso.<br />

Non manca, infatti, <strong>di</strong> portare un contributo alla chiarezza delle ragioni<br />

dell’una e dell’altra parte, la <strong>di</strong>chiarazione ufficiale <strong>di</strong> guerra <strong>di</strong><br />

Osama bin Laden del venerdì 23 agosto 1996 dalle montagne dell’Hindukush,<br />

Khurasan, Afghanistan. Da quella data, per chi voglia essere<br />

informato, alle pagine web


NEWS/199610/19961012.3.html> e collegate, può trovare l’intera <strong>di</strong>chiarazione<br />

<strong>di</strong> bin Laden: può leggere e capire con la propria testa.<br />

Si tratta <strong>di</strong> una pignola elencazione delle ragioni umane, politiche,<br />

morali ed economiche per le quali è <strong>di</strong>chiarata la guerra agli Stati Uniti<br />

e ai suoi alleati in nome degli islamici <strong>di</strong> tutto il mondo.<br />

Qualcuno, appigliandosi al fatto che in questa <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong><br />

guerra è ripetuta l’invocazione ad Allah (che è nella normale tra<strong>di</strong>zione<br />

arabo-islamica), ne contesta il presunto integralismo religioso: sarebbe<br />

istigazione allo jihad nel senso estremistico <strong>di</strong> “guerra santa”<br />

integralista. Non è così: è certamente un invito allo jihad, ma nel senso<br />

<strong>di</strong> reazione all’aggressione come suggerisce il Corano ai musulmani<br />

che vogliano il rispetto della loro <strong>di</strong>gnità. Le accuse elencate<br />

nella <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> guerra sono assolutamente ragionevoli e laicamente<br />

fondate: decine <strong>di</strong> guerre si sono combattute in Europa per<br />

molto meno.<br />

Chi ha letto la <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> guerra del 1996 e la fatwa del 1998<br />

ha potuto costatare che non riportano nessuna espressione che possa<br />

essere considerata <strong>di</strong> ispirazione wahhabita: in bin Laden non c’è fanatismo<br />

integralista religioso; c’è vibrata in<strong>di</strong>gnazione contro i soprusi,<br />

gli arbitrii, le sopraffazioni e i massacri subiti dal mondo islamico.<br />

Molti non sono d’accordo con una legittimazione delle ragioni <strong>di</strong><br />

bin Laden e devono essere ascoltati: la violenza, affermano, deve essere<br />

condannata. È incontestabile. Ma la condanna deve essere rivolta<br />

verso tutte le violenze: chi finge <strong>di</strong> ignorare i violenti massacri <strong>di</strong> civili<br />

inermi dei bombardamenti aerei perde la <strong>di</strong>gnità morale e non ha più<br />

il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> esprimere condanne.<br />

Vogliamo, allora, tentare <strong>di</strong> valutare i problemi sollevati da Osama<br />

bin Laden e le sue iniziative con <strong>di</strong>stacco storico?<br />

Vogliamo avviare l’analisi <strong>di</strong>stinguendo gli interessi economici,<br />

culturali e demografici dell’Occidente dall’interesse morale <strong>di</strong> tutti ad<br />

avere idee chiare su ciò che accade nel mondo?<br />

Se non per impegnarci per un’improbabile pacifica convivenza<br />

umana, almeno per avere un quadro della possibile prospettiva prossima<br />

ventura.<br />

È necessario, allora, assumere il dubbio come guida della nostra ragione<br />

e costruirlo con argomenti opposti a quelli <strong>di</strong> chi è sicuro <strong>di</strong> avere<br />

certezze.<br />

85


Capitolo quarto<br />

Considerazioni conclusive<br />

1. Argomenti controversi<br />

Le note con le quali è stata brevemente ripercorsa la vita <strong>di</strong> Giuseppe<br />

Mazzini hanno mostrato quanto fosse inadeguato il senso degli<br />

avvenimenti in chi, in quel tempo, ne condannava le iniziative<br />

sovversive.<br />

Oggi, <strong>di</strong> fronte alla violenza degli attentati attribuiti a bin Laden<br />

non si può che condannarne l’efferatezza. Ma, guardando la violenza<br />

con <strong>di</strong>stacco scevro da paure e interessi, si deve approfon<strong>di</strong>re la<br />

legittimità o meno delle ragioni che purtroppo la stimolano.<br />

L’inconciliabile contrad<strong>di</strong>zione fra efferatezza e legittimità impone<br />

<strong>di</strong> essere prudenti.<br />

Il tentativo <strong>di</strong> assumere una posizione <strong>di</strong>staccata ha qualche esitazione<br />

davanti alla drasticità dei giu<strong>di</strong>zi morali a senso unico contro<br />

la violenza: la storia ha successivamente giustificato, e in qualche<br />

caso espressamente approvato, le violenze dell’Ottocento che,<br />

andate a buon fine, hanno realizzato l’in<strong>di</strong>pendenza nazionale dei<br />

popoli europei e quella forma <strong>di</strong> democrazia politica che la cultura<br />

europea ha elaborato.<br />

Le violenze del nostro tempo sono uguali a quelle <strong>di</strong> quel secolo<br />

dal punto <strong>di</strong> vista del danno alla serenità e alla sicurezza umana. La<br />

<strong>di</strong>fferenza è nei mo<strong>di</strong> della loro realizzazione tecnologica. Il problema<br />

storico è valutare la legittimità o meno che sta alla base delle iniziative.<br />

Davanti alla confusione <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zi e <strong>di</strong> posizioni sui fatti attuali,<br />

può essere utile chiedersi come sia possibile che, nonostante il pres-<br />

87


sante invito <strong>di</strong> Papa Giovanni Paolo ll ad impegnarsi per la pace e<br />

per la solidarietà, una buona parte dei cattolici sia sulle posizioni irrazionali<br />

<strong>di</strong> una donna frustrata che, credendo <strong>di</strong> essere la giovanna<br />

d’arco del ventunesimo secolo, incita alla guerra contro l’Islam.<br />

Se le ra<strong>di</strong>ci della violenza affondassero veramente e soltanto in<br />

un humus culturale e religioso, nonostante la mistificante campagna<br />

me<strong>di</strong>atica, la sensibilizzazione delle masse sarebbe rimasta più in<br />

superficie e la partecipazione sarebbe stata meno attenta. La realtà è<br />

che i più si sono resi conto del fatto che, in prospettiva, quanto sta<br />

accadendo mette in gioco in modo preoccupante gli interessi economici,<br />

il benessere e la stessa prospettiva demografica dell’Occidente<br />

attuale e, soprattutto, quello delle prossime generazioni.<br />

L’ancestrale istinto <strong>di</strong> conservazione ha preso il sopravvento e<br />

l’analisi razionale è passata in second’or<strong>di</strong>ne. Con il futuro dei figli<br />

non si scherza: l’uomo regre<strong>di</strong>sce ai suoi più brutali, egoistici, istintivi<br />

comportamenti animaleschi.<br />

La gravità del momento ne impone una valutazione anche cinica<br />

ma non inutilmente ipocrita o political correct. Per farlo, è preliminarmente<br />

utile chiarire, in un’analisi <strong>di</strong> argomenti controversi, il significato<br />

o il contenuto che queste pagine attribuiscono alle parole<br />

d’uso più frequente nel confuso <strong>di</strong>alogo planetario nel quale nessuno<br />

sembra ascoltare nessuno: tutti abbiamo la verità su tutto.<br />

L’analisi vuole suggerire <strong>di</strong> essere prudenti nel giu<strong>di</strong>care l’azione<br />

<strong>di</strong> Osama Bin Laden ed è fondata sul recupero <strong>di</strong> alcuni argomenti<br />

già ampiamente trattati dalla saggistica più informata che ha<br />

posto in evidenza molte contrad<strong>di</strong>zioni che da sempre l’Occidente<br />

tenta <strong>di</strong> rimuovere.<br />

All’inizio del glossario sono prese in considerazione anche<br />

espressioni della cultura occidentale così ra<strong>di</strong>cate da apparire innocue<br />

mentre sono fra le cause non ultime dell’incomprensione con gli<br />

“altri”, del loro o<strong>di</strong>o e della loro reazione.<br />

* * *<br />

Tolleranza. Fin dai primi viaggi <strong>di</strong> Colombo, la derisione e la<br />

sottovalutazione del modo d’essere delle altrui culture hanno fatto<br />

crescere negli europei convinzioni molto superficiali che si sono co-<br />

88


sì ra<strong>di</strong>cate da non essere più rilevate: pian piano la <strong>di</strong>gnità umiliata<br />

ha stimolato negli “altri” un rancore sordo e profondo.<br />

La leggerezza etnologica occidentale ha continuato ad aggravare<br />

l’incomprensione fino ai nostri giorni malgrado già nella prima metà<br />

del secolo scorso gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Levi-Strauss, compen<strong>di</strong>ati nel suo relativismo<br />

culturale, cercassero <strong>di</strong> spiegare come ogni cultura sia un<br />

‘’insieme’’ che non può essere valutato enucleando questo o quell’elemento,<br />

magari aberrante agli occhi <strong>di</strong> una cultura <strong>di</strong>versa, senza<br />

collegarlo a tutti gli altri che lo compensano e giustificano. È assurdo<br />

fare scale gerarchiche fra le culture, sostiene Levi-Strauss,<br />

perché ognuna trova le proprie compensazioni al suo interno e tutte,<br />

quin<strong>di</strong>, hanno pari <strong>di</strong>gnità. È assurdo, anche, forzare l’immissione <strong>di</strong><br />

elementi <strong>di</strong> culture <strong>di</strong>verse che, non trovando un sistema <strong>di</strong> equilibrate<br />

compensazioni, potrebbero essere rigettati o potrebbero creare<br />

le più impreve<strong>di</strong>bili <strong>di</strong>sarmonie.<br />

Però, nonostante l’impegno degli etnologi e degli antropologi, il<br />

comportamento migliore, che la parte più sensibile della comunità<br />

occidentale ha espresso per gestire i rapporti con le comunità con<br />

valori e costumi <strong>di</strong>versi, è stato la ‘’tolleranza’’.<br />

Anche se questa espressione è usata con la più assoluta buona fede<br />

ed ha assunto un valore positivo, in effetti letteralmente in<strong>di</strong>ca<br />

‘’la capacità <strong>di</strong> tollerare, senza subire danni, quanto è o può essere<br />

pericoloso o spiacevole”. La negatività dell’espressione, nel <strong>di</strong>alogo<br />

con gli “altri”, sta nell’implicita presunzione <strong>di</strong> superiorità della cultura<br />

occidentale: i valori e i comportamenti delle altrui culture sono<br />

“in ritardo” ma io, uomo occidentale, sono comprensivo e li “tollero’’.<br />

Per reimpostare ra<strong>di</strong>calmente il modo <strong>di</strong> rapportarsi degli occidentali<br />

con gli altri popoli del mondo, occorre ben altro: «Il rispetto<br />

e l’amore deve estendersi a coloro che pensano ed operano <strong>di</strong>versamente<br />

da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché<br />

con quanta maggiore umanità e amore penetreremo nei loro mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

sentire, tanto più facilmente potremo con loro iniziare un colloquio»,<br />

<strong>di</strong>ce la Gau<strong>di</strong>um et Spes (ll,28), Costituzione pastorale del<br />

Concilio Vaticano ll, che dovrebbe essere continuamente ricordata<br />

anche a molti car<strong>di</strong>nali della Curia <strong>di</strong> Roma.<br />

Non serve la “tolleranza’’; è necessario il “rispetto’’: rispettare la<br />

89


pari <strong>di</strong>gnità delle idee e dei comportamenti altrui, comprendere che<br />

la varietà delle culture è il contributo più costruttivo al patrimonio<br />

umano e rieducare in profon<strong>di</strong>tà anche il linguaggio sono le conquiste<br />

che l’Occidente deve fare per recuperare quella correttezza umana,<br />

anche formale, che è urgente per affrontare quel <strong>di</strong>alogo che, prima<br />

o poi, dovrà far accantonare l’o<strong>di</strong>o. Forse.<br />

* * *<br />

Uomo <strong>di</strong> colore. Per avere più chiare le ragioni che rendono <strong>di</strong>fficile<br />

ogni <strong>di</strong>alogo, occorre ricordare i comportamenti determinati<br />

dalla convinzione occidentale ancora molto <strong>di</strong>ffusa secondo la quale<br />

la razza “bianca” europea sarebbe una razza “pura” superiore.<br />

Questo pregiu<strong>di</strong>zio resiste malgrado anche lo stu<strong>di</strong>o delle affinità<br />

linguistiche, andando in<strong>di</strong>etro nel tempo, abbia consentito alle<br />

scienze antropologiche <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare come le <strong>di</strong>fferenze umane nel<br />

mondo siano il risultato <strong>di</strong> migrazioni complesse che già in tempi<br />

non storici avevano determinato un’ibridazione reciproca vasta e<br />

profonda: pur accettando la parola “razza”, ma soltanto in senso etnologico,<br />

dovrebbe essere definitivo per tutti che non esiste una razza<br />

umana biologicamente “pura».<br />

In questo senso, oggi, la genetica e la microbiologia molecolare,<br />

con lo stu<strong>di</strong>o del genoma umano, hanno <strong>di</strong>mostrato come fra i vari<br />

tipi etnici umani, che appartengono tutti all’unico ceppo homo sapiens,<br />

non esistano <strong>di</strong>fferenze genetiche ra<strong>di</strong>cali ma soltanto <strong>di</strong>fferenze<br />

determinate nei millenni da fattori climatici, ambientali e culturali.<br />

Gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Luca Cavalli Sforza sul cromosoma Y hanno consentito<br />

ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> ricostruire la genealogia dell’homo sapiens e<br />

stabilire con certezza scientifica che tutti gli uomini viventi oggi nel<br />

mondo hanno avuto origine da un iniziale piccolo gruppo che si è<br />

espanso dall’Africa Orientale fra 100.000 e 50.000 anni fa: parlare<br />

ancora <strong>di</strong> razze in senso biologico è soltanto una grave <strong>di</strong>sinformazione.<br />

Ferme queste considerazioni, è evidente quanto sia stato e sia ancora<br />

controproducente continuare a fermare l’attenzione sul colore<br />

della pelle degli europei che, essendo ‘’bianco’’ in<strong>di</strong>cherebbe un’implicita<br />

‘’purezza’’. La biologia ha <strong>di</strong>mostrato come la <strong>di</strong>versa pig-<br />

90


mentazione della pelle sia stata la conseguenza <strong>di</strong> mutazioni che<br />

hanno accompagnato il <strong>di</strong>ffondersi dell’uomo sulla terra per favorire<br />

l’assorbimento dei benefici arrecati dai raggi del sole o per opporre<br />

adeguata resistenza ai possibili danni.<br />

In origine, l’affermazione che la nostra pelle fosse bianca, suggerita<br />

dal confronto con quella degli africani neri, è stata fatta certamente<br />

senza intenti <strong>di</strong>scriminatori e con spontanea imme<strong>di</strong>atezza.<br />

Dopo, andando per i continenti, gli europei hanno attribuito alla pelle<br />

delle genti che incontravano i colori più vari: gialli, rossi, bruni,<br />

olivastri, neri. Pian piano, convinti della superiorità della loro civiltà,<br />

hanno cominciato a ritenere <strong>di</strong> essere una razza superiore ed il<br />

colore bianco della pelle è stato considerato un elemento <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinzione<br />

che confermava questa presunta superiorità: la «razza bianca»<br />

sarebbe stata l’unica razza «pura», che non doveva mischiarsi alle<br />

altre per non contaminarsi. Il bianco, infatti, nell’inconscio collettivo<br />

occidentale è anche il colore della purezza e della sacralità religiosa.<br />

Così oggi i bianchi meno avveduti non vogliono ancora accettare<br />

che è finito il tempo dei paesi a popolazione esclusivamente bianca<br />

anche per l’Europa, dove si prevede che, mantenendo le attuali<br />

tendenze, entro cento anni i citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> origine extraeuropea supereranno<br />

la percentuale degli abitanti autoctoni come già è accaduto<br />

a New York dove, con il censimento del 2001, i citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> origine<br />

africana, cinese, asiatica in genere, misto-ispanica e amerinda hanno<br />

complessivamente superato per numero i citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> origine europea<br />

Nonostante l’ineluttabilità <strong>di</strong> questo processo, la tenace linea <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fesa della razza “bianca” da parte <strong>di</strong> molti mi ha suggerito <strong>di</strong> rendermi<br />

conto a livello empirico della fondatezza <strong>di</strong> questo preteso<br />

candore.<br />

Ho guardato con specifica attenzione il colore della pelle <strong>di</strong> mia<br />

madre e <strong>di</strong> mio padre: la prima, nei momenti <strong>di</strong> migliore salute, aveva<br />

una pelle <strong>di</strong> colore bruno-rosato chiaro mentre il secondo aveva<br />

una pelle <strong>di</strong> colore bruno-rossastro scuro. Senza curarsi dell’evidenza<br />

dei colori, molti, culturalmente confusi, continuerebbero a giurare<br />

che erano <strong>di</strong> pelle, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> razza, “bianca”.<br />

Ho cercato senza successo, dalla Norvegia alla Sicilia, uomini <strong>di</strong><br />

91


pelle «bianca» e, al meglio ho trovato un rosato chiaro. Senza possibilità<br />

<strong>di</strong> essere smentiti, si può affermare che non esiste una comunità<br />

umana il cui colore della pelle sia «bianco»: la pelle degli<br />

uomini <strong>di</strong> origine europea esprime tutta una variegata gamma <strong>di</strong> colori<br />

che cambiano in funzione della zona climatica abitata e dello<br />

stato emotivo, igienico e sanitario <strong>di</strong> ogni singolo in<strong>di</strong>viduo. L a<br />

presunzione <strong>di</strong> essere una razza superiore perché ‘’bianca’’ è ormai<br />

un inconsapevole razzismo antropologico che si esaspera nei razzisti<br />

del Ku Klux Klan che fondano sulla Bibbia la loro posizione:<br />

«Dio <strong>di</strong>sse a Jafet: egli abiti nelle tende <strong>di</strong> Sem, e Canaan sia suo<br />

servo» (Genesi, lX, 27) Canaan, con il padre Cam, fu, com’è noto,<br />

capostipite delle genti africane.<br />

Le conseguenze della convinzione <strong>di</strong> essere ‘’bianchi’’ nel <strong>di</strong>alogo<br />

fra europei e non europei sono ancora devastanti. È quoti<strong>di</strong>ano<br />

leggere sulla stampa o u<strong>di</strong>re espressioni come «un uomo <strong>di</strong> colore»,<br />

«un lavoratore <strong>di</strong> colore”, «un giocatore <strong>di</strong> colore»: quale colore? E<br />

quale sarebbe l’uomo “non <strong>di</strong> colore” o “senza colore”? Sono<br />

espressioni che documentano il razzismo <strong>di</strong> chi parla e <strong>di</strong> chi scrive,<br />

anche se, quasi sempre, questo razzismo è così culturalmente ra<strong>di</strong>cato<br />

da essere <strong>di</strong>ventato inconscio. Quello che è grave è che l’espressione<br />

“uomo <strong>di</strong> colore” è usata anche dai giornalisti più liberali<br />

e dagli uomini <strong>di</strong> cultura più civilmente impegnati.<br />

Nel mondo siamo europei, asiatici, africani, afro-americani, euro-africani<br />

o, se vogliamo, cinesi, in<strong>di</strong>ani, slavi, arabi, germani e così<br />

via: non servono altre <strong>di</strong>stinzioni. Dopo tanti secoli <strong>di</strong> acritica presunzione<br />

<strong>di</strong> superiorità, questa è la più urgente conquista culturale<br />

che gli uomini <strong>di</strong> origine europea dovrebbero fare. Quando questa<br />

consapevolezza sarà arrivata fino alla base profonda della cultura<br />

delle masse europee, allora finalmente smetteremo quell’arrogante<br />

sufficienza con la quale la più gran parte <strong>di</strong> noi continua a guardare<br />

gli altri «<strong>di</strong> colore» senza rendersi conto <strong>di</strong> suscitare negli altri <strong>di</strong>sprezzo<br />

per la nostra presuntuosa stupi<strong>di</strong>tà e o<strong>di</strong>o per la continuata<br />

lesione della loro <strong>di</strong>gnità.<br />

92<br />

* * *


Democrazia. Un chiarimento sul senso <strong>di</strong> questo termine è reso<br />

necessario non solo perché oggi si vuole “esportare” la democrazia<br />

con le armi ma anche perché, nel <strong>di</strong>alogo parlato e spesso in quello<br />

scritto, si ritiene che “democrazia” sia sinonimo <strong>di</strong> “democrazia liberale”<br />

e che questa equivalga a “democrazia elettorale”. Non è così:<br />

è ovvio per molti e sarebbe quasi banale parlarne se per molti altri<br />

non fosse un’espressione ancora in<strong>di</strong>stinta.<br />

“Democrazia”, infatti, senza un attributo qualificante significa<br />

tutto e niente: si ricor<strong>di</strong> che il totalitarismo comunista sovietico si<br />

autoappellava “democrazia popolare”. È necessario ricordare, quin<strong>di</strong>,<br />

che “democrazia elettorale” in<strong>di</strong>ca soltanto un metodo pratico<br />

per affidare il governo della cosa pubblica a delegati <strong>di</strong> un elettorato,<br />

che può coincidere o no con l’intero popolo: siamo, cioè, <strong>di</strong> fronte<br />

ad una “tecnica variabile” <strong>di</strong> delega del potere politico.<br />

Ben altro è il senso <strong>di</strong> “democrazia liberale” che vuole in<strong>di</strong>care i<br />

principi socio-politico-morali, cioè i contenuti, ai quali si deve attenere<br />

la gestione del potere politico, in qualunque modo sia espresso<br />

e rappresentato.<br />

Fatta questa premessa e dati per scontati i dubbi sull’effettiva applicazione<br />

dei principi liberali all’interno dello stesso Occidente dove<br />

potere economico e potere me<strong>di</strong>atico con<strong>di</strong>zionano ogni scelta<br />

elettorale, è utile ricordare anche che solo una serie <strong>di</strong> superficialità<br />

culturali - il corto respiro dell’eurocentrismo della storia, la grave<br />

leggerezza dell’eurocentrismo della storia della filosofia, ecc. - ha ra<strong>di</strong>cato<br />

la convinzione che la “scoperta” del <strong>di</strong>ritto alla libertà sia stata<br />

una sensibilità esclusivamente occidentale e così raffinata da avere<br />

consentito <strong>di</strong> porre valori “universali”, ignoti alle altre culture.<br />

Amartya Sen, nobel per l’economia nel 2000, ha documentato nel<br />

suo Lo sviluppo è libertà, con una pacata citazione <strong>di</strong> fonti asiatiche,<br />

quanto sia ingiustificata e presuntuosa la convinzione degli occidentali<br />

che i <strong>di</strong>ritti umani, intesi come libertà piena dell’in<strong>di</strong>viduo,<br />

siano una conquista esclusiva della loro cultura. La questione, sostiene<br />

Sen, non si può concludere facendo rilevare come nel sistema<br />

dei ‘’valori asiatici’’ prevalgano l’or<strong>di</strong>ne e la <strong>di</strong>sciplina confuciani:<br />

si deve accertare se in Oriente mancano idee, dottrine e proposte<br />

culturali che abbiano sostenuto il valore della libertà, lasciandone<br />

così la paternità esclusiva all’Occidente.<br />

93


Se è vero che l’or<strong>di</strong>ne e la <strong>di</strong>sciplina sono gli aspetti sui quali<br />

mette l’accento il confucianesimo, non è meno vero che per il bud<strong>di</strong>smo,<br />

fin dal sesto secolo a.C., è la libertà a dare nobiltà alla condotta<br />

umana. Allo stesso modo in Occidente, se è vero che Aristotele<br />

parla <strong>di</strong> libertà, anche se poi <strong>di</strong>fende la schiavitù, non è meno vero<br />

che Platone o Agostino sono autoritari almeno quanto Confucio.<br />

Per documentare la pratica antica della libertà, del rispetto della<br />

<strong>di</strong>versità religiosa e dell’uguaglianza, Amartya Sen cita gli scritti e<br />

la pratica dell’imperatore in<strong>di</strong>ano Ashoka del terzo secolo a.C., sostenitore<br />

<strong>di</strong> un rispetto egualitario e universale, e gli e<strong>di</strong>tti sulla libertà<br />

religiosa del sovrano musulmano Mobol Akbar che, durante il<br />

suo regno dal 1556 al 1605, sostenne la neutralità religiosa dello<br />

Stato compresa l’uguaglianza fra i sessi e quella fra vecchi e giovani.<br />

Inoltre, ricordando certe esaltazioni delle presunte tra<strong>di</strong>zioni antiche<br />

del “liberalismo occidentale”, Amartya Sen fa notare che,<br />

quando Akbar proclamava questi principi, in Europa dominava l’Inquisizione<br />

e Giordano Bruno era arso vivo per eresia).<br />

Dopo altre citazioni <strong>di</strong> trascorse situazioni liberali turche e arabe,<br />

Sen riba<strong>di</strong>sce come non sia la sola cultura occidentale ad aver<br />

colto il valore della libertà e come anche le idee <strong>di</strong> Confucio siano<br />

molto più complesse e raffinate delle massime che spesso vengono<br />

rappresentate come statica espressione del suo pensiero.<br />

Che gli eventi della storia abbiano portato le genti in tempi alterni<br />

verso una o un’altra <strong>di</strong>rezione non vuol <strong>di</strong>re che la conquista <strong>di</strong><br />

certi valori sia stata esclusiva <strong>di</strong> una cultura e non vuol <strong>di</strong>re nemmeno<br />

né che questa conquista sia definitiva nei suoi contenuti né<br />

che sia certa la convenienza <strong>di</strong> tutti i popoli <strong>di</strong> applicarli nella loro<br />

attuale formulazione.<br />

Amartya Sen, cioè, contesta l’asserita primogenitura occidentale<br />

dei principi liberali ma ne conferma la vali<strong>di</strong>tà per lo sviluppo <strong>di</strong><br />

qualsiasi paese alla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> un opportuno adeguamento al<br />

contesto culturale nel quale applicarli: la democrazia può essere liberale<br />

soltanto vivendola in coerenza con il proprio patrimonio culturale.<br />

È qui che scatta l’arroganza occidentale e l’aggressività verso le<br />

altre culture, determinandone la reazione ostile. L’Occidente, infatti,<br />

ritiene che la libertà politica sarebbe assicurata solo dalla sua<br />

94


forma <strong>di</strong> “democrazia elettorale” che dovrebbe essere imposta a tutti<br />

anche con i carri armati: è questo un fondamentalismo ideologico<br />

la cui arbitrarietà, in Occidente, sfugge ai più.<br />

Nell’attuale sua situazione socio-economico-culturale, la democrazia<br />

elettorale per l’Occidente è probabilmente la migliore forma<br />

d’organizzazione politica possibile. Non si può ignorare, però, che<br />

stu<strong>di</strong>osi americani come Shmuel Eisenstadt, Robert Putnam e Noam<br />

Chomsky hanno <strong>di</strong>mostrato che la democrazia statunitense è ormai<br />

soltanto una “gerontocrazia plutocratica” burocraticamente sclerotizzata:<br />

l’Occidente europeo dovrebbe mettersi in guar<strong>di</strong>a perché i<br />

fenomeni evolutivi della società americana si riproducono in Europa<br />

entro l’arco <strong>di</strong> vent’anni.<br />

La volontà occidentale <strong>di</strong> imporre a tutti i paesi del mondo questa<br />

forma <strong>di</strong> democrazia politica preoccupa: per molti non è la prospettiva<br />

migliore. Le masse umane della più gran parte del mondo<br />

esprimono antichi e profon<strong>di</strong> ra<strong>di</strong>camenti culturali assolutamente <strong>di</strong>versi.<br />

Spesso queste masse hanno una cultura nella quale i legami<br />

religiosi o tribali o <strong>di</strong> casta prevalgono ancora sulle attese in<strong>di</strong>viduali:<br />

a fondamento dei rapporti sociali, vigono sistemi <strong>di</strong> valori<br />

umani e politici assai <strong>di</strong>versi da quelli della cultura occidentale.<br />

Confucio, per esempio, ha insegnato che l’or<strong>di</strong>ne e la <strong>di</strong>sciplina sociale,<br />

mantenuti con equilibrata saggezza, sono gli strumenti più vali<strong>di</strong><br />

per frenare le contrad<strong>di</strong>zioni della natura umana.<br />

Fare guerre preventive e aggre<strong>di</strong>re gli altri popoli per imporre<br />

presunti valori ‘’universali’’ <strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong> tutela dei <strong>di</strong>ritti umani,<br />

come molti in Occidente ritengono che sia necessario fare, è una<br />

contrad<strong>di</strong>zione in termini che offende l’intelligenza <strong>di</strong> chi ha un’autonoma<br />

capacità <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio.<br />

Poi, quando l’imposizione <strong>di</strong> valori “universali” vuole coprire in<strong>di</strong>fen<strong>di</strong>bili<br />

interessi economici, le ritorsioni più violente degli “altri”<br />

<strong>di</strong>ventano legittime.<br />

* * *<br />

Il mondo “altro”, infatti, è ormai consapevole che, <strong>di</strong>etro l’ipocrita<br />

ban<strong>di</strong>era della libertà e dei <strong>di</strong>ritti umani, l’Occidente, in realtà,<br />

porta avanti soltanto i suoi più brutali interessi economici.<br />

95


Nel 1944, quando gli imperi coloniali già vacillavano e la seconda<br />

guerra mon<strong>di</strong>ale volgeva verso la sua conclusione, a Bretton<br />

Woods si definivano gli accor<strong>di</strong> che dovevano servire a realizzare<br />

gli obiettivi che Franklin Delano Roosevelt aveva imposto a Churchill<br />

in occasione dell’incontro a bordo <strong>di</strong> una nave al largo <strong>di</strong> Terranova<br />

nell’agosto del 1941: gli Stati Uniti accettavano <strong>di</strong> entrare in<br />

guerra contro la Germania a con<strong>di</strong>zione che l’Inghilterra avesse rinunziato<br />

al “blocco Sterling’’, con il quale gli inglesi si erano riservati<br />

l’accesso alle materie prime dei paesi dell’impero britannico, e<br />

si fosse stabilita la più assoluta libertà mon<strong>di</strong>ale per gli scambi<br />

commerciali, gli investimenti privati e l’accesso alle materie prime.<br />

La certezza storica <strong>di</strong> queste notizie è testimoniata da Churchill nella<br />

sua Storia della Seconda guerra mon<strong>di</strong>ale. L’interesse economico<br />

che sta <strong>di</strong>etro ad ogni più apparentemente ideale iniziativa bellica<br />

degli Stati Uniti è ormai documentalmente provato. Henry Kissinger,<br />

famoso sottosegretario <strong>di</strong> stato americano, ha sostenuto: “la globalizzazione<br />

è soltanto il nuovo modo <strong>di</strong> esprimersi dell’imperialismo<br />

economico degli Stati Uniti”.<br />

Anche se a Bretton Woods, con la creazione della Banca Mon<strong>di</strong>ale<br />

(BIRS e IDA) e del Fondo Monetario Internazionale, John<br />

Maynard Keynes e Harry Dexter White avevano posto le premesse<br />

per una gestione espansiva <strong>di</strong> tutta la politica economico-finanziaria<br />

mon<strong>di</strong>ale, i due istituti sono stati progressivamente deviati dagli<br />

americani verso la tutela dei loro interessi con un’aberrante ideologia:<br />

l’assoluta centralità del mercato capace <strong>di</strong> risolvere, con la sua<br />

più libera gestione, tutti i problemi non soltanto economico-commerciali<br />

ma anche sociali <strong>di</strong> qualsiasi paese, anche il più arretrato.<br />

In effetti, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni affermata questione <strong>di</strong> principio, i cre<strong>di</strong>ti<br />

erogati ai paesi meno sviluppati sono stati e sono gestiti in modo<br />

da assicurare la subalternità dei loro governi.<br />

È utile ascoltare Joseph E. Stiglitz, professore <strong>di</strong> Economia alla<br />

Columbia University, consigliere economico <strong>di</strong> Bill Clinton e, dal<br />

1997 al 2000, senior vice president e chief economist della Banca<br />

Mon<strong>di</strong>ale che, nel suo La globalizzazione e i suoi oppositori alle pagine<br />

4-7, scrive: «Il cambiamento più importante in queste istituzioni<br />

si è verificato negli anni Ottanta, quando Ronald Reagan e Margaret<br />

Thatcher pre<strong>di</strong>cavano l’ideologia del libero mercato negli Sta-<br />

96


© ARMANDO EDITORE. La fotocopia non autorizzata è reato.<br />

ti Uniti e nel Regno Unito. L’FMI e la Banca Mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong>vennero gli<br />

istituti missionari preposti a <strong>di</strong>ffondere queste idee in paesi poveri<br />

riluttanti che spesso avevano un <strong>di</strong>sperato bisogno <strong>di</strong> prestiti e concessioni.<br />

… L’Occidente ha persuaso questi paesi che il nuovo sistema<br />

economico li avrebbe portato ad una prosperità senza precedenti.<br />

In effetti, sotto molti aspetti, per gran parte della popolazione<br />

l’economia <strong>di</strong> mercato si è <strong>di</strong>mostrata ad<strong>di</strong>rittura peggiore <strong>di</strong> quanto<br />

avessero previsto i leaders comunisti… Non a torto, i critici accusano<br />

i paesi occidentali <strong>di</strong> ipocrisia. Questi ultimi hanno spinto i<br />

paesi poveri ad eliminare le barriere commerciali, ma hanno mantenuto<br />

le proprie, impedendo così ai paesi in via <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong> esportare<br />

i loro prodotti e privandoli, <strong>di</strong> fatto, del red<strong>di</strong>to delle esportazioni<br />

<strong>di</strong> cui hanno invece <strong>di</strong>sperato bisogno. Gli Stati Uniti, naturalmente,<br />

sono tra i principali colpevoli e la questione mi ha toccato<br />

profondamente. Quando ero presidente del Consiglio dei consulenti<br />

economici, ho combattuto strenuamente contro questa ipocrisia che<br />

ha danneggiato i paesi in via <strong>di</strong> sviluppo… Non vi è stato soltanto il<br />

rifiuto da parte dei paesi più avanzati <strong>di</strong> aprire i propri mercati alle<br />

merci provenienti dai paesi in via <strong>di</strong> sviluppo, ma anche il fatto che<br />

i paesi industrializzati hanno continuato da una parte a sovvenzionare<br />

l’agricoltura, mettendo così in <strong>di</strong>fficoltà i paesi emergenti che<br />

non riescono ad essere competitivi, e dall’altra a insistere che questi<br />

abolissero i sussi<strong>di</strong> sui prodotti industriali».<br />

L’autorità accademica <strong>di</strong> Stiglitz e il livello delle responsabilità<br />

politico-economiche da lui ricoperte esonerano da qualsiasi considerazione<br />

ulteriore e non lasciano dubbi sulle effettive ragioni per le<br />

quali l’Occidente cerca <strong>di</strong> portare ovunque la sua “democrazia”. Se<br />

al popolo, al quale “si vuole portare la libertà”, mancano i prerequisiti<br />

socio-culturali funzionali alle impostazioni “democratiche” occidentali,<br />

non è rilevante: gli s’impongono con i massacri aerei e i<br />

carri armati e i mercati sono aperti alla rapacità delle multinazionali.<br />

Antisemitismo. Non si possono affrontare i problemi del <strong>di</strong>alogo<br />

fra i popoli del nostro pianeta senza toccare quest’argomento.<br />

La parola “antisemitismo” impone un’analisi attenta non solo<br />

perché i fatti che richiama coinvolgono la pace del mondo ma anche<br />

97


perché ricorda un crimine che macchia la storia umana del più efferato<br />

genoci<strong>di</strong>o mai posto in essere. Il ricordo del crimine del nazismo<br />

è sempre necessario non solo perché i giovani sappiano, ma anche<br />

per mantenere vivi quegli anticorpi morali che devono far sperare<br />

che tanta sciagura non si ripeta mai più: occorrerà insistere finché<br />

il rifiuto d’ogni o<strong>di</strong>o razzista non sarà entrato nel dna culturale<br />

<strong>di</strong> tutti i popoli.<br />

Quest’irrinunciabile posizione non deve consentire, però, che il<br />

rispetto dovuto alla Shoah possa essere strumentalizzato dai rabbini<br />

più scorretti fino a permettere loro <strong>di</strong> lanciare l’accusa <strong>di</strong> “antisemitismo”<br />

contro chiunque si permetta anche soltanto <strong>di</strong> contestare le<br />

violenze dei governi israeliani nella repressione del popolo palestinese.<br />

Per una valutazione attenta <strong>di</strong> questa locuzione, occorre ricordare,<br />

prima <strong>di</strong> tutto, che la parola «ebreo» ha solo un contenuto religioso-culturale<br />

e in<strong>di</strong>ca sempre un praticante la religione ebraica e/o<br />

un portatore della cultura ebraica. Cioè, ed è necessario ripeterlo, alla<br />

parola «ebreo» non può essere collegato nessun contenuto politico,<br />

civile e, soprattutto etnico, come <strong>di</strong>mostra il fatto che se un<br />

ebreo si converte ad un’altra religione o <strong>di</strong>chiara semplicemente <strong>di</strong><br />

non sentirsi più ebreo, non è più considerato ebreo nemmeno dagli<br />

altri ebrei e non fa più parte del «popolo ebraico». La coscienza nazionale<br />

ebraica si affermò e sfidò i millenni come coscienza religiosa:<br />

la storia degli Ebrei è stata la storia del loro rapporto con Dio e<br />

con la sua «Legge».<br />

Questa cultura è sopravvissuta nei millenni perché le sue idee<br />

non rimasero staticamente legate al tempo in cui furono abbozzate<br />

ma si sono evolute fino a <strong>di</strong>ventare non solo patrimonio spirituale<br />

degli Ebrei ma anche patrimonio culturale <strong>di</strong> tutta l’umanità. Eppure,<br />

nonostante la <strong>di</strong>mensione universale della sensibilità umana<br />

espressa dalla religione ebraica, nel corso dei secoli gli Ebrei hanno<br />

subito una somma d’aggressioni che, dalla fine del <strong>di</strong>ciannovesimo<br />

secolo, sono state ritenute manifestazioni <strong>di</strong> «antisemitismo».<br />

Per tentare <strong>di</strong> capire perché sia accaduto, occorre prima rivedere<br />

le cause <strong>di</strong> quelle aggressioni e, dopo, accertare se l’espressione<br />

«antisemitismo» – che letteralmente ha il significato <strong>di</strong> ostilità razzista<br />

contro uomini <strong>di</strong> razza semita – sia la più pertinente non solo<br />

98


per in<strong>di</strong>care le motivazioni e il contenuto <strong>di</strong> quegli eventi ma anche<br />

per qualificare le attuali espressioni <strong>di</strong> ostilità antisraeliana.<br />

Chi abbia avuto nella sua infanzia una formazione cattolica o comunque<br />

cristiana, sa che fin da quell’età porta dentro l’informazione<br />

che il popolo ebraico è un popolo ingiustificatamente sopravvissuto<br />

al “superamento” della sua religione con l’avvento e il trionfo<br />

<strong>di</strong> Cristo. Le intuizioni religiose e la profon<strong>di</strong>tà etica della cultura<br />

ebraica erano state assunte dal Cristianesimo che, raccolta quella<br />

che considerava un’ere<strong>di</strong>tà, aveva ritenuto subito che il suo affermarsi<br />

nel mondo doveva essere accompagnato dall’eliminazione <strong>di</strong><br />

quel «ramo secco» che ormai erano i portatori della vecchia religione<br />

dei profeti.<br />

È questa la causa <strong>di</strong> fondo delle persecuzioni che per secoli hanno<br />

segnato la storia degli Ebrei in Europa e la responsabilità è tutta,<br />

per intero e senza alibi alcuno, della Chiesa cattolica e delle confessioni<br />

protestanti: per giustificarla, fu coniata a carico del popolo<br />

ebraico l’accusa <strong>di</strong> deici<strong>di</strong>o, cui <strong>di</strong>edero un contributo con i loro<br />

scritti anche Agostino e Tommaso d’Aquino.<br />

Sfruttando questa ra<strong>di</strong>ce religiosa ed emotiva, interessi economici<br />

e motivazioni politiche hanno aizzato nei secoli, qua e là per l’Europa,<br />

l’o<strong>di</strong>o popolare contro le comunità ebraiche, responsabili soltanto<br />

dell’arroccamento nella loro specificità culturale e religiosa.<br />

Nei secoli scorsi, inoltre, le particolari con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> inferiorità<br />

sociale, nella quale erano tenuti gli Ebrei, non avevano consentito<br />

loro la proprietà <strong>di</strong> beni immobili con la conseguenza che la <strong>di</strong>sponibilità<br />

<strong>di</strong> denaro liquido li aveva portati verso quell’attività bancaria<br />

non gestita dai cattolici perché condannata dalla loro religione:<br />

la filosofia del lavoro dell’ebreo aveva determinato spesso l’accumulo<br />

<strong>di</strong> fortune finanziarie contro le quali era facile aizzare la furia<br />

popolare in occasione <strong>di</strong> carestie o <strong>di</strong> crisi economiche.<br />

Così, fino a tutta la prima metà del secolo <strong>di</strong>ciannovesimo, l’ostilità<br />

verso gli Ebrei fu «soltanto» religiosa, culturale (ve<strong>di</strong> anche<br />

Voltaire), politica ed economica: mai razzista.<br />

La fondatezza <strong>di</strong> quest’affermazione si <strong>di</strong>mostra fermando l’attenzione<br />

su alcune fra le più drammatiche persecuzioni subite nei<br />

secoli recenti dalle comunità ebraiche in Europa, mentre si possono<br />

trascurare le vicende e gli esili degli antichi Ebrei perché a quei tem-<br />

99


pi non erano nemmeno immaginate le <strong>di</strong>scriminazioni su base razziale.<br />

Già durante gli ultimi secoli dell’impero romano, il progressivo<br />

<strong>di</strong>ffondersi del cristianesimo aveva portato i primi imperatori cristiani<br />

ad occuparsi in modo ostile degli Ebrei anche se ancora nell’ambito<br />

<strong>di</strong> quella tolleranza religiosa assai <strong>di</strong>ffusa nell’antichità.<br />

Questa situazione complessivamente accettabile continuò per gli<br />

Ebrei per tutto l’alto me<strong>di</strong>oevo, pur se non mancarono anche in quel<br />

tempo forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>scriminazione sociale ed economica.<br />

Fu con l’inizio delle crociate che la con<strong>di</strong>zione degli Ebrei in Europa<br />

andò progressivamente aggravandosi fino alle statuizioni restrittive<br />

del Concilio Lateranense (Innocenzo lll, 1215) che impose<br />

agli Ebrei l’obbligo <strong>di</strong> portare sugli abiti un segno che li <strong>di</strong>stinguesse<br />

dai cristiani. Ma, già in Francia e in Germania, i crociati della<br />

prima crociata (1097), sfruttando il fanatismo religioso del tempo,<br />

avevano preso ad aggre<strong>di</strong>re e sterminare gli Ebrei per liberarsi dei<br />

debiti che avevano contratto e per impadronirsi dei loro beni: aggressione<br />

con scopo <strong>di</strong> rapina, si <strong>di</strong>rebbe oggi, ma niente razzismo.<br />

E, quando Luigi lX or<strong>di</strong>nò la <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> tutte le pubblicazioni<br />

ebraiche e l’espulsione degli Ebrei dalla Francia (1254) con la<br />

confisca <strong>di</strong> tutti i beni, il motivo ispiratore era stato il fanatismo religioso<br />

<strong>di</strong> quel re, ma niente razzismo. Così pure nel 1492, l’anno<br />

simbolo dell’espulsione degli Ebrei dalla Spagna, i motivi scatenanti<br />

dell’evento furono l’ambizione dei sovrani <strong>di</strong> cristianizzare totalmente<br />

il regno unificato e l’avi<strong>di</strong>tà della borghesia castigliana che<br />

voleva impadronirsi delle lucrose attività commerciali degli Ebrei.<br />

Ma niente antisemitismo razzista, come <strong>di</strong>mostra che lo stesso accanimento<br />

non fu speso in quel tempo per espellere anche gli Arabi,<br />

che vivevano ancora numerosi in Spagna e che erano sicuramente <strong>di</strong><br />

stirpe semita e non cristiani.<br />

Una ragione assurda, infine, sta <strong>di</strong>etro le perio<strong>di</strong>che aggressioni<br />

subite dagli Ebrei in Polonia e in Russia: era sfogo della violenza<br />

brutale delle masse popolari aizzate dalla miseria, dalla fame e dalla<br />

più <strong>di</strong>struttiva insod<strong>di</strong>sfazione sociale. Il potere costituito lasciava<br />

sfogare in <strong>di</strong>rezione delle comunità ebraiche gli istinti aggressivi<br />

delle masse in occasione <strong>di</strong> carestie o <strong>di</strong> crisi economiche o politiche,<br />

ma niente razzismo.<br />

100


Non c’era razzismo nell’o<strong>di</strong>o antiebraico che macchiava l’Europa<br />

ed è necessario avere ben chiare queste motivazioni non razziste<br />

che hanno determinato le persecuzioni subite dagli Ebrei nel Me<strong>di</strong>o<br />

Evo e nella prima Età moderna per comprendere il salto <strong>di</strong> qualità<br />

compiuto dall’aberrante cultura politico-sociale tedesca fra il se<strong>di</strong>cesimo<br />

e il ventesimo secolo.<br />

Se intorno alla metà del <strong>di</strong>ciannovesimo secolo a partire dalla<br />

Germania, la violenza culturale e fisica contro gli Ebrei si scatena<br />

anche in senso razziale, il fatto non è casuale: fu in quel tempo che<br />

il fanatismo nazionalistico pangermanico, alimentato anche dai successi<br />

militari della Prussia, cominciò a guardare alle comunità ebraiche,<br />

non integrabili né dal punto <strong>di</strong> vista religioso né da quello culturale,<br />

come a realtà <strong>di</strong>sgreganti <strong>di</strong> quel mito superiore che la cultura<br />

tedesca, da Martin Lutero a Wagner, aveva costruito con inusitato<br />

furore: la nazione germanica.<br />

Da Lutero a Nietzsche non fu soltanto un arricchimento culturale:<br />

fu, attraverso Lessing, Klopstock, Herder, Goethe (anche lui,<br />

purtroppo), Schiller, Humboldt, Schlegel, Fichte, Hegel, Novalis,<br />

Grimm, Wagner, ecc., un crescendo <strong>di</strong> autocelebrazione del genio<br />

tedesco e <strong>di</strong> antiebraismo con una progressiva esaltazione tale da<br />

non sorprendere che il <strong>di</strong>apason finale sia stato raggiunto da un politico<br />

probabilmente uscito <strong>di</strong> senno (Hitler).<br />

La comunità ebraica, che già da millenni e per prima nella storia<br />

dell’umanità aveva coscienza <strong>di</strong> sé come <strong>di</strong> un popolo-nazione, non<br />

si sarebbe fatta fagocitare neppure da quella nazione che riteneva <strong>di</strong><br />

avere il destino <strong>di</strong> guidare il mondo. Si era ancora lontani dalla <strong>di</strong>sumana<br />

«soluzione finale» <strong>di</strong> Hitler, ma il problema - che era religioso,<br />

culturale, politico ed economico - con grossolana malafede<br />

culturale, cominciò ad essere progressivamente trasformato in problema<br />

razziale: gli Ebrei, in quanto <strong>di</strong> origine semitica, non erano<br />

ariani e, quin<strong>di</strong>, erano una razza inferiore alla quale dovevano essere<br />

poste tutte le <strong>di</strong>fficoltà possibili per convincerla ad abbandonare<br />

il sacro suolo germanico.<br />

Al nascere <strong>di</strong> quest’impostura, che è uno degli aspetti più mortificanti<br />

della per altri versi geniale cultura tedesca, avevano dato il<br />

loro contributo le teorie esposte dal francese de Gobineau che nel<br />

1855 aveva pubblicato il «Saggio sulle <strong>di</strong>suguaglianze delle razze<br />

101


umane». Sulla base <strong>di</strong> queste teorie, alla fine dell’Ottocento, lo storico<br />

tedesco Chamberlain, posta la grandezza ineguagliabile della<br />

stirpe germanica, afferma la necessità per i Tedeschi <strong>di</strong> eliminare<br />

ogni rapporto con gli Ebrei, miscuglio <strong>di</strong> razze inferiori.<br />

Durante i cinquant’anni che corrono fra i saggi <strong>di</strong> questi due storici<br />

la letteratura tedesca impegnata in senso antisemita si era arricchita<br />

<strong>di</strong> mille contributi. Professori <strong>di</strong> teologia, <strong>di</strong> storia, <strong>di</strong> filosofia<br />

e <strong>di</strong> antropologia, fra i quali uno dei più noti fu lo storico von Treitschke,<br />

fecero quasi a gara con le loro pubblicazioni per costruire un<br />

castello d’insinuazioni sull’incapacità degli Ebrei, in quanto semiti,<br />

a dare contributi positivi al costruendo impero tedesco, alla sua economia<br />

e alla sua cultura.<br />

Fu durante questo periodo <strong>di</strong> farneticante antiebraismo che, nel<br />

1880, Wilhelm Marr usò per primo l’espressione «antisemitismo».<br />

Scriveva Richard Wagner in una lettera al re <strong>di</strong> Baviera nel 1881:<br />

«Considero la razza ebraica il nemico giurato dell’umanità pura e <strong>di</strong><br />

tutto ciò che in essa v’è <strong>di</strong> nobile…». Se questa era la posizione <strong>di</strong><br />

un tedesco al livello culturale <strong>di</strong> Wagner, non è <strong>di</strong>fficile immaginare<br />

quale fosse l’animo e il comportamento della feccia sociale sobillata<br />

dalla malafede politica. Gli ultimi decenni del <strong>di</strong>ciannovesimo<br />

secolo e i primi del ventesimo furono un crescendo <strong>di</strong> aggressioni<br />

agli Ebrei che, dopo la sconfitta del 1918, furono quasi il naturale<br />

capro espiatorio per le tensioni economiche, politiche e sociali<br />

che travolsero la Germania democratica.<br />

Giustamente, Abba Eban, nel suo Ere<strong>di</strong>tà (pag. 280), con riferimento<br />

all’espressione usata da Wagner nella lettera al re <strong>di</strong> Baviera,<br />

pone un interrogativo: «Wagner fa ricorso ad una locuzione che in<br />

precedenza non è dato <strong>di</strong> incontrare: la razza ebraica. Ora il giudaismo<br />

è la religione ebraica, coloro che sono nati da genitori ebrei<br />

costituiscono il popolo ebraico e l’o<strong>di</strong>erno Israele è lo Stato ebraico.<br />

Ma in che cosa consiste la razza ebraica?<br />

E, in effetti, la domanda non è ingiustificata perché tutto l’impegno<br />

razzista e pseudoculturale dei tedeschi non aveva e non ha alcun<br />

fondamento scientifico.<br />

A parte l’o<strong>di</strong>erna certezza della scienza che il concetto <strong>di</strong> razza<br />

in senso biologico è senza alcun fondamento, per le implicazioni politiche<br />

e sociali legate a questo problema, gli antropologi hanno stu-<br />

102


<strong>di</strong>ato a fondo l’esistenza o meno <strong>di</strong> una presunta razza ebraica e il<br />

risultato <strong>di</strong> questi stu<strong>di</strong> è stata l’affermazione certa e incontrovertibile<br />

che non esistono caratteri corporei che possano <strong>di</strong>rsi esclusivi<br />

del popolo ebraico. Tutte le comunità ebraiche, nei loro componenti,<br />

presentano elementi e caratteristiche propri <strong>di</strong> mescolanze somatiche,<br />

presenti anche in altri gruppi etnici europei ed extra-europei.<br />

Così, gli stu<strong>di</strong> dell’altezza, della forma della testa, del colore degli<br />

occhi, della forma del naso, della pelosità corporea, ecc, hanno potuto<br />

solo confermare la maggiore o minore incidenza dei caratteri<br />

delle popolazioni delle zone nelle quali le varie comunità ebraiche<br />

si erano fermate più o meno a lungo.<br />

Theodosius Dobzhansky, uno dei più attenti stu<strong>di</strong>osi dell’evoluzione<br />

umana, scrive: «Il nostro problema è stabilire fino a qual punto,<br />

nei <strong>di</strong>versi paesi, gli ebrei siano rimasti geneticamente <strong>di</strong>stinti<br />

dalle popolazioni vicine... Gli ebrei evidentemente non sono una<br />

razza omogenea o unica: le popolazioni ebraiche che vivevano come<br />

caste in paesi <strong>di</strong>versi hanno subito una considerevole <strong>di</strong>vergenza<br />

genetica e generalmente – cosa che non sorprende – nella <strong>di</strong>rezione<br />

delle popolazioni non ebraiche fra cui vivevano».<br />

E, infatti, già nel secondo millennio a.C. le migrazioni degli Ebrei<br />

assieme a quelle degli Aramei, degli Ammoniti, degli Edomiti si erano<br />

sovrapposte nella zona siro-palestinese a quelle dei semiti immigrati<br />

prima (Cananei) e a quelle presemitiche per mescolarsi poi con stirpi<br />

sopravvenute <strong>di</strong> origine egea e indoeuropea (Filistei, Hittiti, ecc.).<br />

Così, in tempi storici, negli oltre tremila anni <strong>di</strong> peregrinazioni,<br />

le genti portatrici della religione ebraica hanno continuato a ricevere<br />

i più ampi contributi genetici in Asia me<strong>di</strong>orientale, nell’Africa<br />

centrosettentrionale e nell’Europa tutta. Questo spostarsi per il mondo<br />

non fu mai una passiva fuga: l’attività commerciale e la <strong>di</strong>fesa<br />

dell’autonomia religiosa e culturale furono accompagnate sempre da<br />

un <strong>di</strong>screto proselitismo sulle popolazioni dei paesi che venivano<br />

raggiunti, rinnovando e accrescendo le comunità ebraiche ben oltre<br />

il loro possibile incremento naturale.<br />

Agli Ebrei in esilio a Babilonia, com’è risaputo, Geremia aveva<br />

suggerito anche i matrimoni misti «per non ridurvi a pochi <strong>di</strong> numero»<br />

(Geremia, 29, 6).<br />

Il conseguente caleidoscopio etnico ebraico è documentato oggi<br />

103


nello Stato <strong>di</strong> Israele i cui citta<strong>di</strong>ni ebrei (cioè <strong>di</strong> religione e/o <strong>di</strong> cultura<br />

ebraica), provenienti da tutto il mondo, vanno dal biondo <strong>di</strong> tipo<br />

slavo al nero <strong>di</strong> tipo etiopico, passando per tutta la gamma dei colori<br />

e dei caratteri somatici che è possibile riscontrare nelle popolazioni<br />

me<strong>di</strong>orientali, europee e africane.<br />

L’obiettivo <strong>di</strong> queste considerazioni è concludere che, certamente,<br />

tre mila anni fa c’è stato un popolo ebreo <strong>di</strong> stirpe semitica, cioè<br />

appartenente al gruppo <strong>di</strong> popoli <strong>di</strong> lingua semitica, comprendente<br />

anche gli Arabi, per il quale la genetica non ha potuto accertare alcun<br />

criterio <strong>di</strong>stintivo rispetto ai popoli del gruppo indoeuropeo.<br />

Oggi, dopo tre millenni <strong>di</strong> incroci con i popoli dei paesi raggiunti<br />

dalla <strong>di</strong>aspora, non esiste un qualche riferimento biologico della<br />

specificità ebraica, neppure linguistico, che possa consentire <strong>di</strong> rappresentare<br />

unitariamente le comunità ebraiche del mondo. (Per evitare<br />

equivoci, sia chiaro che lo stesso <strong>di</strong>scorso sull’ibri<strong>di</strong>smo dei<br />

gruppi umani può essere fatto, più o meno, anche per tutti i popoli<br />

della presuntuosa Europa).<br />

Soltanto l’ignoranza, la stupi<strong>di</strong>tà e la malafede, prima <strong>di</strong> alcuni<br />

uomini <strong>di</strong> cultura e dopo <strong>di</strong> uomini politici, dalla metà del <strong>di</strong>ciannovesimo<br />

secolo in poi, ha fatto <strong>di</strong>ventare <strong>di</strong> natura «genetica» quel fenomeno<br />

<strong>di</strong> ostilità ideologica verso gli Ebrei che aveva avuto sempre<br />

un fondamento a volte religioso, a volte socio-culturale, a volte<br />

economico: trovare poi masse istericamente emotive da aizzare contro<br />

non è stato mai un problema e mai lo sarà.<br />

L’“antisemitismo” della prima metà del XX secolo fu un’impostura<br />

prima culturale e poi politica pagata a caro prezzo: il massacro<br />

<strong>di</strong> 6 milioni e mezzo <strong>di</strong> Ebrei.<br />

* * *<br />

Fatte queste premesse, necessarie per ricordare il problema e condannare<br />

senza mezzi termini tutte le violenze inflitte agli Ebrei nei<br />

secoli, oggi occorre chiedersi se sia giustificato continuare ad utilizzare<br />

ancora l’espressione «antisemitismo» per qualificare sempre<br />

qualsiasi forma <strong>di</strong> ostilità verso aspetti della realtà ebraica e, soprattutto,<br />

per contestare quanti riprovano la violenza aggressiva dello<br />

Stato <strong>di</strong> Israele.<br />

104


Purtroppo, l’antiebraismo - o antigiudaismo, che è la stessa cosa –<br />

esiste ancora per quella ostilità originaria instillata dal cristianesimo<br />

nella subcultura europea e si esprime con atti alimentati da emotiva <strong>di</strong>sinformazione,<br />

da stupida violenza fine a stessa, da interessi economici<br />

e socio-politici. Né si può ignorare che esiste anche, purtroppo, un antiebraismo<br />

ideologico <strong>di</strong> origine laico-culturale dovuto ad una superficiale<br />

conoscenza dei contenuti ideali della cultura ebraica. Esistono, infine,<br />

anche posizioni antisraeliane per scelta morale <strong>di</strong> fronte al lento<br />

genoci<strong>di</strong>o dei Palestinesi o per documentata informazione storica <strong>di</strong> chi<br />

ricorda i crimini del terrorismo dell’Irgun e della ‘’banda Stern’’, con il<br />

cui contributo <strong>di</strong> violenza gli Ebrei fondarono lo Stato d’Israele.<br />

In questi casi usare ancora l’espressione “antisemitismo” è assolutamente<br />

fuorviante.<br />

L’espressione è usata erroneamente, anche in buona fede, nel<br />

senso generico <strong>di</strong> antiebraismo senza tener conto del suo significato<br />

letterale: non esistendo una razza ebreo-semitica, non può essere denunziata<br />

un’ostilità razzista se non fondandola sull’ignoranza.<br />

Pur non <strong>di</strong>menticando, quin<strong>di</strong>, che nella maggior parte dei casi<br />

l’espressione è usata con superficiale buona fede, si deve contestare<br />

chi, da parte ebraica, muove oggi ad altri ancora l’accusa <strong>di</strong> «antisemitismo»<br />

per evocare l’emozione suscitata dal non <strong>di</strong>menticabile<br />

sterminio nazista. Quest’uso non è corretto: a nessuno è consentito<br />

bran<strong>di</strong>re l’accusa <strong>di</strong> “antisemitismo’’ come un insormontabile muro<br />

per chiunque non sia filoisraeliano.<br />

Questa considerazione è tanto più fondata quando, paradossalmente,<br />

viene accusato <strong>di</strong> «antisemitismo» chi, in <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> posizioni<br />

arabe, contesta comportamenti o argomentazioni <strong>di</strong> Ebrei: se c’è ancora<br />

una specificità semitica, infatti, questa potrebbe essere accre<strong>di</strong>tata<br />

quasi soltanto agli Arabi. Questo paradosso è una contrad<strong>di</strong>zione<br />

in termini che <strong>di</strong>mostra quanto l’uso della parola ‘’antisemitismo’’<br />

sia ormai un’impostura semantico-filologica (sarebbe interessante<br />

un parere <strong>di</strong> Umberto Eco).<br />

Per una stortura culturale affermatasi centocinquant’anni fa e assunta<br />

per fini politici dal nazismo settant’anni fa, l’espressione “antisemitismo”<br />

continua ad essere utilizzata perché contiene un’implicita<br />

condanna morale e perché l’irrazionalità che vuole rappresentare<br />

non consente a chi ne subisce l’accusa una <strong>di</strong>fesa razionale.<br />

105


Contestare la fondatezza dell’uso della parola «antisemitismo»<br />

non è un cavillo formale: è una scelta <strong>di</strong> correttezza culturale per rettificare<br />

affermazioni suggerite da un’inadeguata informazione. Diventa<br />

poi una scelta <strong>di</strong> correttezza morale quando non vuole consentire<br />

più il ricatto <strong>di</strong> chi usa in malafede l’espressione «antisemitismo»<br />

per <strong>di</strong>fendere posizioni ebraico-israeliane errate e insostenibili.<br />

La malafede sta nel sapere che il contenuto apo<strong>di</strong>ttico dell’espressione<br />

“antisemitismo’’ esprime un’accusa morale con il suo valore<br />

semantico <strong>di</strong> razzismo irrazionale.<br />

«Antisemitismo» non è più un’espressione razionalmente utilizzabile<br />

con un fondamento culturale.<br />

Se l’espressione è usata da una persona <strong>di</strong>sinformata è utile chiarirgliene<br />

il senso. Ma, se continua ad essere utilizzata da un ebreo<br />

colto o da un rabbino - soprattutto se è il capo della comunità ebraica<br />

<strong>di</strong> un paese - è necessario contestargli la scorrettezza umana e la<br />

malafede che lo ispirano perché lui sa che, accusando un interlocutore<br />

<strong>di</strong> antisemitismo - cioè presunto razzismo - lo sposta <strong>di</strong> obiettivo<br />

e gli impe<strong>di</strong>sce ogni argomentazione razionale con la quale possa<br />

eventualmente <strong>di</strong>mostrare la fondatezza del suo <strong>di</strong>saccordo.<br />

Qualsiasi forma <strong>di</strong> ostilità o d’infondata <strong>di</strong>ffidenza verso gli<br />

Ebrei deve essere definita semplicemente «antiebraismo» o, ed è la<br />

stessa cosa, «antigiudaismo»; la riprovazione del comportamento<br />

dei governi israeliani può essere considerata “antisraeliana”: non è<br />

“antisemitismo”.<br />

La fondatezza <strong>di</strong> queste considerazioni è stata <strong>di</strong>mostrata dal<br />

comportamento dei capi del Congresso ebraico europeo e mon<strong>di</strong>ale<br />

che, con il massimo dell’arroganza estremista possibile, hanno accusato<br />

<strong>di</strong> ‘’antisemitismo’’ la Commissione Europea per il sondaggio<br />

che ha mostrato come lo Stato <strong>di</strong> Israele sia considerato dalla<br />

maggioranza degli Europei il peggior ostacolo alla pace nel mondo:<br />

non si può accusare <strong>di</strong> ‘’antisemitismo’’ chi non approva quella politica<br />

israeliana che è contestata anche da milioni e milioni <strong>di</strong> Ebrei<br />

nel mondo fino a quei giovani israeliani che si rifiutano <strong>di</strong> prestare<br />

il servizio militare.<br />

L’espressione”antisemitismo” da impostura pagata a caro prezzo<br />

dagli Ebrei è <strong>di</strong>ventata un’impostura opposta: oggi, è utilizzata da-<br />

106


gli ebrei più scorretti che, aggredendo chi condanna la brutale oppressione<br />

del popolo palestinese, impe<strong>di</strong>scono ogni <strong>di</strong>alogo che possa<br />

portare un contributo alla pace del mondo.<br />

* * *<br />

Terrorismo. La parola “terrorismo”, qui, non è presa in considerazione<br />

per giu<strong>di</strong>care i fatti <strong>di</strong> chi causa la morte <strong>di</strong> civili inermi con<br />

un comportamento efferato e pro<strong>di</strong>torio simile al comportamento efferato<br />

e pro<strong>di</strong>torio <strong>di</strong> chi effettua bombardamenti aerei su migliaia<br />

<strong>di</strong> civili ignari. L’analisi vuole costatare quanto storicamente ne sia<br />

stato <strong>di</strong>screzionale l’uso.<br />

Un preliminare ricordo dell’avvenimento “terroristico” più clamoroso<br />

mai accaduto può essere utile per porre qualche punto <strong>di</strong> riferimento<br />

fondamentale.<br />

Gli attentati alle torri <strong>di</strong> New York e al Pentagono <strong>di</strong> Washington,<br />

con i loro duemila e ottocento morti civili, sono l’evento che ha<br />

aperto il terzo millennio lasciando attonito il mondo: scioccati, i più<br />

ne hanno dato un giu<strong>di</strong>zio con<strong>di</strong>zionato dalla propria posizione socio-culturale<br />

e da quella economico-politica del proprio Paese.<br />

Ho assistito alla televisione a quella che, emotivamente e a livello<br />

epidermico, mi è apparsa come una delle iniziative più efferate<br />

mai intraprese dagli uomini, esecranda nella concezione realizzatrice<br />

e nel dolore provocato. Questa, però, è un’emozione personale<br />

senza alcun valore generale.<br />

La rapida, schematica essenzialità dell’evento 11 settembre<br />

2001, figlia della tecnologia e della velocità del nostro tempo, non<br />

ha consentito <strong>di</strong> vederne con chiarezza la <strong>di</strong>mensione.<br />

Ci sono nella storia degli uomini eventi che stabiliscono valori<br />

nuovi, positivi o negativi secondo i punti d’osservazione, che sono<br />

pietre miliari della cultura umana, al <strong>di</strong> là dei costi che possano essere<br />

stati pagati. La rivoluzione americana, la rivoluzione francese e<br />

la rivoluzione russa hanno imposto valori che riscattano ampiamente<br />

le decine o centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> morti che sono costate: il <strong>di</strong>ritto<br />

dei popoli all’autodeterminazione, il <strong>di</strong>ritto alla più piena libertà<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo umano, il <strong>di</strong>ritto alla giustizia sociale per chi lavora.<br />

Nel tempo in cui queste rivoluzioni avvennero, la potenza co-<br />

107


loniale inglese, l’aristocrazia francese, la nobiltà russa, gli industriali<br />

meno avvertiti e buona parte dell’establishment culturale<br />

hanno espresso un giu<strong>di</strong>zio molto negativo contestando la crudeltà<br />

<strong>di</strong> quanto accadeva ma guardando, in effetti, ad interessi propri o a<br />

proprie visioni del mondo.<br />

Chi guardasse oggi alla rivoluzione francese fermando l’attenzione<br />

sulle miserie umane, sui crimini e sui massacri che ne hanno<br />

accompagnato il corso, <strong>di</strong>mostrerebbe la sua sensibilità ma anche la<br />

sprovveduta ingenuità: tutta la storia delle conquiste ideali umane è<br />

accompagnata da una storia <strong>di</strong> nefandezze.<br />

La violenza “spettacolare” dell’11 settembre 2001, per l’eccezionalità<br />

del suo svolgimento, ha avuto un’incidenza storica non inferiore<br />

a quella <strong>di</strong> ognuna delle tre rivoluzioni ricordate: ha chiarito la<br />

<strong>di</strong>mensione dell’o<strong>di</strong>o del mondo verso l’Occidente. Per la sua rilevanza,<br />

l’avvenimento si porta fuori dal contesto quoti<strong>di</strong>ano e pone il<br />

problema <strong>di</strong> capire se i suoi morti abbiano aperto una prospettiva<br />

positiva per la società umana o ne abbiano annebbiato il futuro.<br />

L’analisi, invece, è stata affrontata in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> estrema emotività<br />

e il massimo, forse, è stato raggiunto dall’ingenua reazione <strong>di</strong> uno<br />

dei più esperti ed apprezzati giornalisti italiani che, sul Corriere della<br />

Sera, ha affermato che stava dalla parte degli americani perché nel 1914<br />

erano corsi in aiuto <strong>di</strong> suo padre e nel 1941 erano corsi in suo aiuto.<br />

Certamente l’Europa è debitrice verso gli Stati Uniti per il contributo<br />

che hanno dato per sconfiggere le <strong>di</strong>ttature fasciste e i giovani<br />

americani caduti sulle spiagge <strong>di</strong> Norman<strong>di</strong>a hanno conquistato<br />

un rispetto imperituro per la ban<strong>di</strong>era a stelle e strisce.<br />

Per la pulizia morale che ha sempre <strong>di</strong>stinto il suo lavoro, da questo<br />

giornalista si accetta tutto, ma la posizione, che decontestualizza<br />

l’avvenimento da quello che è accaduto negli ultimi sessant’anni,<br />

non può essere con<strong>di</strong>visa perché la <strong>di</strong>mensione del problema creato<br />

dal crollo delle Twin Towers non consente <strong>di</strong> affrontarlo con una<br />

semplice scelta <strong>di</strong> campo.<br />

Sicuramente, Enzo Biagi negli anni quaranta abitava in campagna,<br />

altrimenti non avrebbe <strong>di</strong>menticato la paura dei bombardamenti<br />

con i quali gli americani, prima e dopo lo sbarco del 1943, hanno<br />

raso al suolo le città italiane senza preoccuparsi delle decine <strong>di</strong> migliaia<br />

<strong>di</strong> «civili» che massacravano per «liberarli».<br />

108


Chi fra il gennaio e il luglio 1943 abitava a Palermo non potrà più<br />

<strong>di</strong>menticare il terrore per i quoti<strong>di</strong>ani bombardamenti “a tappeto”<br />

che gli aerei americani effettuavano sulla città a tutte le ore lanciando<br />

volantini che <strong>di</strong>cevano: “Se non volete essere ‘’coventrizzati’’ ribellatevi<br />

alle autorità”. La città era stata bombardata in precedenza<br />

dai francesi che provenivano dalla Tunisia e dagli inglesi che provenivano<br />

da Malta; sia gli uni che gli altri si erano limitati a bombardare<br />

la zona portuale della città e solo con gli americani la città<br />

fu rasa al suolo e i morti e i feriti furono decine <strong>di</strong> migliaia: a quei<br />

tempi non si era ancora parlato <strong>di</strong> terrorismo, ma i palermitani vecchi<br />

ricordano che si <strong>di</strong>stinse fra i bombardamenti ‘’civili’’ dei francesi<br />

e degli inglesi e i bombardamenti ‘’terroristici’’ degli americani:<br />

la storia la fanno i fatti e non le emozioni o le gratitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Biagi.<br />

Un’analisi realistica dell’attentato <strong>di</strong> New York non consente posizioni<br />

pregiu<strong>di</strong>ziali e aprioristiche scelte <strong>di</strong> campo: a Biagi che <strong>di</strong>chiara<br />

il suo orrore per i morti “civili’’, si deve suggerire <strong>di</strong> provare<br />

a contare i milioni <strong>di</strong> morti “civili’’ <strong>di</strong> cui, negli ultimi sessant’anni<br />

del ventesimo secolo (dal 1941 ad oggi), gli statunitensi, <strong>di</strong>etro la<br />

ban<strong>di</strong>era della libertà, hanno seminato il mondo con i bombardamenti<br />

a tappeto sulle città italiane e tedesche, le bombe atomiche sul<br />

Giappone, i massacri in Corea, la devastazione del Vietnam, il colpo<br />

<strong>di</strong> stato nel Cile, la repressione dei san<strong>di</strong>nisti in Nicaragua, la<br />

guerra del 1991 all’Iraq e poi l’embargo, il bombardamento dei villaggi<br />

in<strong>di</strong>fesi dell’Afganistan, i raids aerei su Grenada, Panama, Somalia,<br />

Sudan e ancora Iraq nel 2003-2004.<br />

Com’è stato già detto nel capitolo precedente parlando della<br />

“guerra”, quando si parla <strong>di</strong> morti civili non si può <strong>di</strong>menticare che<br />

l’impiego dell’aereo ha ra<strong>di</strong>calmente mo<strong>di</strong>ficato negli ultimi sessant’anni<br />

i concetti <strong>di</strong> ‘’guerra’’, <strong>di</strong> ‘’fronte’’ e <strong>di</strong> ‘’civili’’ e si deve<br />

cercare <strong>di</strong> capire se l’attentato alle due torri debba essere considerato<br />

un atto <strong>di</strong> guerra o un atto ingiustificatamente criminale: per l’Occidente<br />

è un atto <strong>di</strong> “terrorismo”; per il mondo islamico è un atto <strong>di</strong><br />

guerra nei termini possibili per paesi che non hanno la potenza militare<br />

e tecnologica dell’Occidente.<br />

Questa premessa non ha ancora chiarito quali comportamenti<br />

possano essere considerati atti <strong>di</strong> terrorismo. Ha voluto riba<strong>di</strong>re, mo-<br />

109


mentaneamente, che né la violenza né la morte <strong>di</strong> civili inermi sono<br />

aspetti che, oggi, possono far qualificare un’aggressione come fatto<br />

terroristico: per valutare si deve guardare soltanto alla legittimità o<br />

meno delle ragioni che l’hanno determinato. Purtroppo, però, anche<br />

i fondamenti <strong>di</strong> ciò che può essere considerato legittimo oggi sono<br />

posti in <strong>di</strong>scussione e un’analisi completa richiederebbe <strong>di</strong> portare<br />

l’attenzione pure sul contenuto <strong>di</strong> altre parole altrettanto abusate:<br />

uguaglianza, libertà e democrazia. Ma, poiché il <strong>di</strong>scorso richiederebbe<br />

un saggio a parte, l’analisi deve limitarsi ad uno sguardo ai<br />

fatti.<br />

È facile, allora, constatare come l’espressione “terrorismo” sia<br />

stata sempre utilizzata con grande elasticità <strong>di</strong> significato: Napoleone<br />

chiamava terrorismo la guerriglia spagnola e quella russa: Goya<br />

ha documentato come fosse terroristico il comportamento degli<br />

eserciti napoleonici. Durante la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, in tutta<br />

l’Europa, le iniziative violente dei movimenti <strong>di</strong> resistenza all’occupazione<br />

tedesca erano considerate “terrorismo” dalle autorità del loro<br />

tempo per essere poi apprezzate come attività lecite <strong>di</strong> ‘’movimenti<br />

<strong>di</strong> liberazione’’ a guerra finita.<br />

L’esempio più clamoroso l’ha dato Israele che ha la primogenitura<br />

assoluta del terrorismo moderno. Israele, che oggi ipocritamente<br />

si scandalizza moralmente per il terrorismo arabo bollandolo d’infamia,<br />

non potrà mai far <strong>di</strong>menticare che è nato sul sangue e sull’o<strong>di</strong>o<br />

seminati dalle sue bande <strong>di</strong> criminali che, nella prima metà del<br />

secolo ventesimo, seminavano la morte più crudele anche per l’Europa,<br />

facendo saltare in aria alberghi, caserme e ambasciate inglesi<br />

(come hanno fatto anche a Roma): una buona parte dei leaders che<br />

Israele ha avuto fin’ora sono stati acclarati terroristi, come per<br />

esempio il primo ministro Menachem Begin o il primo ministro<br />

Yitzhak Shamir: a loro, se la storia non la scrivesse sempre e soltanto<br />

chi vince, per gli attentati portati anche in Occidente, avrebbe<br />

dovuto essere riservato lo stesso trattamento <strong>di</strong> criminali che viene<br />

promesso a Bin Laden e ai suoi gruppi. Invece, sono stati ricevuti e<br />

trattati come normali capi <strong>di</strong> Stato da tutti i governi dei paesi occidentali:<br />

dove finisce il rispetto della propria <strong>di</strong>gnità ed inizia l’ipocrisia<br />

politica?<br />

Quanto è accaduto per i sionistici in Palestina, è accaduto anche<br />

110


per l’African National Congress <strong>di</strong> Mandela in Sudafrica: il ricorso<br />

ad atti <strong>di</strong> terrorismo viene retrospettivamente giustificato quando gli<br />

irredentismi nazionali o politici o culturali raggiungono lo scopo e<br />

ottengono il riconoscimento internazionale.<br />

Anche per la particolare violenza espressa in Irlanda del Nord,<br />

nei Paesi Baschi e in Corsica, si conferma l’ambiguità d’uso della<br />

parola “terrorismo”: i resistenti sono chiamati “terroristi” dai governi<br />

inglesi, spagnolo e francese mentre sono chiamati ‘’partigiani’’<br />

dai connazionali che ne con<strong>di</strong>vidono la causa.<br />

Oggi, nel mondo occidentale, genericamente, sono sempre qualificati<br />

come ‘’terrorismo’’ gli atti <strong>di</strong> chi, con azione violenta, improvvisa<br />

e inattesa, voglia affermare un suo <strong>di</strong>ritto - fondato o presunto<br />

che sia - o una sua visione ideologica della società umana e<br />

dei rapporti fra i popoli. Salvo a riconoscere la vali<strong>di</strong>tà dell’azione<br />

violenta e a riqualificarla positivamente quando essa riesca a raggiungere<br />

i suoi obiettivi.<br />

Quest’impostazione concettuale già quasi sancisce come, accanto<br />

agli utopisti frettolosi ed irresponsabili, “terroristi” sono considerati<br />

soltanto i prevaricati, gli scontenti e i <strong>di</strong>sperati del mondo che,<br />

non <strong>di</strong>sponendo della forza militare o sociale per recuperare <strong>di</strong>aletticamente<br />

migliori posizioni politiche o economiche, risolvono la<br />

loro impotenza affidando alla violenza le loro speranze.<br />

Forse, possiamo <strong>di</strong>stinguere: l’accusa <strong>di</strong> “terrorismo” è fondata<br />

per le iniziative violente degli utopisti occidentali, che nei loro paesi<br />

sono incapaci <strong>di</strong> trovare spazio alle loro idee politiche in modo<br />

<strong>di</strong>alettico e, anarchicamente, scelgono la via della violenza irresponsabile.<br />

Diversa deve essere l’attenzione per le iniziative anche<br />

violente <strong>di</strong> quanti operano in clandestinità per <strong>di</strong>fendere <strong>di</strong>ritti negati<br />

o interessi sopraffatti <strong>di</strong> paesi che non <strong>di</strong>spongono della forza<br />

politica e militare adeguata per ottenerne il riconoscimento nel contesto<br />

internazionale.<br />

Nel primo caso, siamo <strong>di</strong> fronte all’impotente ed irresponsabile<br />

immaturità politica <strong>di</strong> fanatici che non riescono ad affermare in modo<br />

democratico-liberale le loro idee e pretendono <strong>di</strong> imporle con la<br />

violenza: la condanna <strong>di</strong> questo terrorismo tout court non può che<br />

essere la più severa e la risposta la più dura.<br />

Nel secondo caso, la valutazione deve essere più articolata e sic<br />

111


et simpliciter non può essere considerato “terrorismo” la reazione<br />

anche violenta alla violenza <strong>di</strong> tirannici governi locali o all’aggressione<br />

manifesta o subdola <strong>di</strong> governi stranieri che con<strong>di</strong>zionano la<br />

vita <strong>di</strong> un popolo per perseguire i loro interessi: questo era il comportamento<br />

<strong>di</strong> Giuseppe Mazzini contro l’Austria e la storia l’ha<br />

successivamente ampiamente giustificato (il problema della <strong>di</strong>mensione<br />

della violenza utilizzata è stato già esaminato).<br />

In questo secondo caso si può affermare che nel mondo occidentale<br />

soltanto una pubblicistica faziosa, eccitando il raccapriccio che<br />

suscita la morte <strong>di</strong> civili, considera «terrorista» sempre e soltanto il<br />

prevaricato che si ribella.<br />

Nonostante la pressione me<strong>di</strong>atica, che tenta <strong>di</strong> imporre una visione<br />

mistificata della realtà del mondo, sono certamente atti <strong>di</strong> terrorismo<br />

quelli <strong>di</strong> un Governo legittimo <strong>di</strong> uno Stato che impiega i suoi<br />

servizi segreti per abbattere il Governo anch’esso legittimo <strong>di</strong> altri<br />

Stati, spesso facendone assassinare i responsabili politici liberamente<br />

eletti. Sono atti <strong>di</strong> terrorismo quelli <strong>di</strong> un Governo che fomenta rivolte,<br />

organizzando gruppi <strong>di</strong> ribelli armati, in quei Paesi i cui governi<br />

siano ostili ai suoi interessi. Sono atti <strong>di</strong> terrorismo le iniziative delle<br />

multinazionali occidentali, come è acclarato che fanno, quando finanziano<br />

e armano i guerriglieri, per esempio, in Sierra Leone per i <strong>di</strong>amanti<br />

o nel Congo per le immense risorse minerarie.<br />

I fatti del Nicaragua accaduti dopo l’abbattimento della <strong>di</strong>ttatura<br />

<strong>di</strong> Somoza, che era stato imposto dagli USA, hanno <strong>di</strong>mostrato come<br />

nel mondo dove è espresso il terrorismo <strong>di</strong> stato statunitense non<br />

c’è alternativa alla lotta clandestina per chi si ribella. Dopo la libera<br />

elezione <strong>di</strong> un governo nicaraguegno non favorevole all’invadenza<br />

degli americani, costoro organizzano la guerriglia dei contras e,<br />

dopo aver bombardato il paese con 29.000 morti civili e 57.0000<br />

mutilati, impongono un governo amico. Il successivo governo liberamente<br />

eletto non fa esplodere bombe a New York: chiede il rimborso<br />

dei danni dei bombardamenti alla Corte <strong>di</strong> Giustizia Internazionale<br />

<strong>di</strong> Giustizia. La Corte il 27 giugno 1986 condanna gli Usa a<br />

pagare i danni commessi con “l’uso terrorista della forza”. Gli Stati<br />

Uniti, unico paese condannato dalla Corte per terrorismo <strong>di</strong> Stato, si<br />

oppongono sostenendo che non accettano giu<strong>di</strong>cati internazionali<br />

sul loro operato. Dopo, hanno posto il veto ad una condanna del<br />

112


© ARMANDO EDITORE. La fotocopia non autorizzata è reato.<br />

Consiglio <strong>di</strong> sicurezza dell’ONU e hanno <strong>di</strong>chiarato <strong>di</strong> non volersi<br />

attenere alla decisione dell’Assemblea dell’ONU che ingiungeva <strong>di</strong><br />

rispettare la condanna delle Corte <strong>di</strong> Giustizia. Di fronte a tanta tracotante<br />

arroganza degli Stati Uniti, chi, in buona fede, sostiene ancora<br />

che la protesta violenta dei popoli prevaricati è moralmente<br />

condannabile, ha bisogno <strong>di</strong> un controllo della sua capacità <strong>di</strong> intendere<br />

e <strong>di</strong> volere.<br />

“Terroristi” non sono sempre e soltanto i <strong>di</strong>sperati che non hanno<br />

altro mezzo, oltre la violenza pure su se stessi, per attirare l’attenzione<br />

del mondo. Terrorismo non è solo ciò che gli occidentali<br />

pretendono che sia considerato “terrorismo”.<br />

L’attentato alla Twin Towersper la maggior parte degli occidentali,<br />

colpiti in una delle certezze che avevano più salda - la sicurezza,<br />

fondata sull’inviolabilità degli Stati Uniti - è stato uno dei crimini<br />

più freddamente efferati della storia del mondo; senza alcuna<br />

<strong>di</strong>scussione possibile.<br />

Per i nazionalisti arabi, è stata un’impresa che ha esaltato la capacità<br />

<strong>di</strong> sacrificio e d’eroismo dei loro giovani. È stato, anche, un<br />

nuovo punto <strong>di</strong> partenza per il riscatto della <strong>di</strong>gnità dei loro popoli<br />

e per la liberazione delle loro terre dall’occupazione militare o politica<br />

o economica dell’Occidente.<br />

Per i fondamentalisti islamici, è stata una lezione all’Occidente<br />

presuntuoso e corrotto ed un monito pesante per i governi islamici<br />

filo-occidentali.<br />

Per i poveri del mondo e per tutti i popoli che hanno subito e subiscono<br />

l’aggressività culturale ed economica occidentale, compresi<br />

i settantacinque milioni d’in<strong>di</strong>vidui che costituiscono le minoranze<br />

afroamericane, ispaniche ed asiatiche degli stessi Stati Uniti, è<br />

stata una lezione che l’Occidente s’è cercata. Se non hanno gioito,<br />

non hanno neppure provato alcun particolare sentimento <strong>di</strong> partecipazione<br />

al dolore americano: sia i giovani come i vecchi <strong>di</strong> queste<br />

minoranze statunitensi, dopo l’attentato, hanno mostrato alle televisioni<br />

che li intervistavano la più fredda in<strong>di</strong>fferenza per la menomazione<br />

subita dal «loro» Paese.<br />

Su sei miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> uomini nel mondo, scontate tutte le ufficiali<br />

ipocrisie <strong>di</strong> facciata, almeno quattro miliar<strong>di</strong> nel loro cuore non hanno<br />

sentito alcuna ragione <strong>di</strong> solidarietà verso gli americani.<br />

113


Può non piacere, ma l’o<strong>di</strong>o, che il mondo esprime verso gli statunitensi,<br />

è il sentimento più compatto che l’umanità - al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> razze,<br />

<strong>di</strong> culture e <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni economiche - abbia mai espresso in<br />

modo così profondo e <strong>di</strong>ffuso: chi non riconosce che questa è la<br />

realtà del mondo, rifiuta <strong>di</strong> comprenderne gli eventi e mantiene la<br />

testa sotto la sabbia.<br />

Messa da parte l’ipocrita solidarietà ufficiale del Giappone, chi<br />

pensa che anche i giapponesi, memori <strong>di</strong> Hiroshima e Nagasaki, non<br />

abbiano visto con sod<strong>di</strong>sfazione che finalmente era mortificata anche<br />

l’arroganza americana? Duemila e ottocento morti sono un numero<br />

insignificante <strong>di</strong> fronte al milione e più <strong>di</strong> vittime “civili”<br />

giapponesi fatte dai bombardamenti atomici americani e dalle successive<br />

ra<strong>di</strong>azioni.<br />

Le reazioni all’attentato hanno fatto rilevare come gli occidentali<br />

valutino i morti del mondo ricco cento volte <strong>di</strong> più <strong>di</strong> quelli delle<br />

trage<strong>di</strong>e dei paesi meno sviluppati, i cui morti rimangono insignificanti<br />

cifre statistiche: queste note chiariscono quanto profonde siano<br />

le <strong>di</strong>stanze nel <strong>di</strong>alogo mon<strong>di</strong>ale, quanto sia <strong>di</strong>fficile capirsi e<br />

quanto gravi le possibili conseguenze.<br />

C’è da parte occidentale il tentativo <strong>di</strong> esorcizzare quanto accade<br />

assumendo un atteggiamento <strong>di</strong> pregiu<strong>di</strong>ziale ripulsa morale e fisica<br />

verso i kamikaze: gli attentati sarebbero un orrore prodotto dalla più<br />

barbara e fanatica violenza al valore della vita umana. Questi occidentali<br />

rifiutano <strong>di</strong> ammettere che, per miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> uomini del mondo,<br />

i kamikaze che sacrificano la loro vita sono eroi: eroi che, fedeli<br />

alla più antica tra<strong>di</strong>zione islamica, s’immolano per riscattare la <strong>di</strong>gnità<br />

<strong>di</strong> popoli sopraffatti. La ripulsa occidentale è razionalmente<br />

inutile ed ingenua: è umano <strong>di</strong>fendersi; ma è necessario prendere atto<br />

della violenza per capire fin dove si può e si vuole spingerla.<br />

Per circa tre quarti del secolo ventesimo, l’Occidente è stato impegnato<br />

a contrastare l’espandersi <strong>di</strong> quel tentativo sclerotico <strong>di</strong> comunismo<br />

che si era affermato nell’Unione sovietica. Preoccupava<br />

non solo per la gestione illiberale del potere politico ma anche per<br />

le esasperate violenze fisiche ai civili <strong>di</strong> cui il comunismo si era reso<br />

protagonista prima in Russia, poi in Cina, in Cambogia con le<br />

stragi <strong>di</strong> Pol Pot e ovunque era riuscito ad assumere il potere. Per ottant’anni,<br />

la straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> questo tentativo fallito <strong>di</strong><br />

114


gestire il cammino dell’uomo verso una meta data, ha assorbito l’attenzione<br />

dell’Occidente. Salvo la parentesi della contestazione giovanile<br />

del “sessantotto” e la contemporanea protesta per la guerra<br />

nel Vietnam, la società civile occidentale ha trascurato <strong>di</strong> preoccuparsi<br />

<strong>di</strong> quanto avveniva nel resto del mondo dove il neocolonialismo<br />

faceva crescere l’ostilità per il suo incombere rapace.<br />

Il risveglio imposto dall’11 settembre 2001, pur nella crudezza dell’evento<br />

e al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni raccapriccio possibile, chiede realisticamente<br />

<strong>di</strong> ammettere che i fatti non hanno un loro valore accertabile fermando<br />

l’attenzione sui morti, numerosi o no, occidentali o no, civili o no.<br />

La storia <strong>di</strong>mostrerà che le iniziative <strong>di</strong> bin Laden, degli islamici<br />

e dei sopraffatti del mondo, fondate su ragioni politico-nazionalistiche<br />

ed economico-culturali, non possono essere considerate “terrorismo”:<br />

saranno riqualificate come l’unica legittima possibilità <strong>di</strong><br />

operare per i popoli impotenti <strong>di</strong> fronte alla potenza tecnologico-militare<br />

occidentale.<br />

Tuttavia, nella situazione attuale, è naturale che la paura <strong>di</strong> un pericolo<br />

incontrollabile crei in Occidente una ripulsa ostile ed è doveroso<br />

che i governi dei paesi occidentali <strong>di</strong>fendano la sicurezza fisica<br />

dei loro paesi. È senza alternative anche il fatto che i Governi ufficiali<br />

<strong>di</strong> tutti i paesi condannino gli attentati <strong>di</strong> un “terrorismo” che<br />

non può entrare nel bagaglio riconosciuto degli strumenti <strong>di</strong> guerra.<br />

L’invito all’uso della ragione è un dovere per tutti: molto spesso, è<br />

un dovere manifestamente ipocrita e senza alcun altro comportamento<br />

palese possibile.<br />

Ma l’ipocrisia dei più non farà uscire dalla spirale <strong>di</strong> violenza<br />

con le condanne morali. La violenza che è stata innescata persisterà<br />

fino a quando la soluzione dei problemi non sarà in<strong>di</strong>viduata da una<br />

ragione che riesca a ricordare che le armi sono spuntate quando si<br />

scontrano con i fremiti ideali dei popoli e con le contrad<strong>di</strong>zioni della<br />

loro realtà economica.<br />

* * *<br />

La violenza. Mettendo da parte ogni giu<strong>di</strong>zio morale molto spesso<br />

fazioso, guardando al bisogno <strong>di</strong> serenità <strong>di</strong> ogni uomo, qualsiasi<br />

manifestazione <strong>di</strong> violenza è sempre da condannare: senza se e<br />

senza ma, da qualunque parte provenga.<br />

115


Le considerazioni sulla guerra e sul terrorismo” hanno chiarito<br />

come sia stato travolto ogni limite morale e come la gravità <strong>di</strong> quest’aspetto<br />

non consenta <strong>di</strong> giustificare nessuno. Ma il raccapriccio e<br />

molte condanne morali espresse con sbalor<strong>di</strong>to sgomento davanti alla<br />

violenza della resistenza irachena e degli attentati islamici sono<br />

soltanto espressione della più scandalosa ipocrisia.<br />

Non è il caso <strong>di</strong> ricordare quando e perché qualcuno ha sostenuto<br />

che la violenza è la levatrice della storia. È certo, però, che questa<br />

povera storia umana è così piena <strong>di</strong> feroci ecci<strong>di</strong> da quasi non<br />

credere che sia la nostra storia: le orde <strong>di</strong> uomini in movimento hanno<br />

seminato sempre stupri, violenze e massacri <strong>di</strong> tutti i tipi. Nessuno<br />

può sorprendersi. Ma solo l’Europa ‘’civile’’ ha ritenuto <strong>di</strong> poter<br />

“rimuovere” i suoi genoci<strong>di</strong>. Non sono quin<strong>di</strong> inutili i libri come Le<br />

livre noir du colonialisme nel quale lo storico Marc Ferro ci ricorda<br />

i milioni <strong>di</strong> morti costati ai paesi che l’Europa ha ‘’colonizzato’’ per<br />

‘’portare loro la civiltà e i valori spirituali del cristianesimo”: per<br />

non consentire un’ipocrita visione morale della violenza, all’Europa<br />

è necessario ricordare la sua millenaria efferatezza.<br />

Gli stermini e i saccheggi, che accompagnarono le conquiste <strong>di</strong><br />

Cortes e Pizarro nel Centro e nel Centro-Sud America con la <strong>di</strong>struzione<br />

<strong>di</strong> civiltà raffinate come quelle degli Atzechi, dei Maia e degli<br />

Incas, sono noti perché spesso sono citati come esempio della crudeltà<br />

dei ‘’colonizzatori’’ europei. Ma pochi sanno che l’invasione<br />

dell’America del nord da parte <strong>di</strong> inglesi e francesi fu un genoci<strong>di</strong>o<br />

che ridusse le tribù in<strong>di</strong>gene da oltre sei milioni <strong>di</strong> in<strong>di</strong>ani a circa<br />

370.000 superstiti: gli americani raccontano sempre come un’epopea<br />

eroica questo lungo massacro che nei numeri è vicino al genoci<strong>di</strong>o<br />

degli ebrei da parte del nazismo tedesco. C’è una <strong>di</strong>fferenza: i<br />

tedeschi non hanno vinto la guerra e la storia è scritta sempre da chi<br />

vince. Non possono esserci genoci<strong>di</strong> buoni e genoci<strong>di</strong> cattivi.<br />

Del colonialismo spietato e razzista, Ferro ricorda anche il milione<br />

<strong>di</strong> morti nelle isole caraibiche, l’eliminazione quasi totale degli<br />

aborigeni dell’Australia, i due milioni <strong>di</strong> africani morti nel trasportare<br />

tre<strong>di</strong>ci milioni <strong>di</strong> schiavi dall’Africa all’America. Ricorda<br />

come, in mezzo secolo, fra la seconda metà del XlX e l’inizio del<br />

XX secolo, il violento espansionismo coloniale degli imperi europei<br />

abbia fatto <strong>di</strong>minuire la popolazione africana <strong>di</strong> oltre cinquanta mi-<br />

116


lioni <strong>di</strong> persone: nell’entusiasmo nazionalistico <strong>di</strong> chi, in ogni paese<br />

d’Europa, acclamava i successi del ‘’suo’’ impero.<br />

Nonostante il loro numero, i morti non sono stati il danno più<br />

grave arrecato dalla violenza dell’aggressione occidentale. Questa<br />

considerazione, che sembra sottovalutare il valore della vita umana,<br />

nasce dalla necessità <strong>di</strong> guardare con realismo agli effetti lunghi degli<br />

eventi e alle conseguenze che incidono sulla prospettiva più o<br />

meno lontana <strong>di</strong> chi ne è rimasto vittima: i danni più gravi sono stati<br />

arrecati squassando l’equilibrio <strong>di</strong> quelle culture soverchiate con<br />

l’introduzione <strong>di</strong> elementi culturali ed istituti socio-politici che non<br />

trovavano compensazione nel complesso delle tra<strong>di</strong>zioni locali.<br />

Questi danni sono stati aggravati attizzando le ostilità fra le etnie dei<br />

paesi occupati: il principio del <strong>di</strong>vide et impera ne ha sconvolto le<br />

elementari strutture politiche e <strong>di</strong>strutto ogni or<strong>di</strong>ne sociale.<br />

Il risultato <strong>di</strong> tanta violenza è stato un ra<strong>di</strong>cale o<strong>di</strong>o che si è<br />

iscritto nel profondo del dna culturale delle residue entità originarie<br />

<strong>di</strong> quei popoli che oggi guardano agli europei e agli americani come<br />

alla causa <strong>di</strong> tutti i mali del mondo.<br />

Ma la brutalità della violenza della “cristiana” civiltà occidentale<br />

non si è espressa solo con il colonialismo perché la violenza è endemica<br />

nella sua come in ogni cultura umana ed ha colpito sempre<br />

in tutte le <strong>di</strong>rezioni. Per fermarci ai tempi più recenti e aver chiara<br />

la <strong>di</strong>mensione della violenza è utile ricordare il massacro degli Ugonotti<br />

e le stragi delle guerre <strong>di</strong> religione in Europa (secolo XVll), i<br />

giu<strong>di</strong>zi sommari e gli ecci<strong>di</strong> perpetrati dall’Inquisizione cattolica<br />

anche con le cacce alle streghe <strong>di</strong> masse isteriche (lungo i secoli del<br />

me<strong>di</strong>oevo e della prima età moderna), i massacri e le esecuzioni<br />

sommarie della Rivoluzione francese in Francia e in Europa anche<br />

al seguito degli eserciti <strong>di</strong> Napoleone (fine XVlll e XlX secolo), i<br />

continui reciproci massacri fra le popolazioni slave cattoliche, ortodosse<br />

e musulmane nei Balcani (lungo i secoli), i raccapriccianti ecci<strong>di</strong><br />

in Europa nella guerra <strong>di</strong> trincea del primo conflitto mon<strong>di</strong>ale<br />

(XX secolo), le esecuzioni <strong>di</strong> massa e gli sra<strong>di</strong>camenti umani verso<br />

i gulag siberiani nella Russia comunista (XX secolo), il genoci<strong>di</strong>o<br />

degli Ebrei in tutta Europa da parte dei nazisti tedeschi e dei loro<br />

complici europei (XX secolo), le città tedesche ed italiane rase al<br />

suolo dai bombardamenti anglo-americani con centinaia <strong>di</strong> migliaia<br />

117


<strong>di</strong> morti civili inermi (XX secolo), i bombardamenti americani con<br />

bombe atomiche delle città giapponesi <strong>di</strong> Hiroshima secolo e Nagasaki<br />

con milioni <strong>di</strong> civili morti o deformati (XX secolo), la decimazione<br />

e deportazione in massa della popolazione cecena da parte<br />

della Russia (XlX e XX secolo), la desertificazione del Vietnam da<br />

parte degli Stati Uniti con bombe al napalm con tre milioni e mezzo<br />

<strong>di</strong> morti civili (XX).<br />

Com’è facile costatare, il civilissimo Occidente ancora nel XX<br />

secolo, cioè nei nostri giorni, si è <strong>di</strong>stinto per i milioni <strong>di</strong> uomini<br />

massacrati da una violenza così <strong>di</strong>sumana da aver fatto esprimere a<br />

molti il timore della fine della sua civiltà. E quelli in<strong>di</strong>cati sono solo<br />

gli eventi più gravi della ferocia espressa dai “valori” della civiltà<br />

“cristiana” euro-americana che, nell’assumere il controllo del mondo,<br />

si è macchiata anche <strong>di</strong> mille altre risapute criminali crudeltà.<br />

Ma attribuire ai valori e ai principi della civiltà europea la responsabilità<br />

<strong>di</strong> questi comportamenti è assolutamente ingiustificato:<br />

sarebbe un giu<strong>di</strong>zio sommario che non terrebbe conto che questi<br />

eventi sono da addebitare a specifiche ingor<strong>di</strong>gie <strong>di</strong> avventurieri, a<br />

deviazioni ideologiche, a esasperazioni religiose, a lesioni cerebrali<br />

<strong>di</strong> qualcuno, a isterie <strong>di</strong> masse sobillate. Meno che mai è possibile<br />

coinvolgere nella responsabilità delle violenze il Cristianesimo come<br />

religione perché questa fede è espressione <strong>di</strong> amore, <strong>di</strong> pietà e <strong>di</strong><br />

speranza.<br />

È l’uomo che, quando è in balia degli istinti più egoistici, talvolta<br />

stimolati anche da fanatismi ideali, ritorna alla sua ra<strong>di</strong>ce belluina<br />

e accantona i freni che i valori della sua civiltà hanno posto. Su<br />

questa realtà è inutile spendere parole: non riescono mai ad essere<br />

adeguate ai fatti.<br />

Per le stesse ragioni, solo chi è totalmente <strong>di</strong>sinformato o chi è in<br />

malafede può sostenere che responsabili della violenza degli attentati<br />

degli islamici siano la loro religione e la loro civiltà. Soltanto<br />

chi non conosce la religione musulmana o la vuole presentare in modo<br />

artato può citare lo jihad a conferma delle sue affermazioni. Il<br />

Corano parla esclusivamente <strong>di</strong> jihad <strong>di</strong>fensivo: la responsabilità del<br />

significato aggressivo è <strong>di</strong> qualche ayatollah integralista che ne ha<br />

elaborato un’interpretazione forzata per specifici obiettivi politici<br />

(fra tutti i libri sacri del mondo, solo la Bibbia, nel Vecchio Testa-<br />

118


mento, incita gli Ebrei ad una guerra feroce e a non lasciare vivi né<br />

donne, né bambini né vecchi, dopo gli scontri con il nemico)<br />

La violenza non è nella religione – islamismo, cristianesimo,<br />

ebraismo o induismo che sia – è nella natura degli uomini. È naturale<br />

guardare alla violenza con repulsione; ma non sono accettabili<br />

le ipocrite condanne morali solo quando è espressa dai musulmani.<br />

Per accantonare il moralismo a senso unico che condanna solo la<br />

violenza degli altri, può essere utile ricordare anche le recenti <strong>di</strong>sumane<br />

torture americane ai prigionieri <strong>di</strong> Abu Graib e <strong>di</strong> Guantanamo<br />

o ricordare i palestinesi decapitati dai soldati israeliani che ne<br />

mostrano entusiasti le teste infilzate su picche <strong>di</strong> ferro. È stata già ricordata<br />

l’efferata violenza “cristiana” della guerra partigiana italiana<br />

degli anni Quaranta.<br />

Non possiamo arrenderci. Ma è stato già detto: chi è senza peccato<br />

lanci la prima pietra.<br />

* * *<br />

L’analisi <strong>di</strong> argomenti controversi potrebbe continuare. Chi ha<br />

onestà intellettuale ha già chiare le ragioni per le quali si deve essere<br />

prudenti nel giu<strong>di</strong>care gli avvenimenti dei nostri giorni che non<br />

consentono moralismi <strong>di</strong> parte e che sono stati fatti degenerare dalle<br />

più infide ipocrisie.<br />

2. Uno sguardo avanti<br />

Chi ferma l’attenzione soltanto sull’integralismo religioso e sul<br />

presunto scontro <strong>di</strong> civiltà fa un torto alla sua intelligenza e non dà<br />

un sostegno alla società occidentale nella quale si <strong>di</strong>ffondono paure<br />

ed arroganze che sollecitano irrazionali iniziative aggressive per <strong>di</strong>fendere<br />

posizioni che i processi economico-demografici in corso<br />

stanno già travolgendo.<br />

È necessario, invece, tentare <strong>di</strong> rendersi conto <strong>di</strong> quanto sta accadendo<br />

nel mondo a prescindere dai venti <strong>di</strong> guerra che lo agitano.<br />

Chi non vuole avere idee chiare si <strong>di</strong>stragga: Oriana Fallaci vada in<br />

vacanza.<br />

119


Nella storia dell’uomo ci sono eventi scelti come simboli <strong>di</strong> svolte<br />

epocali: la caduta dell’impero romano nel 476 d.C., la scoperta<br />

dell’America nel 1492, la Rivoluzione francese nel 1789 e altri<br />

eventi ancora che gli storici possono aver scelto in funzione del loro<br />

modo <strong>di</strong> raccontare la storia. È risaputo che questi simboli e queste<br />

date sono solo convenzionali perché il processo evolutivo della<br />

realtà socio-culturale umana è un continuum lungo il quale le conquiste<br />

sociali, politiche, economiche, scientifiche e culturali in genere<br />

sono il risultato <strong>di</strong> un lento accumulo <strong>di</strong> tentativi, <strong>di</strong> fallimenti<br />

e <strong>di</strong> rari successi.<br />

Nei nostri giorni da più parti è stata avvertita l’eccezionalità della<br />

situazione i cui eventi simbolo possono essere in<strong>di</strong>cati nella caduta<br />

del Muro <strong>di</strong> Berlino nel 1989 e nella contemporanea definitiva<br />

affermazione della rete Internet nel mondo.<br />

La rilevanza <strong>di</strong> questi riferimenti è ovviamente nel loro valore<br />

simbolico particolare e, a chi cita l’11 settembre 2001 e le Twin<br />

Towers, è sufficiente ricordare che, a parte la spettacolarità dell’evento,<br />

chi non fosse stato <strong>di</strong>stratto avrebbe potuto cogliere uguale<br />

significato nella caduta <strong>di</strong> Dien Bien Phu del 1954, nella nazionalizzazione<br />

del canale <strong>di</strong> Suez del 1956, nella battaglia <strong>di</strong> Algeri del<br />

1957 e, soprattutto, nella <strong>di</strong>sfatta dell’esercito americano nel ‘’pantano’’<br />

del Vietnam (1973).<br />

Da troppo tempo ormai i gioghi coloniali stanno stretti a tutti i<br />

popoli e questi avvenimenti esprimono anche simbolicamente il rifiuto<br />

<strong>di</strong> quel colonialismo che tenta <strong>di</strong> sopravvivere con mille trucchi.<br />

Pur se in molti non sono d’accordo nel considerare l’attacco alle<br />

Twin Towers l’espressione <strong>di</strong> un revanscismo nazionalistico, anche<br />

costoro non possono ignorare le precise <strong>di</strong>chiarazioni in questo<br />

senso <strong>di</strong> bin Laden e dei suoi “complici”.<br />

La caduta del Muro <strong>di</strong> Berlino e la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> Internet, invece,<br />

sono eventi nuovi che proiettano concettualmente avanti. Il valore<br />

della caduta del Muro <strong>di</strong> Berlino, che era stato il simbolo della separazione<br />

<strong>di</strong> due mon<strong>di</strong> antagonistici, è in primo luogo nell’essere<br />

stato il momento della conquista della definitiva consapevolezza su<br />

tutta la Terra che la più casuale libertà è la con<strong>di</strong>zione per la migliore<br />

espressione delle attese umane. In secondo luogo, il suo valore<br />

è anche nell’aver rappresentato la fine del contrasto fra due mo<strong>di</strong><br />

120


alternativi <strong>di</strong> concepire la prospettiva dell’operare dei popoli: sono<br />

state queste le premesse che hanno favorito l’esponenziale <strong>di</strong>ffondersi<br />

<strong>di</strong> un globale interscambio umano non solo in termini economici<br />

ma anche culturali, etnici e demografici. Nonostante le attuali<br />

gravi contrad<strong>di</strong>zioni della globalizzazione economica <strong>di</strong> cui certamente<br />

non sono responsabili i principi <strong>di</strong> libertà che la ispirano,<br />

quell’attimo ideale del 1989, dopo il quale è ra<strong>di</strong>calmente mutato il<br />

modo <strong>di</strong> farsi della politica mon<strong>di</strong>ale, rimane un punto <strong>di</strong> riferimento<br />

simbolico universalmente riconosciuto.<br />

Negli stessi anni durante i quali maturava la caduta del Muro <strong>di</strong><br />

Berlino, la messa a punto delle più opportune procedure tecniche<br />

consentiva la realizzazione <strong>di</strong> un sistema <strong>di</strong> comunicazioni e trasmissione<br />

dati attraverso una rete <strong>di</strong> computer sparsi in tutto il mondo:<br />

nasceva Internet. L’efficace semplicità realizzata nei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> utilizzare<br />

questa rete mon<strong>di</strong>ale ne ha consentito la <strong>di</strong>ffusione a centinaia<br />

<strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> utilizzatori che in tutti i continenti hanno imparato<br />

a ‘’navigare’’: giovani ed anziani, uomini e donne, persone della<br />

più varia cultura e a tutti i livelli, da tutti i paesi del mondo, che abbiano<br />

un computer o utilizzino le postazioni offerte nei Net Point o<br />

nei Cyber Cafè, quoti<strong>di</strong>anamente entrano (‘’navigano’’) attraverso<br />

una quantità impressionante <strong>di</strong> canali nazionali e internazionali in<br />

un arcipelago infinito <strong>di</strong> interessi e informazioni culturali <strong>di</strong> ogni tipo.<br />

Il desiderio <strong>di</strong> conoscere il mondo, che è stato messo “a portata<br />

<strong>di</strong> mouse”, si accompagna alla volontà <strong>di</strong> aprire i propri orizzonti<br />

con un’informazione sempre più autonoma. Con Internet è possibile<br />

anche <strong>di</strong>scutere <strong>di</strong> problemi culturali, religiosi, politici, ecc. collegandosi<br />

attraverso una “chat line” con chiunque in qualsiasi angolo<br />

<strong>di</strong> tutti i continenti. Le centinaia <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> computer collegati<br />

in un crescendo esponenziale, con l’ovvia <strong>di</strong>fferenza attuale <strong>di</strong> una<br />

maggiore <strong>di</strong>ffusione nei paesi più sviluppati, sono il punto <strong>di</strong> riferimento<br />

certo, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> qualsiasi politica statale <strong>di</strong> controllo delle linee<br />

telefoniche, della prospettiva <strong>di</strong> una inarrestabile circolazione<br />

delle idee che, accanto alla <strong>di</strong>ffusione delle immagini consentita dalla<br />

televisione, consente già un <strong>di</strong>alogo mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> una intensità e<br />

con effetti oggi non definibili.<br />

Inoltre, un’ulteriore rilevanza della <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> Internet sta nella<br />

tendenza all’unicità della lingua utilizzata da tutti gli utenti <strong>di</strong><br />

121


questo mezzo <strong>di</strong> comunicazione. È risaputa l’importanza che la lingua<br />

ha avuto fin dall’inizio del <strong>di</strong>alogo umano e la coesione o la <strong>di</strong>ffidenza<br />

determinate dalla con<strong>di</strong>visione o meno dello stesso linguaggio.<br />

Quando attraverso Internet, anche fra un secolo, tutto il mondo<br />

sarà in grado <strong>di</strong> capirsi con un’unica lingua, mille barriere saranno<br />

state abbattute.<br />

Caduta del Muro <strong>di</strong> Berlino e Internet sono i simboli più emblematici<br />

del processo rivoluzionario nascente dal <strong>di</strong>alogo planetario in<br />

atto che, per la novità del suo raggio totale, sta generando le più ra<strong>di</strong>cali<br />

reimpostazioni economiche e le più violente manifestazioni <strong>di</strong><br />

insod<strong>di</strong>sfazione locale e generale con un numero incre<strong>di</strong>bile <strong>di</strong> guerre<br />

e <strong>di</strong> guerriglie in tutti i continenti con esclusione della sola Europa,<br />

che però deve fare i conti con la protesta islamica e con focolai<br />

<strong>di</strong> irredentismo regionale che non mancano <strong>di</strong> aggiungere preoccupazioni<br />

non meno gravi.<br />

Può anche essere un caso che l’avvio <strong>di</strong> questo incontro-scontro<br />

abbia trovato pronto un sistema <strong>di</strong> trasmissione delle informazioni<br />

della potenza totale che ha Internet; ma il caso è stato sempre uno<br />

dei protagonisti fondamentali del processo evolutivo che si esprime<br />

nella storia umana: rimane il fatto che la potenza <strong>di</strong> Internet e la ra<strong>di</strong>calità<br />

dell’attesa <strong>di</strong> tutti i popoli <strong>di</strong> potersi esprimere in piena libertà<br />

e nel più pieno rispetto dei propri <strong>di</strong>ritti e della propria <strong>di</strong>gnità<br />

stanno sommuovendo il mondo oltre ogni allarmata previsione e<br />

molto oltre quanto si ha il coraggio <strong>di</strong> ammettere.<br />

Di questa sommossa uno degli strumenti più violentemente ineluttabili<br />

è la reimpostazione totale della situazione demografica<br />

mon<strong>di</strong>ale.<br />

Già oltre <strong>di</strong>eci anni fa, al Convegno mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> genetica del<br />

Cairo nel 1993, i biologi hanno sostenuto, con ampie e documentate<br />

analisi, le conseguenze, nel lungo termine, dell’interscambio biologico<br />

determinato dai movimenti delle masse umane nel mondo:<br />

entro 500 anni sulla terra la “razza” indoeuropea sarà estinta. La sfida<br />

biologica alla “razza bianca” è assoluta e totale: la sua sopravvivenza<br />

futura non è soltanto posta in <strong>di</strong>scussione; è ra<strong>di</strong>calmente pronosticata<br />

come impossibile.<br />

Che gli uomini fra cinque secoli possano esser tutti neri o tutti<br />

gialli non è una <strong>di</strong>sputa che possa interessarci più <strong>di</strong> tanto. L’infor-<br />

122


mazione serve per richiamare la nostra attenzione sul fatto che siamo<br />

<strong>di</strong> fronte ad una sfida senza alternative che coinvolge tutte le etnie<br />

del mondo in uno scambio <strong>di</strong> rapporti sempre più frequenti e<br />

sempre più ampi. Chi non vuole guardare alla prospettiva futura dell’uomo<br />

e rimane istericamente a <strong>di</strong>fesa delle sue ra<strong>di</strong>ci etno-culturali,<br />

non si rende conto <strong>di</strong> essere vittima <strong>di</strong> antichi e recenti tabù e <strong>di</strong><br />

una ra<strong>di</strong>cata <strong>di</strong>ffidenza alimentata dall’ignoranza e dalla paura.<br />

La sfida demografica dei popoli africani e asiatici ai popoli europei<br />

è assoluta e, purtuttavia, non è un evento «voluto». È, infatti,<br />

il risultato del trasferimento spontaneo e non gestito <strong>di</strong> uomini in<br />

esubero nelle loro terre dove il comportamento procreativo, anche se<br />

con<strong>di</strong>zionato da informazioni religiose, morali, politiche, economiche<br />

e sociali, rimane affidato ai naturali e liberi impulsi degli in<strong>di</strong>vidui.<br />

Cioè, pur non trascurando le politiche <strong>di</strong> contenimento delle<br />

nascite, attuate o proposte in tutti i paesi ad esuberante crescita, non<br />

trascurando le politiche <strong>di</strong> stimolo allo sviluppo economico e non<br />

trascurando le iniziative <strong>di</strong> controllo e <strong>di</strong> contenimento delle masse<br />

emigranti, questo fenomeno deve essere guardato per quello che è:<br />

un gran<strong>di</strong>oso processo naturale con un suo «progetto» ecologico che<br />

tende prima a far crescere e a far incontrare e poi a fondere tutte le<br />

genti del mondo.<br />

Il movimento non è, come <strong>di</strong>ce qualcuno, soltanto un fenomeno<br />

epocale: è un evento inarrestabile, progressivamente crescente, definitivo.<br />

Non si muovono soltanto le masse umane dai paesi poveri<br />

verso quelli ricchi o i profughi, che pure nei cinque continenti sono<br />

milioni e milioni. Si muovono anche le masse rurali verso le città<br />

che stanno <strong>di</strong>ventando megalopoli incontrollabili e si muovono da<br />

un paese all’altro flussi crescenti <strong>di</strong> lavoratori specializzati, <strong>di</strong>rigenti<br />

<strong>di</strong> aziende, uomini d’affari, sportivi e artisti in un interscambio<br />

economico, culturale ed umano che tende a costruire un’unica civiltà<br />

<strong>di</strong> cui non è possibile prevedere il modo d’essere.<br />

Nei secoli a venire la tendenza appare essere verso un unico ecosistema<br />

umano che, nell’incontro <strong>di</strong> mille <strong>di</strong>versità, dovrebbe riuscire<br />

a trovare i mo<strong>di</strong> per un meno conflittuale <strong>di</strong>alogo fra le genti.<br />

Negli imme<strong>di</strong>ati decenni, invece, la sfida demografica determinerà<br />

un ra<strong>di</strong>cale mutamento del panorama umano soprattutto nell’Occidente<br />

“bianco”, dove le conseguenze sono ancora tutte da accertare.<br />

123


La popolazione mon<strong>di</strong>ale è cresciuta dai 2,5 miliar<strong>di</strong> del 1950 ai<br />

circa 6,2 miliar<strong>di</strong> del 2002: questa crescita nasconde, ma non tanto,<br />

la sfida per il predominio del mondo. Nell’arco dei quarant’anni in<strong>di</strong>cati,<br />

la popolazione dei paesi più sviluppati è passata da 830 milioni<br />

a 1.232 milioni con una crescita del 48% mentre quella dei paesi<br />

meno sviluppati è passata da 1,7 a quasi 5 miliar<strong>di</strong> con un aumento<br />

oltre il 150%. Le proiezioni recenti effettuate dagli uffici stu<strong>di</strong><br />

delle Nazioni Unite, per il prossimo futuro, prevedono le seguenti<br />

ipotesi me<strong>di</strong>e <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficazione della situazione:<br />

– nel 2025, la popolazione dei paesi più sviluppati passerà a 1.415<br />

milioni mentre quella dei paesi meno sviluppati passerà 7.056<br />

milioni;<br />

– 2050, la popolazione dei paesi più sviluppati tornerà in<strong>di</strong>etro a<br />

1.232 milioni mentre quella dei paesi meno sviluppati continuerà<br />

a crescere a 7.886 milioni.<br />

Le proiezioni esprimono con estrema “gravità” la prospettiva<br />

della “razza bianca” quando dal computo dei paesi più sviluppati si<br />

tolgono i dati del Giappone e si rimane alla popolazione dell’Europa<br />

e dell’America settentrionale. La prospettiva per l’Europa, senza<br />

eventi che facciano ra<strong>di</strong>calmente mutare i tassi <strong>di</strong> fecon<strong>di</strong>tà e <strong>di</strong><br />

mortalità, è in primo luogo l’invecchiamento della popolazione cui<br />

seguirà la progressiva <strong>di</strong>minuzione con gravi conseguenze per la<br />

struttura produttiva e per l’equilibrio degli istituti <strong>di</strong> «welfare».<br />

Ma queste proiezioni sintetiche redatte dagli uffici stu<strong>di</strong> delle<br />

Nazioni Unite specializzati nelle analisi dei processi evolutivi delle<br />

popolazioni, non <strong>di</strong>cono nulla su quale sarà l’effettiva proiezione,<br />

complessiva e nel dettaglio, della popolazione dei vari paesi europei<br />

perché non analizzano i fenomeni immigrativi e non chiariscono<br />

l’incidenza che avranno sulle prospettive demografiche <strong>di</strong> questi<br />

paesi. Cioè, per i paesi europei, le prospettive d’incremento o <strong>di</strong> <strong>di</strong>minuzione<br />

delle popolazioni sono state calcolate tenendo conto delle<br />

tendenze che si sono espresse negli ultimi decenni, analizzando i<br />

fattori che influenzano tali tendenze: età del matrimonio, invecchiamento<br />

della popolazione, alfabetizzazione, posizione sociale della<br />

donna, ecc. ed immigrazione nel suo insieme.<br />

Ma quale sarà il contributo quantitativo degli immigrati e il com-<br />

124


portamento delle masse asiatiche ed africane immigrate nei paesi<br />

europei non appena avranno consolidato a tutti gli effetti il loro status<br />

<strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni regolari dei paesi che li ospitano?<br />

Per la sola Italia, per esempio, le proiezioni ufficiali (ISTAT, IN-<br />

PS) affermano che gli italiani autoctoni saranno circa 44 milioni nel<br />

2025 e circa 38 milioni nel 2050: poiché è anche previsto che la popolazione<br />

complessiva rimarrà intorno a 56-57 milioni, questo vuol<br />

<strong>di</strong>re che nel 2050 in Italia ogni due italiani autoctoni ci sarà un «italiano»<br />

non autoctono.<br />

Considerato che le popolazioni immigrate hanno un’elevata fertilità<br />

alla quale si oppone la crescita zero delle popolazioni autoctone,<br />

è evidente come la sfida alla “razza bianca” fin dentro il cuore<br />

dell’Europa, via via che il rapporto dei numeri cambierà, <strong>di</strong>venterà<br />

progressivamente un problema sempre più <strong>di</strong>fficile da tenere sotto<br />

controllo: accanto agli arabi e agli islamici in genere, africani, caraibici,<br />

in<strong>di</strong>ani, cinesi, filippini, indonesiani e malesi stanno portando<br />

alla “razza bianca” una sfida ultimativa. Si può anche tentare <strong>di</strong><br />

frenare con le armi i flussi d’immigrati in arrivo come già si fa, ma<br />

è impossibile svuotare il mare con un bicchiere. Alla legge dei numeri<br />

non si può opporre nulla: i popoli europei, dove non sono in <strong>di</strong>minuzione,<br />

sono a crescita zero; le popolazioni africane ed asiatiche<br />

hanno trends <strong>di</strong> crescita esplosivi: è solo questione <strong>di</strong> tempo.<br />

L’unica speranza degli europei è affidata al caso: i fattori che<br />

hanno influenzato e possono influenzare le tendenze demografiche<br />

sono così vari, numerosi e imponderabili da non consentire nessuna<br />

previsione che possa <strong>di</strong>rci con certezza quale sarà il futuro demografico<br />

degli uomini. Il progressivo superamento del concetto ottocentesco<br />

<strong>di</strong> nazione potrà portare a minori conflitti ideologico-culturali<br />

fra paesi vicini. Ma il livello <strong>di</strong> tensione, che i vari gruppi etnici<br />

potranno esprimere fra <strong>di</strong> loro all’interno <strong>di</strong> ogni paese, <strong>di</strong>penderà<br />

dall’intelligenza o meno dei governi e delle popolazioni autoctone.<br />

La presenza nel mondo <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> oriane fallaci, con la loro ottusa<br />

<strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> un mondo superato dagli eventi della storia, non promette<br />

nulla <strong>di</strong> buono.<br />

Fra le ragioni delle tensioni potranno anche esserci molte espressioni<br />

<strong>di</strong> estremismo fondamentalista - islamico, ebraico, cristiano e<br />

125


induista - ma gli obiettivi della più gran parte delle violenze saranno<br />

economici e politici. Le religioni continueranno ad essere utilizzate<br />

come collante delle masse per sostenere princìpi ed interessi.<br />

Insieme agli scontri civili interni e ai conflitti apparentemente<br />

ideali <strong>di</strong> tutti gli integralismi, la guerra mon<strong>di</strong>ale, nel suo modo nuovo,<br />

violento ed informale <strong>di</strong> essere combattuta, continuerà fino al<br />

paritario accesso <strong>di</strong> tutti i popoli alle limitate risorse del pianeta. Il<br />

problema si può anche ipocritamente rimuovere, come si continua a<br />

fare, ma se non cambierà la realtà etico-economica del mondo, questa<br />

guerra squasserà il pianeta fino a quando i paesi più industrializzati<br />

non saranno riusciti, se non a sra<strong>di</strong>care, almeno a mitigare il loro<br />

opprimente incombere.<br />

La fame, nei millenni, è stata accettata dall’uomo come una con<strong>di</strong>zione<br />

naturale della vita. Oggi non è più così: attraverso la televisione<br />

tutti nel mondo constatano il benessere dell’Occidente e,<br />

quando apprendono che le risorse che consentono un benessere così<br />

smodato sono prodotte anche nel loro paese, l’invi<strong>di</strong>a, la rabbia e<br />

l’o<strong>di</strong>o sono le reazioni più spontanee e naturali. È un fatto così noto<br />

e logoro che ormai è ritenuto superfluo parlarne. Ma questa supponenza<br />

sarà castigata: qualsiasi cosa possa accadere, la violenza<br />

farà pagare in un modo o in un altro questo conto ai paesi occidentali.<br />

Il nocciolo del problema economico è un aspetto risaputo della<br />

realtà mon<strong>di</strong>ale: secondo le statistiche del M.I.T. (Massachussets Institute<br />

of Technology) e del WWF, gli Stati Uniti, con una popolazione<br />

che non raggiunge il 5% della popolazione mon<strong>di</strong>ale, consumano<br />

da soli circa il 30% delle principali risorse del pianeta. Il resto<br />

del mondo più sviluppato e occidentalizzato, con una popolazione<br />

intorno al 20% della popolazione mon<strong>di</strong>ale, consuma un altro<br />

34% <strong>di</strong> queste risorse. Al rimanente 75% circa degli abitanti della<br />

Terra ne rimane appena un 36%, con oltre due miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> in<strong>di</strong>genti<br />

assoluti. Senza fare valutazioni morali che lasciano immo<strong>di</strong>ficata la<br />

situazione, si deve aver chiaro prima <strong>di</strong> tutto che si parla delle risorse<br />

- materie prime e prodotti agricoli - e non dei prodotti industriali<br />

che <strong>di</strong>pendono dal grado <strong>di</strong> sviluppo tecnologico dei paesi.<br />

Sulla base della percentuale dei consumi dei soli Stati Uniti, secondo<br />

il M.I.T., se la Cina, il cui sviluppo è sempre più impetuoso, vo-<br />

126


lesse raggiungere lo stesso livello <strong>di</strong> consumi, sarebbero necessarie<br />

le risorse <strong>di</strong> almeno altri tre pianeti gran<strong>di</strong> come la Terra.<br />

Questa situazione fa comprendere che ciò che è stato definito come<br />

l’Impero statunitense non è che il risultato della pretesa americana<br />

<strong>di</strong> garantirsi fonti <strong>di</strong> accesso alle materie prime adeguate ai livelli<br />

dei suoi consumi. Presto le esigenze della Cina e, dopo, quelle<br />

dell’In<strong>di</strong>a imporranno una revisione <strong>di</strong> questi livelli, con le buone o<br />

con le cattive: sono i bisogni <strong>di</strong> quasi due miliar<strong>di</strong> e mezzo <strong>di</strong> persone<br />

contro i risaputi sprechi <strong>di</strong> appena trecento milioni. Davanti a<br />

quest’enorme problema, è sorprendente constatare come i più siano<br />

pregiu<strong>di</strong>zialmente <strong>di</strong>visi pro o contro gli Stati Uniti e, assunta questa<br />

posizione, non riescano a riflettere sulle ragioni delle contrad<strong>di</strong>zioni<br />

americane. È superficiale ritenere che questo Paese esprima<br />

solo il meglio della modernità politica, economica e scientifica o solo<br />

il massimo della violenza e della rapacità sul mondo: probabilmente,<br />

esprime l’uno e l’altro.<br />

Anche non <strong>di</strong>menticando che nei millenni l’idea <strong>di</strong> impero è stata<br />

riferita a perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> pace (imposta), <strong>di</strong> benessere e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione<br />

della cultura, oggi è mutata non solo la coscienza etico-politica dei<br />

popoli ma anche la consapevolezza che ognuno <strong>di</strong> essi ha del proprio<br />

valore culturale: l’impero viene percepito come l’espressione<br />

del più egoistico interesse nazionalistico in un mondo che tenta <strong>di</strong><br />

avere un respiro planetario, anche se ancora a fatica e fra mille contrasti.<br />

Nella realtà mon<strong>di</strong>ale moderna, l’Impero statunitense, con la sua<br />

pretesa <strong>di</strong> imporre un “or<strong>di</strong>ne mon<strong>di</strong>ale” con la guerra preventiva,<br />

esprime soltanto il rantolo <strong>di</strong> un’agonia che può durare anche qualche<br />

generazione ma che ha il suo cancro inguaribile nella percezione<br />

che la <strong>di</strong>fesa del livello dei consumi del popolo americano può<br />

contare solo sulla sopraffazione armata del resto del mondo. La morale<br />

internazionale che è stata costruita nell’ultimo secolo non consente<br />

più un impero, qualunque ne sia il suo modo d’essere: nella<br />

non procrastinabile prospettiva <strong>di</strong> una crescita dei consumi dei paesi<br />

meno sviluppati, è evidente come il problema della re<strong>di</strong>stribuzione<br />

del potere <strong>di</strong> accesso alle risorse del pianeta sia scottante nell’imme<strong>di</strong>ato<br />

e deflagrante nel prossimo futuro.<br />

Se i paesi più industrializzati, forti della loro potenza militare,<br />

127


continueranno a ritenere <strong>di</strong> poter rimuovere questo problema coprendo<br />

la malafede con la solita affermazione della necessità <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere<br />

i ‘’valori’’ ideali <strong>di</strong> libertà, in tutto il pianeta una legittima<br />

guerriglia improvvisa, violenta e continua esprimerà una ferocia <strong>di</strong><br />

cui i soliti ‘’ingenui’’ <strong>di</strong>ranno <strong>di</strong> non spiegarsene l’efferatezza, che<br />

continueranno a condannare con la più faziosa, scandalizzata morale.<br />

Questa violenza si esprimerà ovunque nel mondo: perché accanto<br />

al problema delle risorse, l’Occidente ha anche la necessità <strong>di</strong><br />

mantenere il più attento controllo strategico delle vie d’accesso ad<br />

esse e il controllo della situazione geopolitica generale.<br />

Finché persisterà così <strong>di</strong>ffusa presenza rapace, la rabbia del<br />

mondo, che è già espressa nei mo<strong>di</strong> più irrazionali anche con scontri<br />

auto<strong>di</strong>struttivi fra comunità religiose ed etnie, non è la manifestazione<br />

<strong>di</strong> una pazzia collettiva. La situazione ha coinvolto ra<strong>di</strong>calmente<br />

la persona umana con la sua necessità <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare i bisogni<br />

primari e <strong>di</strong> veder rispettata la <strong>di</strong>gnità politica e culturale. Tutti - popoli<br />

meno sviluppati, nazioni mortificate, gruppi <strong>di</strong> interessi economici,<br />

aree culturali e comunità religiose - in modo più o meno violento,<br />

sono in campo in uno scontro che sembra <strong>di</strong>viso in tanti scontri<br />

locali ma che sono legati dall’insod<strong>di</strong>sfazione generale.<br />

Molti hanno già descritto la situazione parlando <strong>di</strong> Quarta Guerra<br />

Mon<strong>di</strong>ale (la Terza sarebbe stata la Guerra Fredda). L’espressione<br />

può essere accettata, anche se questa è la Prima vera guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />

Occorre aggiungere, però, che gli avvenimenti <strong>di</strong> questa guerra<br />

senza regole non dovranno mai sorprendere: siamo <strong>di</strong> fronte ad un<br />

“normale” conflitto la cui apparente eccezionalità è determinata dal<br />

fatto che la società umana ha raggiunto solo adesso un confuso <strong>di</strong>alogo<br />

globale nel quale mille egoismi si scontrano per i più impreve<strong>di</strong>bili<br />

motivi.<br />

Non sorprenda, allora, che la violenza più improvvisa possa<br />

esplodere nei luoghi più impensati e anche, forse soprattutto, dove<br />

sembra sia stata raggiunta un’illusoria pacificazione. Non sorprenda<br />

neppure che la violenza si alterni a perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> apparente tranquillità.<br />

La rivolta – in<strong>di</strong>viduale, <strong>di</strong> gruppi o <strong>di</strong> masse – sarà sempre più <strong>di</strong>sorganica<br />

e spontanea.<br />

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© ARMANDO EDITORE. La fotocopia non autorizzata è reato.<br />

Dovremo imparare a convivere con la violenza anche perché è irrealistico<br />

pensare che il mondo occidentale possa recitare il mea culpa<br />

e rinunziare alle posizioni <strong>di</strong> vantaggio raggiunte. Non solo perché<br />

nessun uomo ha mai rinunciato a quanto già ha conquistato ma<br />

anche perché una rapida riduzione dei consumi del mondo più sviluppato<br />

sarebbe un’iniziativa controproducente anche per il benessere<br />

dell’intera comunità umana mon<strong>di</strong>ale. Si avviterebbe un ciclo<br />

regressivo: minori consumi <strong>di</strong> prodotti finiti, minori consumi <strong>di</strong> materie<br />

prime, <strong>di</strong>soccupazione, ulteriori minori consumi e così via fino<br />

a conflitti armati e conseguenze globali inimmaginabili.<br />

Il mondo è ad un’impasse ben più grave <strong>di</strong> quel che si <strong>di</strong>ca: in<br />

molti pensano che siamo in un tunnel in fondo al quale non ci sia<br />

una luce ma un treno che marcia in senso contrario al nostro.<br />

3. Una prospettiva probabile<br />

La presenza dell’Occidente con le sue attività economiche e i<br />

suoi interessi strategici, anche su quei paesi caratterizzati da lento<br />

sviluppo economico e da vivacità demografica, ha stimolato un <strong>di</strong>alogo<br />

mon<strong>di</strong>ale che tende verso una globalizzazione dei problemi.<br />

Questo processo ha posto in evidenza una serie <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenze fra le<br />

quali la più rilevante è la <strong>di</strong>versa visione della vita <strong>di</strong> quei popoli la<br />

cui cultura non ha preso in considerazione l’idea ebraica per la quale<br />

solo il successo pratico confermerebbe ad ogni uomo la benevolenza<br />

<strong>di</strong> Dio. Questi popoli guardano con mille riserve allo stile <strong>di</strong><br />

vita esasperato e <strong>di</strong>laniante degli occidentali e non accettano che il<br />

loro modo <strong>di</strong> vivere sia considerato un ritardo civile.<br />

La visione della vita ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>versa, che comincia ad essere<br />

parzialmente mitigata dalla generale accettazione dei benefici<br />

della tecnologia occidentale, ha tracciato una linea <strong>di</strong>scriminante assoluta<br />

che mette in evidenza le effettive cause dei problemi umani:<br />

la fame, la sete, le malattie, il bisogno <strong>di</strong> energia e il bisogno <strong>di</strong> rispetto<br />

della propria <strong>di</strong>gnità.<br />

Questa linea <strong>di</strong>vide i popoli ponendoli su due opposte sponde: da<br />

una parte, la necessità <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere il livello dei consumi raggiunto;<br />

dall’altra parte, la necessità <strong>di</strong> riequilibrarlo. Com’è stato già ricor-<br />

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dato, non è facile per il mondo tollerare ancora che un solo paese con<br />

circa il 5% della popolazione mon<strong>di</strong>ale, gli Stati Uniti, consumi oltre<br />

il 30% delle principali risorse del pianeta mentre altri tre paesi che<br />

rappresentano circa il 50% della popolazione mon<strong>di</strong>ale - Brasile, Cina<br />

e In<strong>di</strong>a - ne consumino insieme appena il 10% (dati M.I.T. e<br />

WWF). Questo problema è complicato anche dalla necessità <strong>di</strong> riequilibrare<br />

il rapporto fra l’uomo e la natura: molti aspetti dell’industrializzazione<br />

<strong>di</strong> tipo occidentale e della trascuratezza dei popoli<br />

meno sviluppati hanno compromesso l’equilibrio ecologico della<br />

Terra e aggravano le ragioni dello scontro fra le due parti del mondo.<br />

Problemi tanto complessi sono <strong>di</strong>fficili da risolvere e non si deve<br />

volgere lo sguardo ad altre ragioni per ricercare il perché della contestazione<br />

dell’avi<strong>di</strong>tà dell’Occidente che ha ra<strong>di</strong>cato negli altri un<br />

o<strong>di</strong>o profondo. Quest’o<strong>di</strong>o c’è e non è soltanto islamico. Può non<br />

piacere, ma l’o<strong>di</strong>o, che il mondo esprime verso gli occidentali, è il<br />

sentimento più compatto che mai l’umanità abbia espresso in modo<br />

così profondo e <strong>di</strong>ffuso: chi non ammette e non riconosce che questa<br />

è la realtà del mondo, non è in grado <strong>di</strong> comprenderne gli eventi.<br />

E l’“altro” mondo vuole recuperare anche la sua <strong>di</strong>gnità. La sua<br />

attuale con<strong>di</strong>zione non è un’emozione suscitata da questa o da quella<br />

guerra più o meno ingiustificata, non è invi<strong>di</strong>a della ricchezza dell’Occidente,<br />

non è conseguenza della costante sottovalutazione culturale:<br />

è tutte queste cose assieme. È il risultato della rozza insensibilità<br />

con la quale l’Occidente ha sempre umiliato la <strong>di</strong>gnità degli altri<br />

popoli cui è aggiunta la rabbia per la secolare rapina: l’Occidente<br />

è chiamato a rispondere della sua avi<strong>di</strong>tà, dell’arroganza culturale,<br />

del razzismo antropologico, del fondamentalismo politico e dell’ipocrisia<br />

<strong>di</strong> valori sban<strong>di</strong>erati per mascherare gli interessi economici<br />

La profon<strong>di</strong>tà dell’o<strong>di</strong>erno sentimento d’o<strong>di</strong>o antioccidentale impone<br />

<strong>di</strong> superare la tendenza ad etichettare le posizioni altrui per poterle<br />

rifiutare in blocco. In politica, nel secolo scorso, i maestri <strong>di</strong><br />

questa tecnica sono stati i peggiori comunisti. Ma anche nel campo<br />

liberal-democratico non sono mancati i cultori <strong>di</strong> questa pratica assai<br />

poco intelligente. Chi s’interessava <strong>di</strong> politica negli anni Settanta del<br />

secolo scorso ricorderà come le considerazioni sulla povertà dei paesi<br />

meno sviluppati erano liquidate con apo<strong>di</strong>ttiche espressioni come<br />

‘’rozzo antimperialismo’’ e ‘’pietismo terzomon<strong>di</strong>sta’’. Oggi è rite-<br />

130


nuta più pertinente quella <strong>di</strong> “antiamericanismo’’ che pretende <strong>di</strong> includere<br />

anche un’accusa <strong>di</strong> razzismo socio-economico-culturale. Le<br />

etichette, in effetti, esprimono soltanto il rifiuto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere <strong>di</strong> chi le<br />

utilizza e la sua presuntuosa inadeguatezza culturale.<br />

Quest’incapacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo è determinata dal fatto che per la più<br />

gran parte degli occidentali è <strong>di</strong>fficile ammettere o anche soltanto<br />

pensare che il modo d’essere della civiltà occidentale possa ledere<br />

la serenità dell’intero pianeta. È utile leggere Il vizio occulto dell’Occidente<br />

<strong>di</strong> Massimo Fini: «Nel Rapporto che recentemente<br />

George W. Bush ha inviato al Congresso, dov’è teorizzata la “guerra<br />

preventiva”, dove si afferma che l’America “non intende minimamente<br />

consentire ad alcuna potenza straniera <strong>di</strong> colmare l’enorme<br />

<strong>di</strong>vario apertosi negli armamenti”, ed è la prima volta che uno<br />

Stato pretende il <strong>di</strong>sarmo <strong>di</strong> tutti gli altri, postulando, in un delirio<br />

<strong>di</strong> onnipotenza, un’egemonia non solo attuale ma eterna, qualcosa <strong>di</strong><br />

molto simile al “Reich dei mille anni” <strong>di</strong> Adolf Hitler, si <strong>di</strong>ce anche<br />

che l’America userà la sua potenza, <strong>di</strong>venuta unica, per il “bene delle<br />

società libere”.<br />

Quali sono le società libere? Ed esistono società libere, libere <strong>di</strong><br />

essere se stesse, come la storia le ha fatte, secondo le proprie tra<strong>di</strong>zioni,<br />

i propri costumi, la propria vocazione, secondo la volontà e il<br />

consenso dei propri membri, quando sono sottoposte ad un simile<br />

<strong>di</strong>ktat? La domanda è tanto più legittima perché il documento Bush<br />

aggiunge: “C’è un solo modello possibile: la libertà, la democrazia<br />

e l’impresa, valori che devono essere protetti ovunque”.<br />

Non c’è posto per valori <strong>di</strong>versi. Che il modello ha da essere unico<br />

e che dev’essere quello occidentale, non è più una tendenza <strong>di</strong><br />

fatto, ora è un atto costitutivo, quasi giuri<strong>di</strong>co, che sta scritto sulla<br />

carta. È la nuova Costituzione Mon<strong>di</strong>ale… L’Islam, come qualsiasi<br />

altra <strong>di</strong>versità culturale, sarà accettato, e potrà continuare ad esistere<br />

nel nuovo or<strong>di</strong>ne mon<strong>di</strong>ale, solo nella misura in cui si omologherà<br />

all’Occidente.<br />

Vale per tutti… A colonizzare l’intero pianeta non siamo spinti<br />

solo dai nostri interessi, cre<strong>di</strong>amo sul serio – questo è il vizio oscuro<br />

dell’Occidente – <strong>di</strong> avere “il migliore dei modelli possibili”. E<br />

quando qualcuno, qui in Occidente, osa avanzare dubbi sulla bontà<br />

del modello, quasi subito si alza in pie<strong>di</strong> un cretino che con gli oc-<br />

131


chi iniettati <strong>di</strong> sangue illuminista urla: «ma in<strong>di</strong>etro non si torna!”<br />

Bravo. La trage<strong>di</strong>a è proprio questa. I<strong>di</strong>ota.».<br />

Questa conclusiva, energica contestazione <strong>di</strong> Massimo Fini della<br />

volontà dell’Occidente <strong>di</strong> omologare il mondo sul suo modello, segue<br />

una vivace esposizione delle ragioni filosofico-economico-sociali<br />

che spingono lo scrittore a in<strong>di</strong>care il modello <strong>di</strong> vita occidentale<br />

come la causa evidente <strong>di</strong> una ‘’follia’’ che c’impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> renderci<br />

conto che siamo prigionieri <strong>di</strong> un meccanismo economico-industriale<br />

che pretende la nostra costante insod<strong>di</strong>sfazione per non<br />

collassare, fino alla nostra morte. Ho esposto in altro saggio le ragioni<br />

per le quali non con<strong>di</strong>vido il giu<strong>di</strong>zio ra<strong>di</strong>calmente e definitivamente<br />

negativo della realtà occidentale. Tuttavia è stato riportato<br />

perché esprime con efficacia significativa una delle ragioni per le<br />

quali l’Occidente a guida statunitense è un problema planetario: ritiene<br />

<strong>di</strong> non dover rispettare più nulla che sia culturalmente <strong>di</strong>verso.<br />

* * *<br />

L’intricata complessità dei problemi ricordati ha determinato uno<br />

stato confusionale del mondo <strong>di</strong> cui la prima vittima è l’Occidente.<br />

Qui, nonostante il livello <strong>di</strong> benessere raggiunto, il sentimento più<br />

<strong>di</strong>ffuso è un’angoscia alimentata dalla paura <strong>di</strong> pericoli che si temono<br />

sempre nell’aria. Le raccapriccianti notizie sui morti straziati dagli<br />

attentati islamici, hanno convinto i più che questa paura sia dovuta<br />

all’orrore suscitato dalla violenza. Purtroppo non è solo così:<br />

l’ansia ha anche altre motivazioni. La preoccupazione per gli attentati<br />

c’è, ma concentrare l’attenzione solo su questa rischia <strong>di</strong> provocare<br />

iniziative inadeguate e conseguenze ancora più dannose.<br />

L’incerta definibilità <strong>di</strong> tutti i motivi dell’apprensione delle popolazioni<br />

occidentali fa tornare psicologicamente comodo metterla<br />

interamente a carico della violenza islamica. Serve a rimuovere<br />

l’impotenza <strong>di</strong> fronte a ben più gravi problemi che, da tempo,<br />

un’ampia saggistica ha affrontato nel dettaglio in termini economici,<br />

socio-politici, psicoanalitici, etno-antropologici e semplicemente<br />

demografici. La <strong>di</strong>ffusa conoscenza <strong>di</strong> questi argomenti che riempiono<br />

centinaia e centinaia <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, <strong>di</strong> cui nel 1972 il saggio “I limiti<br />

dello sviluppo” del M.I.T fu uno dei primi impegni, esonera da<br />

132


un’approfon<strong>di</strong>ta ripresa in queste pagine nelle quali sono sufficienti<br />

brevi cenni.<br />

In modo essenziale si ricorda che la sicurezza psicologica degli<br />

occidentali, conquistata con la vittoria sulla fame che ha afflitto per<br />

millenni tutti gli uomini del pianeta, in effetti è minata da almeno altre<br />

quattro ragioni certe che determinano un generale stato <strong>di</strong> fragilità<br />

emotiva.<br />

La prima ragione dell’ansia è una conseguenza indesiderata della<br />

mobilità consentita agli uomini, alle merci e ai mezzi finanziari<br />

dalla nuova realtà tecnologica del mondo: la rapi<strong>di</strong>tà dei mezzi <strong>di</strong><br />

trasporto, la potenza dei mezzi <strong>di</strong> comunicazione e la globalizzazione<br />

dei mercati hanno posto le con<strong>di</strong>zioni favorevoli per la delocalizzazione<br />

delle attività con grande impiego <strong>di</strong> mano d’opera verso i<br />

paesi a bassi salari. Anche rimanendo nella stessa Europa, il costo<br />

orario <strong>di</strong> un operaio, che nei paesi più ricchi va dai 20 ai 27 euro, già<br />

nei paesi europei ex comunisti scende a meno <strong>di</strong> 2 euro e ancora più<br />

scende nei paesi asiatici, sudamericani e africani: sono evidenti i benefici<br />

che ricavano le aziende che vi trasferiscono i loro stabilimenti<br />

anche in considerazione dell’assoluta flessibilità dei locali rapporti<br />

<strong>di</strong> lavoro. La conseguente sempre più preoccupante precarietà<br />

del lavoro <strong>di</strong>pendente, aggravata dalla crisi del welfare state, sta<br />

<strong>di</strong>ffondendo anche nel mondo occidentale in centinaia <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong><br />

lavoratori e <strong>di</strong> giovani, un’ansia per il presente e ancor più per il futuro<br />

che era assolutamente sconosciuta fino alla fine degli anni Ottanta<br />

del secolo scorso. La prospettiva non può che essere un livellamento<br />

dei salari dei lavoratori <strong>di</strong> tutto il mondo: a quale livello?<br />

La mon<strong>di</strong>alizzazione immaginata come produttrice <strong>di</strong> benessere per<br />

tutti, è vissuta oggi dai lavoratori occidentali come una grave minaccia:<br />

non solo per il danno <strong>di</strong>retto della <strong>di</strong>minuzione della domanda<br />

<strong>di</strong> lavoro ma anche per l’impotenza delle organizzazioni sindacali<br />

che vedono spuntata l’arma dello sciopero: le aziende reagiscono<br />

trasferendosi interamente nei paesi dove trovano lavoro flessibile<br />

e a buon mercato.<br />

Una seconda ragione d’ansia è nella consapevolezza che la concorrenza<br />

dei manufatti prodotti nei paesi <strong>di</strong> nuovo sviluppo industriale<br />

- paesi del sud-est asiatico ma soprattutto Cina - aggrava la<br />

situazione d’insicurezza delle aziende e dei lavoratori occidentali<br />

133


che sempre più insistentemente chiedono ai governi iniziative <strong>di</strong><br />

blocco doganale per le merci provenienti da quei paesi: la fiducia in<br />

una crescita degli scambi internazionali <strong>di</strong> beni e servizi con espansione<br />

dello sviluppo e della produttività generale è considerata sempre<br />

più irrealistica. La globalizzazione è <strong>di</strong>ventata una prospettiva<br />

dalla quale <strong>di</strong>fendersi. La gravità della situazione che si teme si prepari<br />

sul piano economico, tende a far <strong>di</strong>menticare che le guerre doganali<br />

sono il prelu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> più cruente guerre militari. Tenendo conto<br />

delle <strong>di</strong>mensioni della Cina, fra la paura dell’incertezza economica<br />

e la paura della guerra non è certo <strong>di</strong> quale paura si terrà più conto:<br />

l’insicurezza cresce.<br />

Un’altra inquietu<strong>di</strong>ne inconscia è suscitata dalla pressione me<strong>di</strong>atica<br />

che enfatizza i problemi ecologici: anche le notizie scientificamente<br />

più serie sono date in un modo che sollecita la più vasta eco<br />

<strong>di</strong> scandalo e <strong>di</strong> paura. Il panorama della precarietà del presente e<br />

dell’incertezza del futuro è reso più fosco dal modo esasperato ed<br />

ultimativo con il quale sono date le notizie sull’inquinamento dell’atmosfera,<br />

sulla progressiva inadeguatezza delle risorse idriche<br />

della Terra, sull’avvelenamento chimico dei terreni agricoli, sulle<br />

calamità climatiche e sugli altri problemi globali che affliggono il<br />

nostro pianeta. Questo terrorismo me<strong>di</strong>atico alimenta un’angoscia<br />

ancora più profonda <strong>di</strong> quella suscitata dal terrorismo effettivo perché,<br />

dando una responsabilità ultimativa all’uomo, esaspera per il<br />

senso d’impotenza che incute <strong>di</strong> fronte ai <strong>di</strong>sastri della natura.<br />

Titolano i giornali a tutta pagina: “La situazione è apocalittica:<br />

per poter sopravvivere l’umanità dovrebbe spostarsi verso altri mon<strong>di</strong>’’…<br />

Il WWF: “Record <strong>di</strong> sprechi: fra 50 anni la Terra morirà”…<br />

“’il 35% delle specie marine estinto fra il1970 e il 1999’’… “il 12%<br />

delle foreste primarie è scomparso fra il 1970 ed oggi”… “Acqua, la<br />

grande sete si avvicina: aiuto! Ce la siamo bevuta tutta’’… “Me<strong>di</strong>terraneo,<br />

ultimo avviso: rischia <strong>di</strong> spegnersi con il suo mondo sommerso”…<br />

“Effetto serra, guardate la cartina: il polo si stringe, la<br />

Groenlan<strong>di</strong>a si scioglie, New York allagata, l’Italia un deserto, 5 miliar<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> persone senz’acqua: entro cento anni’’ E così via.<br />

Siamo <strong>di</strong> fronte ad un’esasperazione delle notizie proveniente<br />

quasi sempre da fonti scientifiche o da organizzazioni <strong>di</strong> volontariato<br />

senza potere politico: al <strong>di</strong> là della smania <strong>di</strong> protagonismo <strong>di</strong><br />

134


qualcuno, sembra che molti, ognuno <strong>di</strong>etro i suoi idoli, non si accorgano<br />

della tempesta <strong>di</strong> violenta confusione con la quale le informazioni<br />

più strumentali flagellano il mondo.<br />

I conflitti d’interessi che nascono fra gli Stati evidenziano la fondatezza<br />

delle preoccupazioni: già la Conferenza <strong>di</strong> Stoccolma del<br />

1972 – pur nella relativa moderazione delle prime analisi sulla gravità<br />

e sulle cause dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo<br />

– aveva messo in evidenza la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> opinioni fra i rappresentanti<br />

dei Paesi ricchi e quelli dei Paesi poveri. Ma è nel 1992, alla<br />

Conferenza <strong>di</strong> Rio de Janeiro, che emergono le posizioni <strong>di</strong>vergenti<br />

fra i Paesi tecnologicamente avanzati, responsabili dell’elevato<br />

tasso dell’inquinamento atmosferico determinato dallo sviluppo<br />

industriale e dal consumo <strong>di</strong> idrocarburi, e i Paesi in via <strong>di</strong> sviluppo<br />

che non ritengono <strong>di</strong> dover fare loro dei sacrifici per la salvaguar<strong>di</strong>a<br />

dell’ambiente del cui inquinamento non sono responsabili. La Conferenza<br />

ONU del 1997, con il “Protocollo <strong>di</strong> Kyoto’’, ha tentato <strong>di</strong><br />

definire, in funzione dei valori <strong>di</strong> inquinamento addotto da ogni singolo<br />

Paese, gli impegni per la riduzione delle emissioni <strong>di</strong> anidride<br />

carbonica, il cui accumulo nella troposfera è una delle cause dell’aumento<br />

della temperatura della Terra. Hanno sottoscritto il Protocollo<br />

i Paesi dell’UE, la Cina e qualche altro piccolo Paese: tutti assieme<br />

contribuiscono per circa il 37% delle emissioni <strong>di</strong> anidride<br />

carbonica; ha successivamente accettato <strong>di</strong> rispettare gli impegni anche<br />

la Russia che contribuisce con un valore <strong>di</strong> circa il 18%. Gli Stati<br />

Uniti, che contribuiscono da soli per un valore pari al 23% all’inquinamento<br />

del pianeta, non hanno firmato il Protocollo: gli egoismi<br />

in gioco aumentano i problemi.<br />

Questi brevi cenni chiariscono come gli interessi economici, gli<br />

interessi sanitari e i risvolti morali, connessi anche se taciuti, facciano<br />

<strong>di</strong>ventare il problema ecologico uno degli aspetti più delicati<br />

del <strong>di</strong>alogo planetario: alle paure emotive delle masse si somma, infatti,<br />

la consapevolezza dei danni economico-sociali che potrebbero<br />

essere determinati da eventuali troppo rapide riconversioni industriali<br />

nei Paesi occidentali.<br />

Chi ”sente” le minacce che vengono dal tono ultimativo con il<br />

quale apprende della gravità dei problemi climatici ed ecologici,<br />

guarda preoccupato alle prospettive possibili e alla sua impotenza.<br />

135


Ma, forse, la ragione più profonda dell’inquietu<strong>di</strong>ne occidentale<br />

è ra<strong>di</strong>calmente esistenziale: la costante, inarrestabile immigrazione<br />

nell’Occidente ‘’bianco’’ <strong>di</strong> gente <strong>di</strong> tutte le culture, le etnie e i ‘’colori’’,<br />

che è stata già ricordata, fa costatare quoti<strong>di</strong>anamente la progressiva<br />

erosione <strong>di</strong> quella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ‘’purezza’’ biologica e culturale<br />

<strong>di</strong> cui i paesi europei ritenevano <strong>di</strong> essere depositari. Forse,<br />

dovrebbe essere ragionevole rendersi conto che la ‘’mutazione’’ biologica,<br />

culturale e ambientale sarà un processo lento e progressivamente<br />

assorbibile dalla grande attitu<strong>di</strong>ne dell’uomo ad adeguarsi alle<br />

situazioni nuove. Invece, l’incapacità degli europei d’oggi <strong>di</strong> rimuovere<br />

questa prospettiva futura, la fa già vivere con ansia: non si<br />

riesce ad immaginare quale possa essere la situazione demograficoeconomico-culturale<br />

nella quale vivrà la propria progenie. Ferme le<br />

tendenze demografiche in atto, sarà molto <strong>di</strong>fficile nel breve periodo<br />

prendere iniziative adeguate senza rischiare contraccolpi pericolosi.<br />

Gli uomini sono animali ipersensibili. Intuiscono o almeno “sentono<br />

nell’aria’’ qualcosa <strong>di</strong> non controllabile e temono a fermare<br />

l’attenzione su un futuro così pieno d’incognite: hanno fiutato una<br />

somma <strong>di</strong> pericoli e, non avendo chiaro come poterli evitare, sono<br />

inquieti. La reazione è emotiva: si cercano <strong>di</strong> nuovo le antiche appartenenze,<br />

si riscoprono le <strong>di</strong>fferenze dagli “altri”, si sollecitano<br />

politiche <strong>di</strong> chiusura verso l’immigrazione; il “vicino” è sempre più<br />

un nemico che vuole portare via il lavoro, la serenità, la vita.<br />

Quest’angosciosa <strong>di</strong>mensione alimenta il nichilismo <strong>di</strong> gran parte<br />

dei giovani occidentali che con gli sport estremi, la musica esasperata,<br />

la droga e i suici<strong>di</strong> sembra vogliano esprimere un rifiuto<br />

della vita che è soprattutto un rifiuto <strong>di</strong> responsabilità che appaiono<br />

insostenibili.<br />

Megafono <strong>di</strong> quest’incapacità a trovare risposte adeguate, oltre<br />

che <strong>di</strong> un razzismo biologico-culturale, sono stati “La rabbia e l’orgoglio’’<br />

e “La forza della ragione” sfoghi esasperati <strong>di</strong> una donna<br />

che non si rende conto che il suo è il grido <strong>di</strong>sperato <strong>di</strong> un animale<br />

che “sente’’ che la propria specie tende ad estinguersi: lo rifiuta. Il<br />

successo <strong>di</strong> questi saggi <strong>di</strong>mostra come un’irrazionale emotività stia<br />

emergendo dal mondo che fu <strong>di</strong> Socrate, <strong>di</strong> Cartesio, <strong>di</strong> Galilei e <strong>di</strong><br />

Einstein.<br />

136


Questa con<strong>di</strong>zione irrazionale rende sempre più <strong>di</strong>fficile in Occidente<br />

trovare il bandolo della matassa delle iniziative possibili per<br />

superare le contrad<strong>di</strong>zioni che incombono.<br />

* * *<br />

Tante paure messe assieme e la sensibilità per la con<strong>di</strong>zione altrui<br />

hanno sollecitato un movimento per la pace che è riuscito ad<br />

esprimere nel mondo momenti <strong>di</strong> entusiasmo. La mancanza <strong>di</strong> una<br />

riflessione concreta su cosa e come possa essere la pace ha progressivamente<br />

affievolito il movimento. Impegnarsi per la pace non è<br />

inutile solo se si è consapevoli che si tratta <strong>di</strong> una resistenza all’irrazionale<br />

e <strong>di</strong> una semina per un raccolto ancora lontano. La pace<br />

non deve essere una speranza. La pace può essere soltanto partecipazione<br />

attiva ad un processo lungo, fatto <strong>di</strong> tanti no e molti sì. No<br />

al razzismo, sì al multiculturalismo; no alla tolleranza, sì al rispetto;<br />

no al benessere smodato, sì all’equilibrio dei consumi; no al settarismo<br />

religioso, sì al rispetto della fede <strong>di</strong> ognuno; no all’integralismo<br />

religioso, sì al laicismo civile; e così via, lungo il processo evolutivo<br />

della cultura umana nel tempo e nello spazio. Per superare le resistenze,<br />

sarà necessario un tempo indefinibile; si verseranno lacrime<br />

e sangue.<br />

Consapevoli della <strong>di</strong>mensione dei problemi, noi occidentali potremmo<br />

cominciare a frenare il nostro egoismo primario per riprendere<br />

i contatti con il nostro razionale egoismo-altruismo che da tempo<br />

ha segnalato i pericoli ecologici, economici e culturali verso i<br />

quali corriamo. Ma la convenienza e la presunzione tecnologica non<br />

hanno ancora fatto scattare l’allarme biologico <strong>di</strong> una maggioranza<br />

che abbia chiaro il carattere ultimativo della violenza che si sta impadronendo<br />

del mondo.<br />

Se è stato possibile lanciare aerei contro il Pentagono, non sarà <strong>di</strong>fficile<br />

mandare aerei su obiettivi devastanti come le centrali nucleari<br />

od obiettivi sensibili come i luoghi affollati da migliaia <strong>di</strong> persone.<br />

Fatti così enormi, quali conseguenze psicologiche possono determinare?<br />

Quali <strong>di</strong>sastrose scelte possono suggerire? Quanto il nichilismo<br />

morale dell’economia <strong>di</strong> mercato, con tutte le conseguenti ferocie, è<br />

penetrato nell’anima <strong>di</strong> chi combatte le guerre contro i poveri?<br />

137


Il mondo è prigioniero <strong>di</strong> un nichilismo globale nel quale al nichilismo<br />

attivo <strong>di</strong> chi costruisce le ragioni dell’o<strong>di</strong>o si somma il nichilismo<br />

passivo <strong>di</strong> chi finge <strong>di</strong> non rendersi conto <strong>di</strong> quanto accade:<br />

a tanto nichilismo si oppone un nichilismo al <strong>di</strong> là del bene e del<br />

male, <strong>di</strong> nietzschiana memoria, che invasa sempre più chi si ribella.<br />

Finché la <strong>di</strong>mensione della violenza non sarà tale da minacciare<br />

la sua stessa sopravvivenza, sarà molto <strong>di</strong>fficile che nel mondo occidentale<br />

riesca a coagularsi una prevalente consapevolezza che voglia<br />

prendere in mano il timone <strong>di</strong> una sua riconversione morale.<br />

Morale non nel significato convenzionale <strong>di</strong> etico ma nel senso secondo<br />

il quale conveniente, razionale e morale sono soltanto sinonimi<br />

consequenziali.<br />

Ancora per qualche tempo, l’impotenza e la mortificazione dell’ONU,<br />

le guerre più arbitrarie, le pretese del WTO, del FMI e della<br />

Banca Mon<strong>di</strong>ale, gli inascoltati appelli alla pace del Pontefice cattolico,<br />

le ‘’inutili’’ proposte - in mille saggi <strong>di</strong> scienziati, <strong>di</strong> filosofi<br />

e <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> tutti i paesi - <strong>di</strong> come sarebbe possibile costruire un<br />

mondo migliore, saranno la conferma della paradossale ipocrisia dei<br />

potenti <strong>di</strong> cui l’espressione più drammaticamente lampante è la<br />

mancata ratifica del Protocollo <strong>di</strong> Kyoto da parte degli Stati Uniti e<br />

<strong>di</strong> altri stati, con il contemporaneo progressivo svuotamento delle<br />

leggi <strong>di</strong> salvaguar<strong>di</strong>a ambientale in molti Paesi.<br />

Fino a quando la violenza degli “altri” non farà rientrare la nostra<br />

violenza culturale, prima che economico-militare, e non ci farà<br />

recuperare la consapevolezza <strong>di</strong> quale sia la nostra convenienza più<br />

equilibrata, potremo continuare a portare la guerra ovunque, combattendola<br />

<strong>di</strong>rettamente o facendola combattere ad altri, organizzando<br />

colpi <strong>di</strong> stato in America meri<strong>di</strong>onale, istigando guerre tribali in<br />

Africa (per portare via da quei paesi i minerali, l’oro e le pietre preziose),<br />

corrompendo i fantocci politici nei paesi islamici, minando il<br />

potere dell’ONU e così via. Potremo inseguire, rintracciare ed uccidere<br />

ad uno ad uno i vari bin Laden o Saddam o Yassin e tutti i capi<br />

<strong>di</strong> governi non filo-occidentali.<br />

Potremo, soprattutto, proseguire verso la meta che sembra essere<br />

stata definita: trasformare i nostri paesi in campi <strong>di</strong> concentramento<br />

<strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni che credono <strong>di</strong> essere ancora liberi; costruire nei porti,<br />

negli aeroporti e nelle stazioni i più fortificati bunker contro fanta-<br />

138


smi che non si sa da dove possano arrivare; raccogliere immense<br />

fortune finanziarie nelle mani <strong>di</strong> chi ha il potere <strong>di</strong> ridurre tutti noi<br />

in miseria morale prima che economica; far <strong>di</strong>ventare le nostre città<br />

come luoghi spettrali attraversati da ‘’nemici’’ sempre più numerosi<br />

che ci sorridono impauriti più <strong>di</strong> noi.<br />

Saremo riusciti a far <strong>di</strong>ventare la nostra vita un incubo oltre ogni<br />

immaginazione kafkiana: le Olimpia<strong>di</strong> barricate d’Atene 2004 sono<br />

state un accenno ancora mite <strong>di</strong> come saranno blindati gli svaghi, lo<br />

sport e tutti i luoghi dove possa raccogliersi una folla.<br />

Purtroppo, l’”ingenuo” impegno dei numerosi gruppi <strong>di</strong> volenterosi<br />

“terzomon<strong>di</strong>sti” e <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ci che de<strong>di</strong>cano la loro vita per combattere<br />

i flagelli del mondo non è compreso: la <strong>di</strong>fesa degli egoismi<br />

e degli interessi connessi - economici, sociali, religiosi e culturali -<br />

ottunde la maggioranza <strong>di</strong> quella minoranza che è l’Occidente. Questa<br />

gretta maggioranza, lusingata dai consumi e memore <strong>di</strong> una fame<br />

antica, non sa che la sua cultura è un patrimonio <strong>di</strong> cui è debitrice<br />

anche al resto del mondo e non vuole nemmeno prendere in<br />

considerazione l’idea che possiamo aver sbagliato in qualcosa.<br />

Leggendo la storia dei secoli trascorsi, è naturale che questa<br />

maggioranza continui a camminare per una strada impervia lungo la<br />

quale sperimenteremo il terrore come companatico quoti<strong>di</strong>ano: per<br />

un tempo non definito e non definibile continueremo ad essere irresponsabilmente<br />

fedeli al progetto <strong>di</strong> arrivare alla meta-incubo che<br />

stiamo costruendo giorno dopo giorno.<br />

E, senza intravedere nessuno che tenti vie alternative, verso questa<br />

<strong>di</strong>rezione va l’attuale riarmo missilistico della Russia che, consapevole<br />

del peggio che si prepara, ha deciso <strong>di</strong> recuperare il suo ruolo<br />

<strong>di</strong> grande potenza; va la Cina con il suo esercito sempre attivo <strong>di</strong><br />

oltre due milioni <strong>di</strong> soldati pronti a sostenere i crescenti interessi del<br />

paese per le fonti delle materie prime; va l’ingresso <strong>di</strong> Pakistan e In<strong>di</strong>a<br />

nel club delle potenze atomiche; vanno Corea del Nord ed Iran<br />

con la ferma decisione <strong>di</strong> entrare anche loro in questo club; vanno i<br />

paesi caucasici e dell’Asia centrale insofferenti al lento <strong>di</strong>ffondersi<br />

delle basi militari americane e alla volontà russa <strong>di</strong> continuare a sostenere<br />

i suoi interessi nell’area; va la sempre più chiara volontà del<br />

Brasile <strong>di</strong> alzare il tono della sua voce per far rispettare i suoi bisogni;<br />

vanno i fremiti dell’Africa equatoriale, le contrad<strong>di</strong>zioni del<br />

139


Sud-Est asiatico e il violento revanscismo arabo-islamico: la Comunità<br />

Europea è un’oasi impotente con la testa sotto la sabbia.<br />

I simboli che denunciano la follia nichilista che progressivamente<br />

si è impadronita <strong>di</strong> questo mondo – il bimbo ebreo che esce dal<br />

ghetto <strong>di</strong> Varsavia, lo scheletro metallico <strong>di</strong> una torre <strong>di</strong> Hiroshima,<br />

la bimba nuda che cammina sotto il napalm in Vietnam e i bambini<br />

coperti <strong>di</strong> sangue che corrono qua e là fra due fuochi a Beslan – sono<br />

rimossi dall’incapacità a <strong>di</strong>alogare.<br />

Solo dopo che tutti avremo sperimentato la violenza con quoti<strong>di</strong>ana<br />

sofferenza, dopo aver tentato mille ipocriti palliativi per cedere<br />

quanto meno è possibile, recupereremo forse quella capacità egoistica<br />

ma razionale dell’uomo che fa comprendere come il nostro miglior<br />

benessere sia costretto a tener conto anche del benessere altrui.<br />

La pace e la serenità nel mondo saranno per tutti o non saranno<br />

più per nessuno.<br />

L’evoluzione umana è stata sempre lenta: le fasi del processo<br />

evolutivo culturale umano ricordano quanti secoli siano occorsi per<br />

ogni adeguamento della società a nuove situazioni determinate da<br />

vecchi bisogni e nuovi valori che, con<strong>di</strong>visi, hanno fatto avanzare<br />

quella storia ‘’carsica’’ degli uomini che ne accumula il patrimonio<br />

più vero.<br />

Nessuna civiltà è stata mai <strong>di</strong>sponibile a cedere anche una piccola<br />

parte del benessere conquistato se non costretta dalle più imponderabili<br />

ragioni. Oggi, quando lo scontro generale è appena iniziato,<br />

parlare <strong>di</strong> una possibile, spontanea solidarietà umana che raggiunga<br />

a breve termine un equilibrio dei consumi, è una fantasia da visionari:<br />

per qualche generazione, la violenza degli eventi confinerà ai<br />

margini i suoi valori ideali, rendendo evidente l’ipocrisia della “melina”<br />

dell’Occidente.<br />

In questa situazione, la violenza che ci aggre<strong>di</strong>sce non può essere<br />

storicizzata da noi che ne siamo coinvolti. In sé, la violenza non<br />

è né morale né immorale: è uno degli strumenti che la Natura ha<br />

messo a <strong>di</strong>sposizione dei protagonisti del suo processo evolutivo,<br />

nel mondo fisico come in quello animale. In quest’eterno processo<br />

evolutivo dell’universo, la violenza ha <strong>di</strong>mostrato <strong>di</strong> avere avuto<br />

sempre il suo obiettivo in un equilibrio più avanzato. Nell’unicità<br />

della storia umana, che non consente preventive verifiche galileiane,<br />

140


non è dato <strong>di</strong> sapere in anticipo e con certezza né quale sia l’equilibrio<br />

da raggiungere né quale sia la violenza costruttiva e quale quella<br />

nefasta.<br />

Comunque e purtroppo, buona o cattiva, la violenza dei paria della<br />

Terra sembra essere oggi l’unico strumento al quale rimanga affidato<br />

il progetto evolutivo razionale <strong>di</strong> camminare verso un equilibrio<br />

in grado <strong>di</strong> costruire nel tempo un mondo planetariamente morale.<br />

La violenza ci costringerà. E, <strong>di</strong>menticando la costrizione, molti<br />

puri godranno dei progressivi compromessi che accre<strong>di</strong>teranno all’efficacia<br />

del loro impegno per un <strong>di</strong>alogo solidale <strong>di</strong> tutte le genti.<br />

Saremo costretti.<br />

E la storia dell’uomo, passo dopo passo, andrà avanti.<br />

Nel tempo.<br />

Come vuole una lettura <strong>di</strong>staccata della storia che ha tempi molto<br />

più lunghi <strong>di</strong> quanto si vorrebbe, che non ha un progetto certo, ma<br />

ha una sua insondabile, costruttiva coerenza.<br />

141


142


NELLA STESSA COLLANA<br />

BORSELLINO P. Prevenzione e territorio. Le tossico<strong>di</strong>pendenze, 1998, pp.<br />

200<br />

CARLEVARIS P. E-mail dalla Lapponia. Tra i ghiacci con il Servizio Volontario<br />

Europeo, 2003, pp. 96<br />

CATALDI R. Il fascino del potere, pref. <strong>di</strong> A. Carotenuto, 1999, pp. 160<br />

CINTURA M. La sociologia per l’operatore sociale. Manuale <strong>di</strong> formazione,<br />

2003 2 , pp. 128<br />

COMUNE DI ROMA (Assessorato alle Politiche per la Promozione della Salute)<br />

Storie <strong>di</strong> barboni rasati a zero. <strong>Vite</strong> <strong>di</strong> strada. Dall’assistenza alle politiche<br />

<strong>di</strong> inclusione, 2000, pp. 160<br />

DEBRAY R. La repubblica spiegata a mia figlia, trad. <strong>di</strong> F. Baglivo, 2002, pp. 96<br />

EBHARDT F. L’arte <strong>di</strong> vivere, trad. <strong>di</strong> A. Lucchiari, postfazione <strong>di</strong> M. Bal<strong>di</strong>ni,<br />

2000, pp. 144<br />

FALBO E. Servizi sociali oggi, 2002, pp. 224<br />

FARINA M. Una modesta proposta per rivoluzionare le tasse, 1999, pp. 72<br />

FAVRETTO A.R. (a cura <strong>di</strong>) La terra <strong>di</strong> mezzo. Le attività in ‘Luogo neutro dei<br />

Servizi sociali’, 2003, pp. 288<br />

FORLENZA F. Il <strong>di</strong>ritto penale nella Divina Comme<strong>di</strong>a, 2003, pp. 112<br />

FREUND J. La fine dello spirito europeo, trad. <strong>di</strong> F. Ravaglioli, 1983, pp. 136<br />

IORIO G. La povertà. Analisi storico-sociologica dei processi <strong>di</strong> deprivazione,<br />

2001, pp. 224<br />

LAZZARI C. Psicologia ed etica del lavoro e delle organizzazioni. Dal mobbing<br />

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